Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 20 Domenica calendario

Il vescovo "clandestino" riconosciuto e i segnali per un’unità ecclesiale in Cina

Come saranno i rapporti tra la S. Sede e la Repubblica popolare cinese durante il pontificato di Leone XIV? Cosa cambierà per la Chiesa cattolica in Cina con un Papa statunitense? Ci sarà continuità con il periodo precedente o l’Accordo raggiunto nel 2018 verrà rivisto? Queste e tante altre sono le domande che si pongono oggi di fronte alla situazione della Chiesa in Cina. Se la pretesa di trovare risposte è prematura, si possono però leggere alcuni segni che, negli ultimi mesi, hanno tracciato una direzione.
Avvenire ha già riportato la significativa notizia che papa Leone XIV, il 5 giugno scorso, ha nominato monsignor Giuseppe Lin Yuntuan vescovo ausiliare di Fuzhou (provincia del Fujian) e l’11 giugno è avvenuta la presa di possesso dell’ufficio episcopale. Un vescovo “clandestino” è stato cioè riconosciuto dal governo cinese: si tratta dunque di un passo verso l’unità. Ulteriori elementi lo confermano. Un clima di unità ecclesiale è emerso successivamente dai racconti dello svolgimento della cerimonia cui hanno preso parte tanti sacerdoti, senza distinzione tra “clandestini” e “patriottici”, in una delle province cinesi dove, in passato, più profonde sono state le divisioni. L’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, firmato tra la S. Sede e il governo di Pechino sette anni fa, ha sancito il definitivo superamento per il futuro della divisione tra vescovi cosiddetti “patriottici” e “clandestini”. Restano però le eredità del passato: il governo cinese non riconosce ancora alcuni vescovi “clandestini”. Ma il caso di Fuzhou mostra che l’insistenza della S. Sede sta producendo risultati. Ci si augura che il riconoscimento governativo possa arrivare presto anche per gli ormai pochi vescovi cinesi “clandestini” che ancora rimangono e che sono stimati in meno di 15 su un numero totale di circa 80 vescovi oggi attivi nella Repubblica popolare.
Sempre riguardo al vescovo ausiliare di Fuzhou, è passata un po’ inosservata la dichiarazione del portavoce cinese che, per la prima volta, non si è limitato a riportare quanto fatto dal governo cinese, auspicando la collaborazione della S. Sede. Questa volta il portavoce ha affermato, con toni più positivi: «Negli ultimi anni, la Cina e il Vaticano hanno mantenuto la comunicazione e rafforzato la comprensione e la fiducia reciproche, attraverso un dialogo costruttivo. Grazie agli sforzi congiunti di entrambe le parti, l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi è stato attuato con successo. La Cina è pronta a collaborare con il Vaticano per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni». Questo non facile dialogo, dunque, prosegue e sta affrontando e risolvendo, caso per caso, intricate situazioni locali, tra le quali diverse sui confini delle diocesi.
Alcuni giornali hanno riportato la notizia che recentemente si è tenuto a Roma un incontro del gruppo di lavoro misto Santa Sede-Cina, proseguendo così nel solco degli incontri avviati durante il pontificato di Francesco. Potrebbe esserci un’accelerazione anche in merito alle prossime nomine episcopali: si punta, nel corso di circa un anno, a nominare un buon numero di nuovi vescovi. I segnali degli ultimi tempi mostrano dunque che, se non ci saranno brusche interruzioni – di cui non si vedono avvisaglie da nessuna delle due parti – un ritmo più accelerato di implementazione dell’Accordo potrebbe portare verso un suo rinnovo più solido e duraturo nel 2028.
Insomma, se è vero che l’elezione di un Papa statunitense non deve essere riuscita gradita a Pechino, è pur vero che il nuovo Papa vanta un passato da missionario in Perù e un’ampia conoscenza dell’Asia. Quando era priore generale degli agostiniani ha visitato anche – primo papa ad averlo fatto – la Repubblica popolare. Il cardinale Chow, vescovo di Hongkong, ha detto inoltre – in una recente omelia – che il Papa vorrebbe andare in Cina. Le parole di Leone XIV per la pace nel mondo e sull’importanza del dialogo multilaterale, infine, non sono in contrasto con le preoccupazioni cinesi per la stabilità mondiale. I primi passi di Leone XIV verso la Cina appaiono dunque nel segno della continuità.