Avvenire, 20 luglio 2025
«Soldati russi rispediti in prima linea appena tornati a casa dalla prigionia»
Per loro è finita la prigionia, ma non la guerra. Impossibile avere numeri precisi, Mosca è molto attenta a non fare trapelare cifre che potrebbero compromettere la popolarità del presidente Putin, ma ci sono diversi casi di soldati liberati grazie agli scambi con Kiev e che sono stati rimandati al fronte, dove spesso hanno trovato la morte, scampata la volta prima. A confermarlo è Idite Leson, traducibile come”Andate a spasso”, un’associazione nata dopo il 24 febbraio 2022 e che aiuta i cittadini russi a evitare il fronte, secondo la quale i casi «si contano a decine».
Un’altra organizzazione umanitaria, Citizen Army, ha fatto sapere di aver ricevuto molte segnalazioni da parte di famiglie dove soldati liberati venivano rimandati in guerra anziché a casa, trattati in tutto e per tutto come militari ancora in servizio. Non si hanno numeri precisi, ma dall’aumento delle manifestazioni di protesta delle loro famiglie è possibile capire come la pratica sia sempre più diffusa. La denuncia, infatti, non si limita più agli addetti ai lavori. Molti genitori e molte mogli hanno iniziato a fare circolare video sul Web per rendere noto come i loro cari siano stati rimandati in prima linea. Un’operazione, questa, che viola la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Nel documento, infatti, si legge chiaramente che le persone che sono state prima catturate dall’esercito nemico e poi liberate non possono essere costrette a ricoprire ruoli attivi sul teatro bellico. Ci sono poi le storie, una più drammatica dell’altra. Mikhail Surikov veniva da una regione nel nord della Russia. Aveva 49 anni e lavorava come fabbro in una compagnia petrolifera. Arrestato dagli ucraini nel 2023, aveva rivelato durante la sua prigionia di essersi arruolato perché la sua famiglia aveva bisogno di soldi. Liberato l’anno successivo in uno degli scambi di detenuti militari fra Mosca e Kiev, una volta tornato a casa è stato rispedito al fronte dopo poche settimane, dove è morto. Kirill Putinsev aveva 23 anni, veniva dal cosiddetto estremo est russo, dalla regione di Zabaikalsky. Arruolato nel 2024, fatto prigioniero e liberato in seguito allo scambio dello scorso maggio, è rientrato in Russia, ma da casa non è passato nemmeno per un giorno. La sorella Yara ha raccontato che gli è stato impedito anche di farsi visitare dalla commissione medica per valutare la sua idoneità ad attività militari.
Adesso, secondo le ultime informazioni, si troverebbe in un ospedale psichiatrico in una delle località occupate nel territorio della regione di Donetsk. È andata meglio, per il momento, a Vasilij Grigoryev e Dmitrij Davydov, rispettivamente di 32 e 45 anni, sono stati arruolati nella mobilitazione parziale del settembre 2022. Mandati a combattere e catturati dagli ucraini, sono stati scambiati nel 2024. Sono stati rimandati a combattere nella regione di Kharkiv, addetti a una delle mansioni più pericolose, ossia il recupero dei feriti e dei morti. Scappati dalla loro base militare, sono riparati in segreto a Mosca, dove hanno chiesto assistenza legale. Il loro avvocato, Maxim Grebenyuk, ha ricevuto una comunicazione dal ministero della Difesa secondo la quale i due non rientrerebbero nella categoria di prigionieri di guerra da rimpatriare direttamente. Di conseguenza, dovranno tornare in prima linea. Colpite da queste storie tragiche, le famiglie di alcuni soldati che sono stati liberati dagli ucraini hanno diffuso dei video sul Web in cui si chiede al governo di non rimandare in guerra i loro cari, perché non facciano la stessa fine dei loro compagni. Fra queste c’è Marina Frolova, moglie di Alexeij Frolov, tenuto prigioniero in Ucraina per oltre un anno e liberato tramite uno scambio di prigionieri nei mesi scorsi. «Voglio chiedere al presidente Vladimir Putin di non rimandare i prigionieri di guerra nelle zone di conflitto – ha detto –. I nostri uomini, i nostri ragazzi e le loro famiglie. Hanno passato momenti così difficili. Fateli tornare a casa, non al fronte».
Ma il suo appello rischia di rimanere inascoltato, come quelli di tanti altri genitori o consorti disperati. Secondo il ministero della Difesa, non possono essere rimandati in guerra solo gli ex prigionieri che abbiano riportato ferite gravi o subito traumi mentali.
Ma questa interpretazione stride con l’articolo 117 della Convenzione che sancisce con chiarezza che non si può riportare a combattere con la forza nessuna categoria di ex detenuti dal nemico. Di certo, è un’altra espressione della spietatezza raggiunta dalla Russia di Vladimir Putin.