Avvenire, 19 luglio 2025
I tormenti di quelli che restano a Teheran «Qui la discriminazione è sistematica»
Nei suoi trentotto anni di vita non ha mai messo piede in Afghanistan, nemmeno un singolo giorno trascorso nel Paese d’origine della sua famiglia. «Io sono nata in Iran, ma resto cittadina afghana. Qui non danno la residenza permanente a nessuno. Rinnovano i documenti ogni pochi mesi», racconta ad Avvenire, da una città a sud di Teheran, una donna che chiede di farsi chiamare Sakineh. In Iran, il suo permesso di soggiorno è sfumato quando si è sposata per la mancata autorizzazione al cambio di provincia. La vita in territorio iraniano non è mai stata semplice per lei e i suoi connazionali.
«Ora però il rischio di essere mandati in patria è molto più alto. In famiglia, un cugino è stato rimpatriato. Era qui da dieci anni. Spero che questo non accada a me che sono una donna». Suo marito ha un permesso semestrale, ma lei teme che venga ugualmente fermato. «La polizia agisce in modo arbitrario. Potrebbe essere espulso anche se ha i documenti in regola» spiega. «Qualche giorno fa, nella piazza della nostra città, hanno arrestato tutti gli afghani presenti, con permesso o no». Molti dei suoi amici sono stati costretti a partire, sotto la minaccia di multe o di violenza. «Sono originari dell’Afghanistan ma non sono afghani» ha dichiarato Arafat Jamal, rappresentan-te dell’Unhcr a Kabul, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, dopo una visita a Islam Qala, l’affollatissimo valico di frontiera da cui si stima sia transitato finora il 77% dei rimpatriati dall’Iran. «Spesso sono nati all’estero con un’istruzione migliore e norme culturali diverse. La loro prospettiva è differente e spesso in contrasto con quella dell’Afghanistan odierno», ha aggiunto, riferendosi soprattutto a donne e ragazze per le quali il cambiamento di Paese risulta ancora più sconvolgente.
Non esiste solo il rischio di espulsione. Sakineh racconta dei tormenti quotidiani che gli afghani, soprattutto gli hazara come lei, affrontano in Iran. «È stata di certo dura all’epoca dell’arrivo dei miei genitori negli anni Ottanta, ma per quello che ricordo io, questa è la situazione peggiore. Si è complicata negli ultimi quattro anni, e ancora di più dopo la guerra con Israele (dal 13 al 24 giugno scorsi, ndr). Abbiamo sopportato condizioni di insicurezza per tutta la vita, non vogliamo lo stesso per i nostri figli, che ora vivono in circostanze ben più difficili delle nostre. Non ci si sente a proprio agio, fra i razzisti. Ci insultano nei negozi, nelle scuole, per strada. “Perché non te ne vai nel tuo Paese?”, ci dicono». Come lei, le sue figlie non hanno documenti ufficiali. «La seconda, di 14 anni, ha studiato fino all’ottava classe, ma quest’anno il preside ha detto che non immatricoleranno immigrati afghani.
In alcuni istituti, l’iscrizione è possibile se qualcuno fa da garante o pagando molto denaro», aggiunge la donna. È sempre stato difficile aprire un conto in banca o avere una Sim card. Ora lo è ancora di più. E infatti Sakineh comunica da un’utenza intestata a un iraniano. «Alcuni negozianti non vendono prodotti agli stranieri e al momento non viene dato lavoro agli afghani. Ovunque andiamo – conclude – abbiamo paura». Di «discriminazione sistematica» parla l’attivista iraniana Maryam Shafipour, in una pubblicazione per la Nobel Women’s Initiative, organizzazione fondata in Canada da sei donne vincitrici di Nobel, tra cui Shirin Ebadi. «Le autorità hanno imposto disumanizzanti restrizioni all’accesso degli afghani a beni di prima necessità come il pane e hanno fortemente limitato scuola, sanità e tutela legale» ha scritto l’attivista.
«Le famiglie vengono strappate dalle loro comunità da un giorno all’altro e trasportate al confine senza garanzie. Molte possiedono documenti validi». Poi rispetto all’accelerazione delle espulsioni, Maryam Shafipour ha aggiunto: «Le autorità di sicurezza iraniane e i media affiliati allo Stato hanno iniziato a usare come capri espiatori i cittadini afghani, accusandoli di essere “spie israeliane”, alimentando una nuova pericolosa ondata di xenofobia. Sperano di allontanare la rabbia pubblica per povertà, corruzione e violenza, disumanizzando e demonizzando gli afghani».
43mila
i profughi afghani tornati in patria dall’Iran solo il primo luglio scorso: un picco che da allora non è stato più raggiunto nei rientri registrati giornalmente.
1 milione
i rientri in Afghanistan degli sfollati oltre confine. Dal primo gennaio al 16 luglio, secondo i dati forniti delle Nazioni Unite, sono stati esattamente 1.574.000.
109
i cittadini afghani, condannati per reati penali in Germania, sono stati deportati dal territorio tedesco in Afghanistan dopo l’entrata in carica del cancelliere Merz.