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 2025  luglio 19 Sabato calendario

Rientri forzati, l’Iran accelera: «Noi afghani senza speranza»

«Sono stato riportato indietro con la forza già una volta, ma sono tornato. Ci nascondiamo in casa per non essere mandati via. Quando esco per lavorare lo faccio tra mille paure, e finché non rientro mia moglie e i miei figli restano in allarme – racconta ad Avvenire da Teheran Zakaria S., afghano che in Iran fa il muratore –. In questo Paese la situazione per noi è peggiorata dal 2024». E infatti espulsioni e rimpatri forzati vanno avanti da tempo, però mai con i ritmi incalzanti dell’ultimo mese. I rientri giornalieri in Afghanistan dall’Iran sono «aumentati dopo il 13 giugno, con una media più che quadruplicata, passando da 4.400 tra gennaio e il 12 giugno a oltre 18.400 dopo quella data, con il numero più alto registrato il primo luglio, quando sono tornate oltre 43.000 persone», segnala l’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, che stima al 16 luglio un milione 574milagli afghani rimpatriati o spinti volontariamente a tornare dall’Iran da inizio anno. Di questi, ben 1.290.000 solo dalla fine marzo. «I nostri team sono ai confini per assistere flussi di persone esauste, affamate e spaventate. Il personale e le strutture sono completamente sommersi. Per la scarsità di fondi, l’entità e il ritmo dei rimpatri, non saremo in grado di fornire supporto per più di qualche settimana».

L’Iran, ma anche il Pakistan, ne hanno abbastanza dei profughi afghani. L’Unhcr parla di «preoccupante tendenza regionale. I Paesi che ospitano i rifugiati hanno emesso ordini di rimpatrio con scadenze per la partenza». A venire rispediti a casa non sono solo lavoratori maschi senza documenti. Secondo Save the Children, circa 80.000 bambini afghani sono rientrati dall’Iran a giugno, di cui 6.700 non accompagnati
. Questa settimana il vice primo ministro per gli affari amministrativi dell’autorità de facto dei taleban, Abdul Salam Hanafi, che guida l’Alta Commissione per le migrazioni, ha espresso critiche e parlato di maltrattamento dei migranti afghani da parte dell’Iran.
Eppure Kabul non riesce a esercitare alcuna pressione concreta contro il rimpatrio di massa. Meglio non alzare troppo la voce soprattutto ora, in un momento d’oro dal punto di vista diplomatico, dopo che il 3 luglio la Russia, partner economico e strategico dell’Iran, è stato il primo Paese al mondo a riconoscere formalmente quello dei taleban come il governo legittimo dell’Afghanistan. Niente e nessuno rovini la loro “fortunata” congiuntura, soprattutto ora che l’Iran motiva l’intensificazione dei rimpatri, citando minacce alla propria sicurezza nazionale e legami di spionaggio con l’arcinemico Israele. Nader Yar-Ahmadi, capo dell’Ufficio per Stranieri del Ministero dell’Interno iraniano, ha dichiarato infatti che le espulsioni sarebbero state accelerate a seguito della guerra dei dodici giorni con Tel Aviv, con l’intelligence di Teheran preoccupata per “infiltrati” legati al Mossad.
«Alcuni di coloro che sono entrati negli ultimi anni non erano semplici migranti. Avevano chiari obiettivi di sabotaggio», ha detto alla tv di Stato il ministro dell’Interno iraniano Eskandar Momeni. Così di nuovo, in un carosello di sventure senza fine, la vita degli afghani, in patria oppure oltrefrontiera, non smette mai di essere un’estenuante missione impossibile. Perché non ci sono solo le espulsioni dai Paesi confinanti. Da anni la Turchia organizza voli charter per rimpatriare afghani senza documenti, fermati in veri e propri raid per le strade, o con la polizia che sfonda le porte delle case. Un’inchiesta giornalistica della piattaforma Lighthouse Reports, con nove testate giornalistiche europee, a ottobre denunciava che il sistema di deportazione turco viene pagato con fondi europei, e che le istituzioni Ue sarebbero “consapevoli” di finanziarlo. E pochi giorni fa la Germania ha annunciato di volere negoziare un accordo diretto con i taleban per il rimpatrio degli afghani destinati all’espulsione. Al momento Berlino ha contatti con Kabul solo tramite parti terze. Nell’agosto del 2024, infatti 28 cittadini afghani condannati per reati erano stati deportati (ieri altri 81 hanno preso la stessa strada) dal territorio tedesco a quello afghano con l’aiuto del Qatar. Scelte contestate anche ieri dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Volker Turk.
Ai taleban dunque non resta altro che provare a far fronte alla marea umana di ritorno. Secondo le autorità di Herat, citate da Tolo News, nell’ultima settimana di giugno e nella prima di luglio 400.000 migranti afghani sono tornati dall’Iran attraverso il confine di Islam Qala. Le Nazioni Unite, altre Ong internazionali, le autorità locali ma anche la popolazione vicina alla frontiera fanno ciò che possono per fornire aiuti. «Il confine è polvere e fame», ci scrive via Whatsapp da Herat una giovane residente di nome Noor Sama Y., che aggiunge: «I rimpatriati non hanno denaro per tornare nelle loro città. La temperatura ha raggiunto i 48 gradi. Molti rimangono qui o sul confine. Gli abitanti di Herat hanno offerto i propri soldi, il cibo, i mezzi di trasporto. Chi rientra non sa dove alloggiare. In città c’è un posto chiamato Ziyarat-E-Molaye Jan, dove molti espulsi si ritrovano a vivere nel cimitero perché non possono permettersi un albergo».