Corriere della Sera, 18 luglio 2025
Intervista a Carolina Vergnano
«Le Olimpiadi non sono un evento, sono la storia. C’è un’emozione più forte che entrare nella storia? A me fa piangere ogni notte». Si commuove la quarantatreenne Carolina Vergnano, che non è un’atleta, ma la prima donna in quattro generazioni a guidare la torrefazione di famiglia, dopo la firma che ne fa l’«Official Coffee of Milano Cortina 2026». È nello stabilimento di Santena, a un passo da Chieri, nella provincia di Torino, dove il suo bisnonno Domenico nel 1882 aprì un piccolo negozio. Nel 2024 il fatturato dell’azienda è stato di 124,7 milioni di euro.
Che bambina è stata?
«Non sono mai stata bambina, sono nata adulta. I miei fratelli, i miei cugini erano tutti più grandi, mi è mancata completamente la spensieratezza dei piccoli».
Niente amici?
«Molti, ma immaginari. A nove anni prendevo i libri di testo dei maestri e mi mettevo a spiegare a un’ipotetica classe, in camera mia. Insegnavo anche danza a ballerine inesistenti. E dire che a danza facevo pena. Ero molto alta, un po’ sovrappeso, stavo fuori dal gruppo».
Immagino la noia
«Tanta. Ma per me è sempre stata una risorsa: se non hai niente da fare, ti inventi qualcosa».
Inadeguata?
«Piuttosto altrove. Alle medie presentai alla classe una ricerca intitolata “Lo stile di leadership di Hillary Clinton”: ovviamente non interessò a nessuno».
Una secchiona.
«Tutt’altro. Anzi, essendo cresciuta in una famiglia di imprenditori, la scuola era importante ma non al primo posto. Ricordo che la marinai per andare a vedere una gara di Alberto Tomba, quelle erano le cose imperdibili».
Papà torrefattore, mamma con un negozio di vestiti.
«Il negozio di mia madre e di mia nonna è stata la mia scuola: il sabato andavo a piegare le camicie, ma capivo soprattutto come accontentare le clienti, l’arte della trattativa. Lo stabilimento del caffè era solo un passaggio: andavo a prendere un po’ di cancelleria e venivo travolta dall’odore della tostatura, non sapevo sarebbe diventata la mia vita».
Viene da una famiglia tradizionale.
«Proprio quella del Mulino Bianco, persino un po’ antiquata. Io non l’ho riprodotta con i miei figli, sono molto via, un po’ me ne rammarico».
Fieramente provinciale?
«Certo, la provincia è un valore, vuol dire essere di sostanza, vedere le cose con semplicità. Mi prendono ancora in giro per come mi vesto nei fine settimana. A me da bambina hanno insegnato che bastava avere calzini e mutande in ordine e andava bene».
Almeno da adolescente, è stata un po’ ribelle?
«Zero. Ma non ne avevo bisogno: sono sempre stata totalmente libera. I miei genitori non mi hanno dato regole, solo valori. Ho educato allo stesso modo i miei figli, infatti li chiamano “gli abbandonati”. Ma non sono abbandonati: sono liberi perché responsabili. Spero».
Liceo?
«Classico, a Chieri, una classe di geni, tranne me. Sono sempre stata affascinata dalle persone più intelligenti, mi sfida il dover sudare per stare al passo. Poi a sedici anni ho fatto uno scambio e sono stata sei mesi in Australia: senza saper la lingua, dall’altra parte del mondo, esperienza durissima. Se superi quello, non hai più paura di niente».
Poi Bocconi.
«Ci crede? A Milano, da sola, mai una volta in discoteca. Ma ho imparato a vivere. Quindi i viaggi e un passaggio da L’Oréal. E mentre ero a Parigi per firmare, mi chiama mio padre, mi dice “il nostro responsabile commerciale Manfredo Rossi di Montelera ci lascia, deve tornare a occuparsi delle cose della sua famiglia, o torni adesso, o non torni più”. Così nel 2005 sono rientrata, avevo 24 anni».
Dal 2021 è amministratrice delegata, la prima donna in quattro generazioni a guidare l’impresa di famiglia
«In azienda non è cambiato niente: decidiamo sempre tutto assieme. Ma nella mia testa è cambiato tutto: sono diventata Ceo contestualmente all’ingresso di Coca Cola Hbc nel nostro capitale, con il 30%».
È diventata il riferimento per altre donne.
«Già nel 2018 avevo avviato il progetto Women in Coffee, in collaborazione con l’International Women in Coffee Alliance, per sostenere le piccole imprenditrici nella produzione del caffè in giro per il mondo. C’è stata un’adesione incredibile, s’è creata una comunità. Così come capita per il vostro Women in Food di Cook, di cui sono stata ospite assieme a donne eccezionali, una su tutte Woopy Goldberg».
Avete avuto per testimonial Federica Pellegrini
«E tutt’ora collaboriamo con la Fede Academy, la sua scuola di nuoto. Sono una fan sfegatata di Federica, essere campionesse in uno sport è la cosa più difficile: superare gli ostacoli, gestire lo stress, il talento, la notorietà…»
Come Federica Brignone e Sofia Goggia.
«Altri esempi pazzeschi. Sa cosa? Quando uno diventa campione neutralizza il genere, si parla solo di capacità, di risultati, di eccellenza. Vincere vince su tutto».
Parlando di sci, sarete l’Official Coffee of Milano Cortina 2026, il caffè ufficiale delle Olimpiadi?
«Sì, grazie all’accordo di distribuzione con Coca-Cola Hbc e il supporto di Coca-Cola, partner ufficiale per tutto il beverage. Sento una responsabilità nel diffondere la cultura del caffè e dei bar, che è così in difficoltà».
Cosa intende?
«L’espresso è un’icona, andrebbe difeso in ogni modo come orgoglio del Made in Italy. Invece tra di noi non riusciamo a fare squadra. Dovremmo finalmente unirci tutti, creare un disciplinare e promuovere l’espresso insieme. Ma posso dire ancora una cosa sulle Olimpiadi?»
Dica.
«Le Olimpiadi non sono un evento, sono la storia. Entrare nella storia mi emoziona, letteralmente ci piango la notte».
Piange spesso?
«Abbastanza. Anzi: sovente. La chiamano “leadership vulnerabile”, mi hanno detto che è caratteristica di tante donne forti».
Non è un buon momento per i mercati globali
«Ho capito che bisogna affrontare questi nuovi scenari non come eccezione ma come una realtà duratura: la crisi delle materie prime, i dazi, le instabilità politiche, questo è il mondo in cui viviamo, bisogna adeguarsi».
A proposito di politica: tre donne guidano il governo e l’opposizione italiane e l’Europa, che ne pensa?
«Non sono vicina alla politica, nemmeno la amo. E non tutti i modelli femminili che ho visto nella mia vita sono stati positivi: se tutte le donne avessero fatto bene saremmo in una situazione diversa. Guardo Meloni, Schlein e Von der Leyen con curiosità, anche con ottimismo, ma non con fiducia cieca».
Il momento più difficile della sua carriera?
«Quando nel 2011 Nestlé contestò le nostre capsule compatibili e ci chiese di ritirarle istantaneamente dal mercato. Pensai: “Se hanno ragione loro, siamo finiti”. Siamo ancora qui».
I suoi tre figli diventeranno parte della quinta generazione dell’azienda?
«Forse uno, magari due. Certo non tutti e tre. Dipende da chi avrà visto l’impresa come un orto da coltivare e non come un aereo che porta via la mamma».