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 2025  luglio 18 Venerdì calendario

Intervista a Kimi Antonelli

Ha debuttato su una Formula 1 senza nemmeno avere la patente per guidare in strada, dopo le riunioni con gli ingegneri si metteva sui libri di scuola a studiare per la Maturità. Ha occhi vivaci e riccioli ribelli, anche se è super disciplinato. Dentro all’hospitality della Mercedes, a Silverstone, Andrea Kimi Antonelli apre le porte del suo mondo, una dimensione che supera di tanto i confini della pista.
Se non fosse diventato pilota che cosa avrebbe fatto?
«Oddio, domanda da un milione di dollari…».
Non possiamo darglieli. Ci pensi un attimo, su.
«Forse avrei aiutato papà a gestire il team di corse (Marco Antonelli ha una scuderia di vetture Gt e Formula 4, ndr). O magari avrei fatto il calciatore, perché a Bologna giocavo per divertirmi, e mi piaceva un sacco. A quei tempi però già correvo sui kart».
Ruolo?
«Attaccante, non per i dribbling e per i tocchi di classe. Ma perché correvo tanto anche in campo, diciamo che correvo e basta».
Chi era il suo modello?
«Messi. Sono nato nel 2006, seguivo sempre il Barcellona proprio perché ero un suo supertifoso. E allo stesso tempo papà qualche volta mi portava allo stadio a vedere il Bologna».
Ha ringraziato sua madre Veronica per averla fatta studiare e prendere il diploma di maturità. Che cosa le hanno insegnato i suoi genitori?
«Mi hanno istruito, mi hanno insegnato i valori della vita, l’importanza dei sacrifici per raggiungere un obiettivo, per assecondare la passione. È stato fondamentale dare retta ai loro consigli, soprattutto sulla scuola».
Ci teneva davvero a fare bene anche sui banchi o si trattava soltanto di non deludere mamma?
«Ci tenevo. Ma è stato difficile gestire Formula 1 e scuola, ci sono dei momenti dove mi sono posto delle domande: “Continuo o mollo?”».
Ma non sembra tipo da mollare.
«Iniziava a essere una situazione pesante stando sempre fuori, mia madre però ha spinto e ho ricevuto aiuto dall’istituto (Salvemini di Casalecchio di Reno, ndr) per recuperare le lezioni perse. Ma alla fine ho deciso che almeno ci avrei provato, e ci sono riuscito».
È già famosissimo, riuscirà a restare in contatto con i suoi compagni di classe?
«Mah, io sono un ragazzo normale. Avevo un bel gruppo di amici a scuola e quando torno a Bologna cerco di passare quanto più tempo possibile con loro. Sono anche appassionati di Formula 1, mi seguono sempre. Per ora riesco a mantenere il rapporto, le relazioni umane sono importanti. Nel mio sport sono un po’ solo».
In che senso solo?
«Lontano dalla famiglia, lontano dagli amici. Non è facile mantenere certi rapporti».
Che tipo è: solo messaggi whatsapp, come molti della sua generazione, o preferisce chiamare al telefono?
«Dipende. Nei fine settimana di gara mando messaggini. Quando sono a casa chiamo al telefono, ci si organizza e ci si vede».
Che rapporto ha con i social?
«Sono molto importanti, ma bisogna stare attenti a come usarli. Durante i fine settimana cerco di guardare i social il meno possibile per non distrarmi e per non esserne influenzato a livello emotivo e mentale. Mi concentro su me stesso».
Il suo capo in Mercedes, Toto Wolff, la chiama Andrea o Kimi a seconda dei momenti. Come funziona?
«Quando vado bene Kimi, quando vado meno bene Andrea, quando vado malissimo mi chiama Antonelli. Ho conosciuto Toto nel 2018, mi ha fatto entrare nell’Academy, e con lui sono cresciuto, in questi anni ho avuto la fortuna di scoprirlo anche fuori dalla pista. Sono felice di aver trovato una guida, insieme a tante altre persone importantissime nel team che mi hanno aiutato».
Talento, rigore, sacrifici, costanza. Il suo percorso ricorda un po’ quello di Sinner. Che cosa ammira di Jannik?
«Prima di tutto vorrei conoscerlo. Dovevamo incontrarci lo scorso anno ad Abu Dhabi, ma mi sono ammalato, mannaggia. Seguo il tennis e i suoi match. Di Jannik mi impressiona la forza mentale durante le partite, magari quando le cose non stanno andando bene. Quante volte ha ribaltato situazioni difficili? Riesce a restare concentrato in ogni momento, vedendolo s’impara».
A 18 anni in pista a sfidare campioni come Hamilton che ne ha 40. L’età non conta?
«Quando abbassi la visiera del casco, non conta. Nessuno in pista fa sconti, non importa se hai 16 o 35 anni».
Un po’ come il suo idolo Ayrton Senna. Se potesse incontrarlo cosa gli chiederebbe?
«Una marea di cose. La prima: come riusciva a superare la paura dopo un incidente, ad andare ancora più forte. Perché, quando ti capita un incidente un po’ di paura ti prende, noi piloti non ci pensiamo ma ci conviviamo. E ai suoi tempi la sicurezza era molto inferiore ad oggi. Purtroppo».
Cosa fa quando non guida?
«Non so stare fermo neanche nel tempo libero, ho bisogno di muovermi: attività fisica, ma anche altro. Ho pur sempre 18 anni…».
Il suo amico Valentino Rossi le ha dato un consiglio: non dare retta a tutti. Comincia a capire perché?
«Sì. In F1 è come nuotare in un mare pieno di squali, è un attimo cadere nella trappola ed essere mangiato. Me ne sono reso conto a Imola. Lì ho capito quanto sia importante ricavare tempo per me stesso. Momenti dove resto da solo, in un posto silenzioso dove posso “switchare” mentalmente, dove mi isolo».
Dov’è questo posto?
«Nel motorhome degli ingegneri c’è una camera riservata ai piloti. Ci vado prima di salire in macchina, visualizzo e replico i giri di pista nella mia testa, per farlo deve essere tranquillo. Prima non prestavo attenzione a questi aspetti, ora li considero fondamentali per provare a dare il 110%».
Che cosa ruberebbe a Valentino?
«Lui è sempre stato bravo a circondarsi di persone giuste, a riconoscere quelle davvero importanti in grado di farlo rendere al meglio in pista, facendolo stare sereno. Vorrei avere quella capacità».
Se le regalassero un viaggio nello spazio ci andrebbe?
«Sì. Ma fra un po’ di anni, quando sarò già vecchiotto».
Crede in Dio?
«Sì, sono credente. A volte vado anche da solo in chiesa per i fatti miei, a Natale sempre con papà».

Fidanzato con Eliska, ex pilota di kart. Come la sostiene?
«Conosce il mio mondo, sa quanto tempo porta via. Capisce i sacrifici, quando viene in pista a vedermi è un piacere e un sostegno: si sa muovere benissimo e non mi devo preoccupare, di sicuro lei non si annoia. Vivere insieme? È ancora troppo presto».

Il nome dell’ultimo campione italiano in F1?
«Ascari».
Il prossimo potrebbe essere lei, ci pensa?
«L’obiettivo è quello. In Canada il primo podio è stato bellissimo, ma a dire la verità ero anche un filo deluso. Perché avevamo la macchina per vincere e ha vinto il mio compagno di squadra, George Russell. Se non avessi fatto un piccolo errore in qualifica…».
Gli errori e la sfortuna non sono mancati.
«Non tutto gira sempre bene. Sto lavorando proprio per questo, ogni gara è una lezione».
Oltre a Messi a chi vorrebbe assomigliare?
«A Michael Jordan».
Ma non l’ha mai visto giocare.
«Ma ho visto cinque volte la serie Last Dance. Mi ha colpito la sua ossessione di voler migliorare in ogni singolo aspetto. E il modo nel quale spingeva i compagni, un leader vero. A volte anche duro: cattiveria, mentalità, voglia di far crescere anche chi gli sta intorno. Prima di ogni partita sceglieva un “nemico” fra gli avversari da battere a ogni costo. Piccole cose che fanno una grande differenza».