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 2025  luglio 18 Venerdì calendario

“La politica è vuota il cinema indica la strada”

Appuntamento con Jeremy Irons su una barca ancorata al porto di Marina di Salina, le due del pomeriggio. Abiti di lino, occhiali da sole stilosi, 76 anni di fascino assoluto. Lo raggiunge la moglie Sinéad Cusack, acclamata attrice non solo teatrale, e l’atmosfera diventa frizzantina, anche per via di certe punzecchiature coniugali, forse il segreto di un matrimonio che dura dal 1978. Al SalinaDocFest Irons porta il documentario Trashed (è anche una serie tv su Prime video), frutto del suo impegno ambientalista: l’attore viaggia per il mondo mostrando le conseguenze dell’inquinamento, tra montagne di spazzatura sulle coste siriane, vicino a un inceneritore in Islanda.
Incontra comunità che hanno creato circoli virtuosi di riciclo: «Consumiamo troppo, produciamo troppi rifiuti. Credo che ormai sia troppo tardi. Dobbiamo adattarci».
Che viaggio è stato “Trashed”?
«Il Vietnam, è stato molto difficile. In India ho incontrato una famiglia: la figlia era nata senza braccia e gambe a causa dei bombardamenti chimici americani. L’ho aiutata, le abbiamo procurato nuove protesi, è stato bellissimo per entrambi. Era importante esserci, in Libano, in Vietnam, in Islanda. Se fossi stato solo una voce non sarebbe stata la stessa cosa. Metto al mia fama al servizio di queste cause ma sono un attore, non un attivista».
Mostra una politica lontana.
«E negli ultimi anni è peggiorata. I governi si muovono solo in base a logiche economiche. È deprimente.
Ma le piccole cose che facciamo come individui, possono cambiare il mondo. Non ha senso aspettarsi qualcosa dai governi. Abbiamo mostrato il nostro film al governo britannico, c’erano solo due politici presenti. E non so quanto tempo ci vorrà prima che l’America riconosca il cambiamento climatico. Sanno che esiste, ma anche che è molto costoso affrontarlo. E c’è sempre qualcuno che riesce a farci soldi».
Ha un rapporto forte con ltalia.
«Tanti anni fa ho girato un film a Catania, Nijinsky, poi sono andato a Siracusa, sulle tracce dei miei antenati. È la prima volta qui alle Eolie. Il Mediterraneo – di cui l’Italia è il cuore – è un luogo straordinario. Sono nato sull’Isola di Wight, costa sud dell’Inghilterra, ho sempre navigato. Ho passato da voi momenti felici».
Anche professionali.
«Sì. Con Bernardo Bertolucci, che mi manca moltissimo. Chiese a mia moglie Sinéad di recitare in Io ballo da sola, lessi la sceneggiatura e lo chiamai, mi diede un ruolo. Miavevano ritirato la patente per quattro mesi in Gran Bretagna, per guida veloce. Così portai in Toscana fotocopia della patente, auto e moto».
È un estimatore di Morricone, che firmò le musiche di “Mission”.
«Sul set la sua musica non era ancora stata scritta. George Martin venne a Cartagena per insegnarmi a suonare un oboe del ‘700. Poi hanno cambiato oboe e musica: quando rivedo quella scena penso che la diteggiatura è sbagliata».
Zeffirelli, “Callas Forever”.
«Era un ragazzaccio birichino, ma amavo stare con lui. Si fidava molto di me. Un giorno viene l’assistente: “Franco non sta bene, nel modulo assicurativo ha indicato lei come sostituto se succedesse qualcosa”».
Tornatore?
«Lui scriveva in italiano, lingua meravigliosa che io capisco ma non parlo. Un accademico scozzese gli traduceva i dialoghi diLa corrispondenza in inglese… orribili. Dicevo: mai nessuno parlerebbe così. Giuseppe s’arrabbiava, insistevo. Penso mi abbia trovato difficile. Lui è gentile».
Con chi vorrebbe lavorare?
«Sorrentino. Gliel’ho detto, ma non ha ancora fatto nulla al riguardo».
La persona più importante?
«Mia moglie. Sono un anglosassone noioso, lei, irlandese, ha il fuoco nelle vene».
Com’è per voi recitare insieme?
«Terribile. Una volta a teatro ci incrociavamo in un corridoio dietrole quinte, lei usciva, io entravo. E lei, mentre mi dice: “Sono incinta”. Io, in scena subito dopo, pensavo solo a rette scolastiche e tate da pagare».

“Il mistero Von Bulow”, l’Oscar.
«I bookmaker mi davano favorito, contro Robert De Niro. Mi preparavo la faccia da perdente, quel sorriso smagliante, mentre dentro sei disperato. Ma dissero il mio nome. Mi alzai, baciai tutti… Anche Madonna, seduta davanti a me, anche se non l’avevo mai incontrata prima. Era con Michael Jackson. Ero tentato di baciare anche lui, ma poi ho pensato: ho dato abbastanza baci per oggi».
Rimpianti?
«Dopo l’Oscar il progetto era fare un film da Quel che resta del giorno, con Meryl Streep. Il produttore della Columbia si tirò indietro dicendo che costavamo troppo. Poi il film lo hanno fatto Hopkins e Thompson»
Il prossimo progetto
«Un piccolo film della regista palestinese Annemarie Jacir, Palestine 36, che apre il festival di Toronto. Ambientato nel ‘36, girato in Giordania. È un soggetto difficile, soprattutto oggi negli Stati Uniti. Vorrei poter dire ciò che penso: si sta consumando un genocidio. Ma poi andrò a New York per promuovere The Morning Show. E l’Ufficio Immigrazione potrebbe dirmi: “No, perché sostieni la Palestina”. Penso che mi esprimerò, accettando quel che verrà».