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 2025  luglio 18 Venerdì calendario

"Non sono depresso ma un solitario malinconico La foto è la mia preghiera"

«La foto è la mia preghiera mistica, il mio momento di meditazione». Carlo Verdone il 27 luglio espone le sue fotografie a Bormio, ospite de La Milanesiana ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, alla mostra Carlo Verdone. L’intelligenza del silenzio. Spazio anche a un omaggio a Eleonora Giorgi con la proiezione in piazza di Borotalco.
Partiamo dalla fotografia, tutto ebbe inizio con un viaggio a Praga, giusto?
«Ci ero andato con mio padre, una sera mi portò a casa di intellettuali, attori e registi di teatro e cinema, pittori, fotografi, che si radunavano lì- era l’unico modo durante il periodo comunista per stare tranquilli da soli -. Mi presentò tra gli altri un professore di letteratura italiana, grande studioso di Goldoni, a cui chiesi dove poter scattare le foto più belle di Praga con una macchina fotografica che mi aveva prestato mio zio. Mi rispose: “Deve vedere le foto di Karel Plicka, il più bel bianco e nero mai visto, e capirà”. Il giorno dopo in hotel mi fece trovare un libro dedicato al fotografo praghese, me ne innamorai e iniziai a scattare foto».
Per passione?
«Una passione seria, direi. Ho iniziato a fotografare sfondi, scorci, cieli, nuvole, alberi, tramonti, albe per hobby, poi dal ‘90 ho iniziato una collezione più seria, con una sensibilità diversa. Elisabetta Sgarbi lesse in un’intervista che avevo un hard disk pieno di foto mai mostrate a nessuno, giusto qualcuna ai miei figli. Mi chiese di poterle vedere, io temevo il giudizio altrui, lei insistette e dopo averle viste disse: «Dobbiamo farne una mostra, è giusto che la gente scopra un’altra anima di Verdone».
Perché non ama fotografare i volti?
«Nel cinema lavoro di continuo con i primi piani, miei e altrui. Quando fotografo sono più interessato ai colori, ai temporali, alla nebbia, alla natura d’inverno, al mare, all’andamento del sole, dal sorgere al tramonto che colora i luoghi in modo speciale».
Fotografa da solo?
«Sempre, non voglio mai nessuno quando scatto. Si tratta di cogliere l’attimo fuggente, prima che la luce cambi o l’ultimo raggio di sole vada via. Vorrei avere più tempo per me, da solo con la mia macchina fotografica, ma non ne ho mai, tra copioni, serie tv, film, sopralluoghi, sceneggiature la mia vita è una distrazione continua dal silenzio dei miei momenti».
Tema della 26° Milanesiana è l’intelligenza, in chi la riscontra oggi?
«Ci sono scienziati, artisti e persone da ammirare, ma sul piano della politica dove la trovo l’intelligenza? Vedo piuttosto una grande mediocrità in tutto il mondo, nessuno ha il buon senso di dialogare, tutti mostrano prepotenza, il che fa di questi anni i peggiori che abbiamo mai vissuto. Ricordo il dopoguerra, gli Anni 50, 60 e 70 pur con le contraddizioni delle violenze politiche, era diverso: c’erano voci importanti, teste che sapevano ragionare. Oggi invece vedo una gran confusione, tutto è profitto e nessuno ascolta i veri bisogni della gente. Ascoltare il tg oggi è deprimente, il mondo va a rotoli per colpa di quelle sei-sette persone che comandano. È tutto così folle e privo di umanità».
Cosa può fare il cinema, in tutto questo? Scorsese ha detto: «Raccontare la verità».
«Ha ragione, dobbiamo guardarci meglio attorno e raccontare la gente semplice che fatica per arrivare a fine mese, al di là di quello che fanno i potenti. Proprio come il neorealismo che raccontava le miserie della gente, i veri problemi, e divenne grande per questo».
Ci sarà spazio per raccontare i problemi della gente nel suo nuovo film?
«Ci saranno i problemi delle persone, certo. Il disagio, la fatica, il malessere, le nevrosi e le fragilità, ma ovviamente raccontate con un pizzico di ironia, sotto la lente della commedia».
Il 27 luglio proietterà Borotalco, con quale emozione?
«La stessa con cui mi capita di riguardare i piazza i miei film a cui tengo molto. Penso al pienone che c’è stato a Bologna, in Piazza Maggiore, per Un sacco bello, mai mi sarei aspettato quel mare di giovani, che attestano la modernità di un film su una solitudine profonda e piena di poesia dei personaggi, in una Roma autentica che aveva ancora una sua anima. Di Borotalco mi tornano in mente i giorni in cui lo giravo, con gioia, energia e tanta creatività, le battute migliori sono state improvvisate. Il set era una famiglia, avevo un bellissimo rapporto con Eleonora Giorgi, Infanti, Brega. Quel film poi è l’immagine nitida dell’inizio degli Anni 80, lasciati alle spalle lotta armata e scontri c’era una speranza maggiore, un momento di nuovi ideali».
Il suo Sergio s’inventava di tutto per conquistare Nadia. Un ricordo del suo primo amore?
«Facevo la quinta elementare e in classe con me dalle suore c’era Ludovica, una figura angelica, una ragazzina bionda con gli occhi celesti e un piccolo neo sopra il labbro. Mi faceva battere il cuore, fu il mio primo innamoramento. Le facevo disegni, anche se non ero bravo, e la guardavo. Poi fece una festa di compleanno e non mi invitò. Fu un grande dolore, mi sentii escluso. Eppure mi è rimasta impressa».
L’ha più vista?
«Un giorno, mentre presentavo il mio libro La casa sopra i portici (ed. Bompiani, ndr), una bella signora mi chiese un autografo. La riconobbi e abbracciai, dicendole: “Non t’ho mai baciato, ma sei stata il mio grande amore"».
E lei?
«Disse che era troppo piccola allora per capire, e io: “Ma non m’hai neanche invitato!”. Fu una piccola rivincita, le feci comunque una dedica speciale con un grande cuore».

Chi è Carlo quando non lavora e nessuno lo vede?
«Una persona simile a quella della serie Vita da Carlo e contenta di stare da sola. Non sono un asociale, quando entro in un bar magari sono discreto perché so che minimo cinque selfie mi aspettano. Amo stare solo per dedicarmi alle mie passioni. Leggere, scrivere, ascoltare musica, occuparmi del mio terrazzo, suonare la chitarra – meno bene di mio figlio, molto più bravo di me. Poi se vedo lo scorcio di un cielo particolare corro a prendere la macchina fotografica. Le fotografie sono vere molecole della mia anima».
Da dove nasce questa ricerca di solitudine, silenzio, riflessione?
«Non confondiamo la depressione con la dolce malinconia: io ho ancora voglia di cercare lo stupore. Amo l’intelligenza del silenzio, che ha una sua musica fatta di vento e poesia».