Corriere della Sera, 17 luglio 2025
Intervista a Patty Pravo
Patty Pravo o Nicoletta Strambelli?
«Nasco e rimango Nicoletta, anzi Nicola».
Nicola?
«Mi chiamo con il nome di uno zio che è morto tuffandosi da una diga. In realtà mi chiamo Nicola Strambelli».
Non le sembrava strano avere un nome da maschio?
«No e poi per tutti ero la Nina... Cambiare il nome alle persone è un vezzo veneziano. Nina era diminutivo di bambina, una cosa tenera».
Che ricordi ha della sua infanzia a Venezia?
«Sono nata e cresciuta a Dorsoduro: ero una bambina con uno spirito libero, perché sono cresciuta con una nonna libera: usciva alle 5 di mattina per comperare il quotidiano. Un’infanzia meravigliosa».
I suoi genitori dove erano?
«Mia madre era fragile. Oggi la sua malattia avrebbe un nome: depressione post partum. All’epoca, per la gente, semplicemente non era in grado di crescermi».
Le è mancato questo rapporto con sua madre?
«Per nulla. La nonna aveva capito di che razza ero: il fatto di non avere una famiglia tradizionale ha eliminato le classiche preoccupazioni borghesi. Solo più avanti, con l’arrivo del successo, è stato un male non avere una famiglia in grado di consigliarmi. Non ho avuto mai regole: mi sono data la mia di regola, che era non avere regole».
Sognava di andarsene da Venezia?
«No, era una vita bella. Si andava a piedi, ci si conosceva tutti. L’ho fatto solo più tardi quando è morto il nonno».
Le ha dato fastidio, da veneziana, il matrimonio di Bezos?
«Ma no, alla fine è meglio che arrivino i ricchi a dare una mano: siamo invasi da turisti che rompono tutto e non rispettano la città. Lui non mi pare abbia fatto nulla del genere, anzi».
Lei lo avrebbe sposato?
«Non si sa... chi può dirlo».
Nella vita si è già sposata almeno cinque volte.
«Vero, ma non ero io ad insistere per il matrimonio: erano gli altri che volevano sposarmi. Per me che ci fosse o meno non cambiava nulla».
Il primo innamoramento?
«A 16 anni del mio batterista Gordon Fagetter. Prima suonavo con dei musicisti romani, poi è arrivato questo gruppo fighissimo dall’Inghilterra. Lui aveva un anno meno di me, siamo stati insieme parecchio: avevamo un piccolo attico con la terrazza, eravamo felici. E poi giravamo il mondo, ho avuto subito successo».
Erano gli anni del Piper.
«Ci sono arrivata a 15 anni per caso. Un mio amico mi ha detto che c’era un posto a Roma, dove si esibivano artisti inglesi e americani: abbiamo preso un Maggiolino e ci siamo messi in viaggio. Il giorno dopo eravamo al Piper: indossavo una camicetta e un paio di pantaloni a vita bassa, mi sono messa a ballare».
Ed è stata notata.
«Esiste una registrazione negli archivi Rai che mostra quella serata, c’erano Renzo Arbore, Gianni Boncompagni. Si è avvicinato il patron Alberigo Crocetta e mi ha chiesto se sapevo cantare oltre che ballare. Gli ho voltato le spalle e ho proseguito a ballare. Il giorno dopo mi ha chiamata: avevo un contratto con la Rca. È nata così Patty Pravo».
Chi ha scelto il nome?
«È venuto fuori una sera, dopo un concerto, mentre mangiavamo un piatto di spaghetti con un gruppo di ragazze inglesi che si chiamavano tutte Patty. Mi sono messa a parlare di Dante, dell’Inferno e delle anime “prave”».
Cosa ricorda del periodo romano?
«Camminavo scalza per Roma. Tutti mi parlavano della bellezza di Roma, ma venendo da Venezia ero abituata. Non avevo la sindrome di Stendhal. Ero amica di artisti e pittori, Mario Schifano è stato per tutta la vita come un fratello».
Ha sempre saputo di avere talento?
«Non è una cosa di cui ti accorgi: più che una persona di talento mi sono sempre reputata un’artista».
I suoi pigmalioni?
«Con Gianni Boncompagni andavamo sul Raccordo con il Cinquecentino: gli è venuta in mente così Ragazzo triste. Gli dissi: ma perché dobbiamo cantare la tristezza, noi siamo felici! Lui mi rispose: “Vedrai avrà successo”. Aveva ragione, con quel testo parlavamo ai giovani. La Rai l’ha censurata, ma l’ha trasmessa il Vaticano».
Riccardo Fogli ha lasciato i Pooh per lei. È stata odiata dai fan?
«No, nessuno si è lamentato. Ma prima e dopo di lui ho avuto altri due amori: ho fatto il giro del mondo e quando sono rientrata a Roma ho sposato Franco Baldieri, un antiquario. Indossavo il pigiama e una pelliccetta. Poi mi sono invaghita del bassista Paul Martinez: ci siamo sposati ma poi l’ho lasciato per un altro musicista, Jack Johnson».
Ha mai amato una donna?
«No, non mi è successo».
Non ha avuto figli. Si è pentita?
«Non è un rimpianto: con Gordon a un certo punto ci avevamo pensato, eravamo in Giappone. Gli ho detto: potremmo attaccare la culla alla batteria, così mentre muovi il pedale il bambino dorme. Sarebbe stata una idiozia. Non ho più avuto voglia di maternità: si può vivere senza figli».
Le donne vogliono essere madri a tutti i costi. Sembra un obbligo sociale.
«In parte lo è: c’è una mancanza di giovani preoccupante. Più figli si fanno meglio è, una società di vecchi».
Perché ha detto a Francesca Fagnani che non è ricorsa alla chirurgia estetica?
«Perché è la verità: faccio al massimo le iniezioncine, ma il lifting no: ci vogliono due mesi per riprendersi, non ho tempo di stare tutto questo tempo fasciata».
Si piace?
«Se cammino per strada tutti mi sorridono e vogliono farsi un selfie con me. Mi piacerebbe se qualche uomo mi fischiasse ancora dietro».
Tra le artiste emergenti c’è la nuova Patty Pravo?
«Come si fa a dirlo, è un altro mondo. I giovani sono diversi».
Giorgia?
«Mi è simpatica. Fuma le Marlboro rosse come me».
Elodie?
«È molto brava ma alla sua età non ero così. Si fa vestire dagli altri, io ho fatto di me ciò che volevo. Oggi si fanno dire quello che devono indossare, ci vuole più personalità».
Come sceglieva gli abiti?
«Li facevo fare. Ogni tanto andavo a Londra, a Camden e nei mercatini. L’artista deve esprimere ciò che ha dentro».
La sua canzone preferita tra quelle che ha cantato?
«Se perdo te. Era anche quella che mia madre amava di più: ogni tanto veniva a qualche concerto. Ed era anche la preferita di Vasco».
Vasco ha scritto per lei «E dimmi che non vuoi morire».
«Lo adoro. Abbiamo la stessa anima. Da stronzi».
«La bambola» potrebbe essere riscritta in questa epoca politically correct?
«Certo, nel 1968 fu un inno femminista. Le donne ancora mi fermano ringraziandomi».
Un rimpianto ce l’ha?
«Non aver fatto cinema: ho perduto almeno due occasioni molto belle, ma avevo dei contratti discografici in corso. Mi voleva Vittorio De Sica e anche Michelangelo Antonioni. Sono sicura che avrei avuto successo come attrice. Altrimenti registi così geniali non mi avrebbero cercata».
Sanremo o X Factor?
«A X Factor ti impacchettano e ti fanno fare quello che vogliono loro: non avrei mai potuto andarci».
Oggi ha vicino Simone Folco, di 43 anni più giovane.
«È da 13 anni che mi è accanto, quando ci siamo conosciuti era un ragazzino: gli abiti che uso in scena li fa lui, ha talento. Quando ho visto le sue creazioni gli ho detto: domani ti aspetto alle 16 da me».
Ha fatto la prima mossa.
«In un certo senso sì».
Ma siete fidanzati?
«Esistono vari tipi di amore. Siamo legati da un affetto fraterno, ci divertiamo. La differenza d’età per me non conta. Ma chiedete anche a lui».
Dopodomani è al Garda Festival, che ha appena ricevuto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo e del Ministero della Cultura. con il tour «Ho provato tutto». Ha davvero provato tutto?
«Sono molto contenta di essere a questa rassegna, un ponte tra tradizione e innovazione, un luogo in cui le arti performative dialogano con la bellezza naturale e culturale, come ha detto anche Maximilien Seren-Piccinni, Presidente del Fondo Niccolò Piccinni e Direttore Artistico del Festival. Quanto alla trasgressione, quella non è mai mancata. Le droghe tutte, tranne la cocaina».
Un po’ di autodistruzione?
«No, per carità, allora eravamo tutti felici e contenti».
Cosa è la trasgressione?
«Mostrarsi per quello che si è davvero».
Il suo elisir di lunga vita.
«Non me la prendo mai per nulla. Troppa fatica».