la Repubblica, 17 luglio 2025
Intervista a Oliver Stone
«La politica è intrattenimento», sorride Oliver Stone se gli si chiede perché abbia sempre scelto temi controversi, incurante delle polemiche che lo hanno accompagnato. E la filmografia del cineasta, 78 anni, annovera molto titoli diversi, daOgni maledetta domenica a The Doors. Al Salina DocFest avrebbe voluto portare il film su Jim Morrison in omaggio allo scomparso Val Kilmer, ma essendo vietato ai minori, era impossibile proporlo in piazza. Così ha optato per Salvador, su cui ha affilato le unghie prima di Platoon.
Ovviamente, in un incontro con lui – l’angolo scuro di una masseria, al riparo dal sole cocente – è inscindibile il connubio cinema e politica: Trump, l’Europa, Gaza, Netanyahu, Putin, la guerra in Vietnam, ma anche The Doors e il cinema di Paolo Sorrentino.
Stone, qui a Salina ha voluto ricordare Val Kilmer.
«È morto troppo giovane. Ha sofferto e quel dolore lo ha messo nel suo lavoro. A volte ha fatto soffrire anche noi registi. Sul set del film sui Doors sentiva il legame con Morrison, lo interpretava come io volevo che fosse. Ma era troppo dentro la parte. Si sfiniva».
Un ricordo di quel set?
«La fattura stellare in massaggi, ne faceva per ore e ore per riprendersi. Ci siamo feriti a vicenda, io dovevo rispettare budget e scadenze. Alla festa di fine set viene da me e mi dice “Devo dirtelo, non sai dirigere gli attori”. È stato molto duro. Poi ci siamo chiariti».
La sua vita, invece, com’è stata?
«Semplice e morbida, spero di vivere fino a cent’anni».
Mai vissuto momenti difficili?
«Ho avuto genitori dalle personalità uniche e fortissime.
C’è stato un momento in cui li ho odiati. Mi raccontai in un romanzo che nessuno pubblicò. Anche perciò partii per il Vietnam. Forse volevo morire, ma non suicida: volevo farlo in guerra».
Ha portato qui “Salvador”.
«L’ho girato nel 1985. All’epoca ero arrabbiato per il sostegno americano al governo fascista di Salvador. Oggi il mondo è cambiato, ma molte cose sono le stesse. Nel 1981 non potevamo parlare di quello che facevano alcuni Paesi. E oggi non si parla di quel che fa Israele».
Dall’esperienza in Vietnam è nato “Platoon”.
«Sì. Siamo qui nelle Eolie e mi piace chiamarlo la mia Odissea».
Parlando di polemiche. Si è pentito del documentario su Putin alla luce della situazione attuale?
«No. Ne sono molto orgoglioso. Penso sia ancora valido. Gli facevo domande importanti. Una su tutte, l’Ucraina. Era un tema grosso già nel 2016. Dal 1999, quando Putin è salito al potere, fino a oggi, non ho mai visto una campagna tanto violenta contro una singola persona».
Beh, è una figura decisamente piena di ombre, non crede?
«Ci sono ombre nella vita di ogni uomo. Ma a me interessano l’America e la Russia. Voglio che vadano d’accordo».
Pensa che oggi questo sia possibile?
«Abbiamo avuto buoni rapporti per anni, dal 2000 fino al 2014-2015, prima del colpo di Stato in Ucraina che è stato istigato dagli Stati Uniti qualunque cosa dicano. È stato l’inizio di questo periodo orribile».
L’attacco ordinato da Trump all’Iran?
«Non capisco la sua fedeltà e sostegno a Netanyahu. Penso abbia a che fare con soldi e politica. Tanti soldi sono entrati a sostegno di Trump da gruppi ebrei e le lobby americane non voteranno mai contro Israele».
Ha raccontato Nixon, Kennedy, Bush. Se potesse fare un film su Trump, che genere sarebbe?
«Un film sul caos. Ma ne hanno già fatto uno bello, The Apprentice. È più importante questo: non so dove stia andando. E nemmeno lui sembra saperlo. Sembra che prenda decisioni all’improvviso, cambia idea continuamente. E questo non è da buon uomo d’affari. Un buon uomo d’affari pianifica».
Parlando di affari, quindici anni fa ha dato un seguito a Wall Street.
«Il primo Wall Street era sui broker. Persone che approfittavano del mercato. Vent’anni dopo, nel secondo film, il sistema era crollato, perché le banche ne avevano abusato. E il governo ha dovuto salvarle. È stato uno scandalo enorme. Lo è ancora».
Ora però c’è anche la criptovaluta di Trump…
«Ha fatto un sacco di soldi, a quanto pare. Non abbiamo mai visto una presidenza come questa. È un tempo strano, nel mondo. Come dicevo: caos. Non sappiamo. L’energia è fuori controllo. È come con gli dèi greci, sa? A volte non sappiamo cosa accadrà. E dobbiamo conviverci».
A cosa sta lavorando?
«Scrivo un libro, You were there too,la seconda parte della mia vita dopo Cercando la luce, che si fermava ai miei quarant’anni. E forse preparo un film. Ma non ne parlo».
Il momento più bello della carriera?
«I premi. Soprattutto i tre Oscar sono una cosa meravigliosa».
Tra i suoi registi preferiti c’è Paolo Sorrentino.
«Sì. Gliel’ho detto anche di persona. Ho visto i suoi film anche tre, quattro volte. Youth è bellissimo. E mi è piaciuto molto Parthenope. Abbiamo cenato insieme e parlato. Amo il modo in cui costruisce la narrazione. E adoro le perle filosofiche che lascia cadere lungo il film. È un uomo maturo, un bravo scrittore».