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 2025  luglio 17 Giovedì calendario

Coca-Cola, la ricetta più segreta: dalla nascita in farmacia con la cocaina allo sciroppo di mais

Make Coca-Cola sweet again. È l’argomento che tiene banco nelle cronache gustose di queste ore. L’annuncio è arrivato – come ormai consuetudine – via social: il presidente americano Donald Trump ha dichiarato di aver “convinto” Coca-Cola a riportare lo zucchero di canna nella sua ricetta statunitense.
Una promessa che ha il sapore della nostalgia e l’odore di una manovra politica (i “Maga” – Make America Great Again – sono da sempre contro le politiche no-sugar, ndr). Questa operazione non sembra aver trovato immediato riscontro nella multinazionale, che ha promesso “innovazioni future”, ma senza prendere realmente posizione. Nonostante ciò ha riacceso il dibattito su uno dei cambiamenti più controversi nella storia dell’industria alimentare statunitense: il passaggio allo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, avvenuto a inizio anni ’80.
La storia
Se davvero Coca-Cola decidesse di tornare alle origini – o almeno di riavvicinarsi alla versione oggi nota come “Mexican Coke” – sarebbe un evento simbolico, culturale e commerciale. E per capirne il peso, vale la pena ripercorrere la storia lunga e sorprendente della bevanda che, da tonico da farmacia a colazione planetaria, è diventata una delle icone più riconoscibili (e alterate) del nostro tempo. Nel maggio del 1886, nel retrobottega di una farmacia di Atlanta, un farmacista in cerca di sollievo (e forse di un’uscita onorevole da una dipendenza) mescolava zucchero, acqua gassata, estratto di noci di cola e foglie di coca. Il risultato era una bevanda scura, dolciastra, vagamente esotica. Il farmacista non poteva saperlo, ma avrebbe finito per cambiare il modo in cui il mondo beve, pensa e consuma.
Quel farmacista si chiamava John Stith Pemberton. Reduce della Guerra Civile, morfinomane, chimico autodidatta, Pemberton cercava una miscela che potesse lenire i dolori senza provocare dipendenza. Nacque così un tonico – spacciato come rimedio per il mal di testa, l’affaticamento nervoso e persino la dipendenza da oppiacei – che fu servito per la prima volta l’8 maggio 1886 alla Jacob’s Pharmacy. Cinque centesimi a bicchiere. Il nome, “Coca-Cola”, lo suggerì il contabile Frank Robinson, che ne disegnò anche il logo, con quella calligrafia volutamente elegante, oggi sinonimo di un impero globale.
La somministrazione
Ma a quei tempi, la bevanda non era ancora imbottigliata. Veniva versata direttamente al banco, mescolata all’acqua frizzante, come qualsiasi altra pozione da soda fountain. E il suo futuro era tutt’altro che assicurato. Nel 1888, malato e privo di grandi ambizioni commerciali, Pemberton vendette la formula a Asa Griggs Candler, un imprenditore dal fiuto molto più fine per il marketing e le strategie industriali. Fu lui a registrare ufficialmente il marchio nel 1893 e a trasformare Coca-Cola in una società strutturata, con fabbriche, distribuzione capillare e pubblicità sistematica.
Il passaggio cruciale avvenne tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del XIX secolo, quando la Coca-Cola uscì dai banconi delle farmacie e cominciò a essere imbottigliata, venduta e spedita. Il primo caso documentato risale al 1894 a Vicksburg, Mississippi: una bottiglia in vetro che portava la bevanda lontano dai rubinetti di soda e più vicino alle cucine americane. Fu l’inizio del passaggio da tonico da banco a bevanda da tavola. La transizione da medicina a rituale quotidiano. Da qui, la storia non si ferma più. Ma tutto comincia con uno sciroppo scuro, una farmacia di quartiere e un nome scritto a mano.
La leggenda
Dietro l’immagine perfetta di Coca-Cola si nascondono pagine meno raccontate. E diversi cambiamenti di ricetta. Per cominciare, è vero: la ricetta originale conteneva cocaina. Circa 9 milligrammi per bicchiere, una quantità oggi impensabile ma all’epoca del tutto legale. Solo nel 1903, con l’aumento delle critiche e dei controlli sanitari, la sostanza venne definitivamente eliminata dalla formula.
La storia moderna della ricetta segreta (si conoscono gli ingredienti, ma non le dosi) più famosa del mondo, gira tutta attorno allo zucchero. E da ben prima che Trump se ne interessasse. Fino agli anni ’70, la Coca-Cola prodotta negli Stati Uniti seguiva lo stesso standard del resto del mondo: la dolcezza proveniva da zucchero di canna (o, in parte, da barbabietola). Ma all’inizio degli anni ’80, l’azienda decise di cambiare. Dietro la scelta non ci fu il gusto, bensì l’economia: lo zucchero, sempre più caro e soggetto a tariffe doganali e quote di importazione, veniva progressivamente sostituito con il più economico sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), un sottoprodotto della sovrapproduzione agricola americana. Il passaggio fu completato nel 1984, segnando l’inizio della versione “moderna” della Coca-Cola americana, che ha avuto alterne fortune.
Ma c’è un’eccezione: il Messico. Lì, la formula con zucchero di canna non è mai stata modificata. Questa versione – ribattezzata negli Stati Uniti “Mexican Coke” e protagonista di una delle ultime puntate di And Just Like That – è oggi molto richiesta, venduta in bottiglie di vetro e spesso considerata un’alternativa “più naturale” o dal gusto “autentico”. In effetti, sebbene chimicamente simili, i due dolcificanti producono sensazioni diverse al palato. Secondo una larga fetta di consumatori, infatti, il mais regalerebbe un retrogusto più persistente e artificiale.
Zero e Diet
Tutt’altra storia e vita appartiene a Coca-Cola Zero e Diet Coke. Lanciata nel 2005 come risposta diretta a chi voleva il gusto della Coca-Cola senza zucchero e senza calorie, la Coca-Cola Zero ha subito diverse revisioni. La più significativa arriva nel 2017, quando la formula viene modificata per avvicinarsi di più al profilo aromatico della classica. Ma è nel 2021 che il cambiamento si fa più radicale: nuova ricetta, nuovo packaging, nuovo slogan. L’obiettivo è sempre lo stesso – imitare il gusto originale senza compromessi – ma la reazione del pubblico resta divisa. Alcuni ne lodano il bilanciamento, altri lamentano un retrogusto troppo artificiale. E oggi, nel 2025, tra sensazioni alterate e piccoli aggiustamenti di stabilimento in stabilimento, la “Zero Sugar” continua a cercare il suo equilibrio tra marketing, chimica e memoria gustativa.
Nata nel 1982, invece, la Diet Coke è stata la prima vera alternativa a basso contenuto calorico firmata Coca-Cola, ma non è mai stata semplicemente una versione “light” dell’originale. A differenza della Zero, che cerca di imitare il gusto classico, la Diet Coke ha una ricetta completamente diversa e volutamente tale. È realizzata con aspartame e ha un profilo più secco, quasi citrico, che ha finito per costruirsi un pubblico proprio, fedele e trasversale. Negli Stati Uniti è diventata quasi un culto, soprattutto tra il pubblico adulto e femminile. Nel tempo ha ispirato anche varianti come la Diet Caffeine-Free o con aromi (lime, ciliegia, vaniglia). Nonostante l’ascesa della Zero, la Diet Coke non è stata ritirata né sostituita, proprio perché ha smesso da tempo di essere un’alternativa: è una Coca-Cola “altra”, con un’identità autonoma nel portafoglio del brand.