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 2025  luglio 17 Giovedì calendario

Intervista a John Scofield

Infuriava la tempesta, quella sera a San Diego. Pensai: sto per morire sul palco!
Che stava accadendo, caro John Scofield?
Non c’era copertura, la mia chitarra era bagnata, rischiavo una scossa fatale. Dovevamo metterci al riparo.
Ma?
Suonavo nella band di Miles Davis. Lui si defila un attimo, indossa un impermeabile e torna a darci dentro con la tromba. Il dio della pioggia.
Lei registrò tre album con Miles.
Sarò sempre un suo fan, come di Charlie Parker e Louis Amstrong. Fu grazie a questi giganti se mi innamorai del jazz. Davis era disponibile ad accogliere le mie idee. Avevo 30 anni, andai in tour con lui a metà degli ’80. Il suo genio era incomparabile. Quanto all’uomo, sapeva essere rude. Prendeva quel che voleva dai suoni, coglieva il punto che gli interessava, ma sul piano personale dovevi stare zitto, senza innervosirlo. Non potevi illuderti di diventargli amico. Una volta vennero i miei genitori a trovarci in camerino. Due bianchi. Temetti il peggio.
Invece?
Fu incredibilmente gentile.
Sua mamma è stata decisiva per avviarla alla musica.
Avrò avuto 11 anni. Vivevamo in Connecticut. Mia madre disse: “Ti piacerebbe imparare la chitarra?”. Andammo in un negozio, noleggiammo un’acustica. Di pessima qualità. Mi sanguinavano le dita. Dopo un paio di giorni mi arresi: “Basta, voglio provare la batteria!”.
E poi?
Risposta: “Scordatelo, figliolo. Non compreremo una batteria. Troppo fracasso in casa. Continua a premere i tasti, anche se senti dolore”. Mi incastrò a vita nel ruolo. Migliaia di valigie consumate. Concerti interrotti per allarmi bomba, o perché saltava la corrente e nel buio la gente andava nel panico.
Il suo apprendistato fu rock.
Passai all’elettrica. Suonavo in chiesa con un gruppo di ragazzini. Mandai a memoria gli accordi dei Beatles e di Chuck Berry. Stivaletti e giubbotto. Licenziammo il fisarmonicista, non era abbastanza r’n’r. I miei idoli erano i campioni del blues. B.B. King, Otis Rush. Nel ’67 vidi Jimi Hendrix con i suoi Experience all’Hunter College di New York. Restai folgorato.
Nessuno come Jimi.
Aveva il soul, il fuoco dentro. Portò il rhythm’n’blues in un progetto rock che solo lui poteva intravvedere. Stava scrivendo il libretto di istruzioni per tutti gli altri. Mi impressionò pure Eric Clapton con i Cream. E Jeff Beck, talento supremo.
Scofield, nelle sue scorribande rock a un certo punto si ritrovò nella formazione di Phil Lesh & Friends. Il progetto parallelo di Lesh, leader dei Grateful Dead.
Phil mi disse: “Suona quel che vuoi, improvvisa”. E nelle canzoni dei Dead c’erano le parti di chitarra di Jerry Garcia, che era già morto. Non le avevo ascoltate.
Nella sua versatilità, a 74 anni, resta un faro del jazz. Quanti incontri.
Studiavo alla Berklee School of Music, a Boston. Gary Burton, il vibrafonista, era il mio insegnante, la prima stella del jazz che conobbi. Veniva a fare jam session con me e gli allievi con cui condividevo l’appartamento. Un giorno Gary mi fa: “Ho conosciuto un chitarrista molto più bravo di te.”
Chi era?
Pat Metheny. Aveva 18 anni, io 20. Venne a Boston, diventammo amici. Due stili completamente diversi, però la radice rock era comune.
Metheny ci porta a quell’altro semidio, il bassista Jaco Pastorius. Figura tragica.
Me lo presentò Pat. Eravamo tutti molto giovani. Il funk di Jaco, così aggressivo, rivoluzionò il basso elettrico. Al tempo in cui ci frequentavamo non beveva e non si faceva. Il suo crollo psichico fu dopo l’uscita dai Weather Report.
E Chet Baker?
Altra storia triste. Abitava per lunghi periodi a Roma. Dei pusher gli spaccarono la mascella e i denti per rovinarlo.
Domani si esibirà con il suo Long Days Quartet al Festival Internazionale del Jazz a La Spezia.
Non è la prima volta lì. Ho un po’ di mie canzoni nuove, molto funk. Il pubblico italiano è di intenditori.
La amano qui.
Una sera a Napoli, appena saliti sul palco ci fu un uragano di applausi. Neanche fossimo i Beatles. Man mano che il concerto procedeva i battimani si affievolivano, e all’ultimo pezzo non ci fu alcuna reazione. Dissi al promoter: “Non siamo piaciuti”. Lui: “Macché, sono tutti lì ad aspettare il bis”. Era vero. Fu spiazzante.
Lei è un artista americano. Come la accolgono nel resto del mondo?
Con molta comprensione. Capiscono che io sia agli antipodi di Trump e della sua corte. Quel tizio è completamente pazzo, bombarda e dice di lavorare per la pace. Questa non è la mia America. Dobbiamo resistere e pregare.