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 2025  luglio 17 Giovedì calendario

Famiglie “ristrette” ma bonus e congedi sempre più richiesti

L’inverno demografico ha ragioni economiche ben precise che spingono le donne, nel momento in cui scelgono di diventare madri, ad arginare i rischi di quella “penalizzazione lavorativa” a cui vanno incontro, fermandosi ad un solo figlio. Le politiche di sostegno alla genitorialità varate negli ultimi anni, dall’Assegno unico ai bonus nido e mamme, ai congedi facoltativi retribuiti all’80%, hanno avuto il merito di ampliare la platea dei beneficiari cercando di correggere una stortura che ha radici culturali profonde. Il XXIV rapporto dell’Inps, che fa il punto sui livelli record dell’occupazione e sulla spesa pensionistica, dedica un intero capitolo, “Genitorialità e inclusione: differenze nell’accesso alle misure di sostegno”, all’analisi delle tendenze demografiche e delle politiche familiari. L’obiettivo, si legge nel rapporto, è «indagare quali siano i principali fattori economici, culturali e di contesto che incidono sulla decisione relativa al numero di figli». Tra i trend più significativi – confermato dal tasso di natalità che è stabile a 1,2 figli per donna – la crescente diffusione del figlio unico. Se si considera la popolazione delle madri, circa la metà (49,5%) ha un solo figlio. Restringendo lo sguardo alle donne più adulte (diventate madri nel 2012-13) emerge come più frequente il profilo delle donne con due figli (48%), seguito da quelle con un figlio unico (38%). Le famiglie numerose restano una minoranza, con solo il 13% delle madri che ha tre o più figli. Numero di figli e condizione economica sono fattori legati a doppio filo: al crescere della dimensione familiare si osserva un progressivo peggioramento degli indicatori di benessere. Interessante la dimensione temporale della maternità: le donne che diventano madri in giovane età tendono ad avere più figli nel corso della vita, confermando un legame tra il timing della prima nascita e fecondità complessiva. Le madri straniere, ad esempio, iniziano il percorso di maternità mediamente prima e hanno in più figli (il 20% tre o più). A livello territoriale nel Nord-Ovest e in Sardegna predomina il modello del figlio unico, mentre nel Sud e in parte del Nord-Est sono più diffuse le madri con due o più figli. Le famiglie numerose si concentrano nel Sud e in alcune aree alpine. In Italia, va ricordato il tasso di occupazione femminile è pari al 53,1% con un forte gap rispetto all’Europa (66,3%). Considerevoli sono le differenze nell’impatto della genitorialità sulla traiettoria lavorativa in termini di carriera e retribuzione. I padri tendono a migliorarla mentre le madri, subiscono una “child penalty” più o meno elevata. In Italia, va ricordato, il tasso di occupazione femminile è pari al 53,1% con un forte gap rispetto all’Europa (66,3%). Un ruolo cruciale è giocato dalla composizione familiare: mentre le madri con un solo figlio riescono a recuperare la perdita retributiva entro tre anni dalla nascita, per quelle con più figli il percorso è più lungo e discontinuo, segnato da ulteriori “cali” in corrispondenza di nuove maternità. Anche l’età al primo figlio conta: le madri under 35 affrontano un rischio maggiore di uscita dal mondo del lavoro (25% contro il 12% delle over 35) ma, se restano occupate, recuperano più rapidamente. Importanti diseguaglianze a livello territoriale. Nel Mezzogiorno la probabilità di smettere di lavorare in seguito alla nascita di un figlio raggiunge il 26%, contro il 18% registrato al Nord, ma la perdita di salario è minore. Infine, il settore occupazionale incide in modo decisivo: nel pubblico, più protetto e regolamentato, la penalizzazione salariale dopo la maternità è pari a 14 punti logaritmici, meno della metà rispetto ai 31 punti rilevati in quello privato. Il presidente dell’Inps, Gabriele Fava presentando il Rapporto ha sottolineato la necessità di investire su donne e giovani, sostenendo la loro partecipazione al mercato del lavoro «È una condizione imprescindibile per assicurare la sostenibilità dinamica del sistema di welfare. Questi due segmenti della popolazione, pari a oltre 25 milioni di persone, rappresentano un potenziale produttivo e contributivo oggi solo parzialmente valorizzato».
Il rapporto dell’Inps analizza nel dettaparentale glio le principali politiche di welfare familiare recentemente implementate – con una spesa passata dal 3,3% del 2016 all’attuale 6,6% – per cercare di determinarne l’efficacia. Nel 2024 l’Assegno unico ha raggiunto circa 10,1 milioni di figli (circa il 94,6% dei genitori aventi diritto lo ha richiesto), con una spesa complessiva è stata pari a 19,8 miliardi di euro, il 9,5% in più rispetto al 2023, principalmente per effetto della rivalutazione annuale legata al costo della vita. Risultati preliminari evidenziano un incremento del 2,6% nella probabilità di avere un secondo figlio tra le madri con Isee basso (al di sotto dei 12mila euro), soprattutto tra le più giovani (16-30 anni) e quelle residenti nel Nord Italia. Per quanto riguarda il congedo facoltativo nei primi 12 anni di vita del figlio, è utilizzato dal 63% delle madri e solo dall’8,3% dei padri, con un marcato squilibrio di genere. Anche la durata media è molto differente: 126 giorni per le madri, contro i 36 giorni dei padri. Circa il 40% delle madri esaurisce i sei mesi disponibili nei primi anni di vita del figlio, mentre solo il 6% dei padri raggiunge il massimo previsto, con un uso più diluito nel tempo. Per entrambi i genitori l’intensità di utilizzo del congedo aumenta al crescere della stabilità contrattuale. Tra le madri, le non fruitrici sono quelle con i salari più bassi, dato che suggerisce un ostacolo economico all’accesso ai congedi, mentre tra i padri sono i fruitori più intensivi ad avere retribuzioni inferiori. I cambiamenti introdotti nel 2022 e 2023, vale a dire l’aumento dell’indennità per il congedo facoltativo dal 30% all’80% della retribuzione, inizialmente per un mese e in seguito per due, hanno prodotto un impatto positivo sull’accesso al congedo tra le madri e ancora di più tra i padri. L’effetto delle modifiche normative ha quindi aumentato la partecipazione, ma non ha prolungato la durata dell’utilizzo. Positivo il bilancio del bonus asilo nido. I dati del 2024 raccontano una storia di crescente successo: 521 mila bambini hanno beneficiato di questo supporto economico introdotto sette anni fa, con un notevole incremento rispetto ai 480 mila del 2023. Le famiglie hanno ricevuto in media 205 euro mensili per un periodo di 6/7 mesi. Un contributo significativo che, secondo le stime fatte dall’Inps, ha coperto il 54% delle spese della famiglia beneficiaria per i servizi per l’infanzia. Novità dell’anno scorso il cosiddetto “bonus mamme”, un’esenzione totale dei contributi a carico delle lavoratrici madri con contratto a tempo indeterminato. In teoria è riservato alle madri con tre o più figli ma, in via sperimentale, è stata esteso, per il solo 2024, anche a quelle con due figli. Il bonus, fino a un massimo di 3mila euro annui, ha coinvolto circa 667 mila donne, in prevalenza residenti al Nord (59%) e impiegate nel settore privato (494 mila). Le principali beneficiarie sono madri con due figli (74%), con un’età media di 42 anni.