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 2025  luglio 17 Giovedì calendario

La casa è ancora un’emergenza ignorata Ora c’è un Piano, ma i tempi sono lunghi

Nei numeri ufficiali l’emergenza casa non si vede. Più del 72% delle famiglie, dice l’Istat, vive in una casa di proprietà e un altro 9% in usufrutto gratuito. Per oltre otto famiglie su dieci, insomma, la questione casa è più o meno risolta. Per quelle due famiglie su dieci che una casa propria non ce l’hanno la situazione pare in graduale miglioramento, secondo il Rapporto Immobiliare 2025 realizzato dall’Agenzia delle Entrate: l’indice di affordability di una abitazione, che mette in relazione i prezzi delle case e i redditi delle famiglie (o, più precisamente, la rate mensile di un mutuo e gli introiti famigliari) risulta in miglioramento e il 70% delle famiglie è considerata in grado di affrontare l’acquisto di un’abitazione.
I numeri però stridono con l’esperienza della realtà che molti italiani vedono attorno a sé. Quella fatta di giovani che lavorano ma non riescono a trovare un’alternativa economicamente sostenibile per lasciare la casa dei genitori, di persone che lavorano e sono costrette a prolungare la vita da coinquilini anche quando i vent’anni sono passati da un po’, di famiglie con bambini piccoli costrette in case troppo strette per le loro necessità. Da un lato è un problema statistico: un giovane che resta con mamma e papà rientra in quell’80% di famiglie che vivono nell’abitazione di proprietà o quel 70% di famiglie che possono permettersi l’acquisto di una casa spesso sono famiglie che una casa (e magari più di una) ce l’hanno già. Inoltre le medie nazionali si sposano male con le dinamiche dell’immobiliare, che sono invece localissime perché chi cerca casa non vuole un’abitazione in generale, ma una casa in un’area molto precisa, perché è lì che può lavorare e vive. Dall’altro è un problema culturale: in una nazione diventata tra gli anni ‘70 e ‘80 una Repubblica di proprietari di immobili e da allora inesorabilmente invecchiata è difficile (e politicamente poco vantaggioso) far valere le ragioni di chi è dalla parte sfortunata dalle statistiche generali, di quella minoranza che paga affitti salati incrementando ulteriormente i redditi dei proprietari di casa. Non è molto popolare da queste parti l’idea che il mercato immobiliare perfetto sia quello in cui chi cerca la casa in cui vivere la possa trovare a un prezzo proporzionato alle sua capacità economiche, e non quello in cui i prezzi salgono di anno in anno rendendo sempre più generose le rendite immobiliari.
L’emergenza casa nella realtà c’è e riguarda soprattutto i giovani, sia studenti che lavoratori, e molte città, non solo le più grandi (pochi sanno, per esempio, che i prezzi immobiliari medi regionali più alti d’Italia sono quelli del Trentino Alto Adige, dove le case costano l’89% della media nazionale). È un’emergenza perché nelle aree in cui le persone vogliono andare a stare, perché è lì che ci sono le opportunità più ambite, le abitazioni hanno prezzi sproporzionati rispetto ai redditi. mentre nei luoghi dove le opportunità scarseggiano, come le cosiddette “aree interne”, le case economiche abbondano ma mancano persone che vadano a viverci. I progetti per ripopolare i piccoli borghi abbondano, e fortunamente in alcuni casi hanno successo.
Quelli per rendere più economiche le abitazioni per chi ha bisogno di vivere in una grande città scarseggiano. Non c’era bisogno delle indagini della Procura di Milano per sapere perché: chi conosce il capoluogo lombardo non può non vedere come in quasi tutti i grandi progetti immobiliari gli obiettivi speculativi superano di gran lunga quelli abitativi e gli amministratori locali lasciano fare, per ragioni su cui forse le indagini potranno fare chiarezza. Si costruisce, e si permette di costruire, per guadagnarci, non per fare in modo che la città possa accogliere più persone. Allo stesso tempo, tranne poche eccezioni, si fa pochissimo per frenare l’aumento delle case destinate ad affitti brevi per turisti, anche questi progetti di privati che legittimamente (perché nessuno corregge le norme) puntano ad aumentare la redditività delle loro proprietà e restringono le possibilità per chi cerca un’abitazione in cui vivere.
Gli interessi di chi ha bisogno di una casa per abitarci e quelli di chi ha bisogno di guadagnare su una casa che possiede o che vuole costruire confliggono. In questa normale contrapposizione di mercato oggi in molte città d’Italia, e più in generale di tutta Europa, i rentier immobiliari hanno un potere di gran lunga superiore agli aspiranti proprietari. In Italia i governi degli ultimi decenni non hanno fatto nulla per rimettere in equilibrio la situazione. Anzi: dalla cedolare secca al superbonus, governi di diversi colori hanno coccolato i proprietari immobiliari lasciando a bocca asciutta la minoranza degli inquilini.
L’attuale governo punta a intervenire con il Piano Casa, previsto dalla Legge di Bilancio 2025 e che a giugno ha trovato uno stanziamento iniziale di 660 milioni di euro. Non sono moltissimi, se si considera che secondo Confindustria Assoimmobiliare nei prossimi anni serviranno 635mila abitazioni, per 170 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati. È comunque un punto di partenza. Il Piano, elaborato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, punta a riorganizzare il social housing, rilanciare le Aziende Casa, creare una banca dati nazionale dell’abitare per monitorare il disagio abitativo. Si prospettano tempi lunghi per vedere i primi risultati. Di quei 660 milioni, 100 sono per progetti pilota per gli anni 20272028, 560 sono per il Piano Casa 2028-2030. Cinque anni, per chi ha bisogno di una casa oggi, sono troppi. Forse l’emergenza casa non è ancora abbastanza visibile perché se ne capisca l’urgenza.