professione reporter, 16 luglio 2025
Gli aspiranti giornalisti sono sempre meno preparati
Una notizia preoccupante arriva dal mondo dell’informazione, senza che giornali, tv o siti (escluso Professione Reporter) le abbiano dato rilievo. Eppure bisogna parlarne. Riguarda noi e la nostra professione.
Il cane non mangia cane ancora una volta si rivela abile sotterfugio per evitare di affrontare un problema di estrema gravità, che investe non soltanto il mondo dei giornali e dei media, ma la nostra società ormai in evidente declino nella sua declinazione più importante: l’istruzione o, più terra terra, la preparazione a una professione fondamentale. Lo spessore culturale di chi aspira a essere protagonista nell’informazione si assottiglia sempre più.
La notizia in questione è che mai come quest’anno si sono avuti tanti candidati bocciati all’esame per l’idoneità di giornalista professionista. È un esame di Stato, in passato molto duro, l’incubo di tanti giovani praticanti. Una bocciatura equivale a rifare le prove e, nel caso di una seconda bocciatura a ripercorrere per intero il praticantato. Altri due anni nel limbo, altra sofferenza. Sotto la gogna della bocciatura sono passati molti affermati giornalisti, molto spesso per errori di distrazione, così veniali che al secondo tentativo andavano avanti alla grande.
Oggi però la questione assume una veste più drammatica, più politica, poiché investe una delle strutture portanti di uno Stato moderno: l’istruzione. Nel nostro caso l’università. Fino a qualche anno fa per poter accedere all’esame bisognava aver lavoirato come praticante, in media due anni, in una redazione. Oggi è sufficiente frequentare un corso universitaria riconosciuto dai vari Ordini regionali per avere la chance di affrontare la commissione esaminatrice, composta da alti magistrati e giornalisti. Qui la novità, qui il problema.
La riforma, praticamente un mezzo fallimento, richiede a detta di molti un’altra riforma. È questo che chiedono i più avvertiti e preparati dirigenti dell’Ordine nazionale. Lo dimostra l’ultima sessione dell’esame dove i bocciati sono stati più delle metà dei candidati, in gran parte provenienti delle università che, come vedremo, mettono a nudo una realta sconfortante, a tratti drammatica: un’ignoranza disarmante come ebbe a dire qualche mese fa Saverio Cicala, giornalista di lungo corso e di talento.
Ancora non siamo al cuore del problema, poiché l’esito dell’ultima sessione dimostra che le nostre attuali università non sono all’altezza dei tempi e delle necessità imposte all’aspirante classe dirigente. Che cosa ha denunciato con chiarezza cristallina Cicala? “Che la preparazione culturale dei giovani è scesa drammaticamente a livelli a dir poco mediocri, come confermano il lessico spesso usato nelle prove scritte e l’ignoranza disarmante dimostrata dai più, in particolare della storia politica e sociale, anche recente, del nostro Paese, per non parlare degli eventi che si sono succeduti nel mondo che ci circonda”.
“Fenomeno molto preoccupante – ha precisato – che non riguarda solo i giovani che tentano di affacciarsi alla professione giornalistica, ma che investe molti altri settori della nostra società, dalla magistratura all’avvocatura, settori nei quali i pubblici concorsi e gli esami di abilitazione confermano le difficoltà che incontra la scuola italiana nello svolgere il suo ruolo educativo”.
Il problema dei problemi è che c’è un’enorme differenza tra un corso universitario e il praticantato in una redazione. Perché non dirlo allora? A parere di molti, negli atenei c’è la rincorsa ad avere sempre più iscritti, ad abbassare l’asticella anche nella preparazione e confezione di un articolo. Non di rado capita di assistere a conferenze e lezioni universitarie (beninteso, non tutte) di un livello così basso, al limite della banalità, da provarne vergogna.
In una redazione, invece, la stesura di un articolo era ed è sempre una prova del fuoco: c’era il caposervizio che lo leggeva e spesso storceva il muso. Stessa cosa faceva il caporedattore e, se l’argomento era di quelli delicati, il pezzo finiva sulla scrivania del direttore. Quanti fogli sono finiti accartocciati nei cestini… con il perentorio invito: “Riscrivilo”. E addio serata con gli amici o con la fidanzata.
La differenza è notevole. In una scuola di giornalismo c’è un solo momento di confronto, l’esame. In una readazione il confronto è continuo e a vari livelli, con più esami, e senza che i tuoi studi possano aiutarti. Si è soli, con l’articolo in mano e con il timore che finisca cestinato. Non è finita. Se c’è l’ok bisogna attendere l’ultimo giudizio, quello del lettore. Se si scrive una inesattezza o una sciocchezza, squilla il telefono e son dolori. E la direzione, in genere, non fa sconti. Quasi due anni di queste quotidiane torture fanno crescere e impongono di aggiornarti, di leggere, sempre, di scambiare esperienze con i colleghi. Insomma, fa crescere. A quanto sembra, viste le bocciature all’ultimo esame di idoneità (0cc0rre dire che presenta non poche difficoltà oggettive), la preparazione dei candidati, pur impegnati in lezioni di teoria e pratica di giornalismo scritto, televisivo, radiofonico e online, non appare incoraggiante. E se si parla di “ignoranza disarmante” qualcosa si deve pur fare.