La Stampa, 16 luglio 2025
Golden power, alta tensione Roma-Ue "È una questione di sicurezza nazionale"
Un botta e risposta che apre uno scontro diretto che irrompe nel risiko bancario italiano. La Commissione europea, tramite 56 pagine di missiva, smonta punto su punto il decreto Golden power con il quale il Palazzo Chigi ha imposto a Unicredit vincoli stringenti per tentare la scalata di Banco Bpm. Il governo non accetta le bacchettate e respinge le critiche di Bruxelles: «Risponderemo semplicemente riprendendo la sentenza del Tar che ci soddisfa e riconosce il principio che la sicurezza economica è parte della sicurezza nazionale», ha tagliato corto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma la spaccatura c’è, e la lettera finirà anche in discussione del board dell’istituto guidato da Andrea Orcel. Già questa settimana.
Di rado c’è stata una articolazione così puntuale a una mossa che, de facto, doveva essere di mercato. La lettera firmata da Teresa Ribera, commissaria alla competitività, non nasconde il fastidio di Bruxelles verso un provvedimento che, si legge, «viola» l’articolo 21 del Regolamento Concentrazioni ed «è contrario alle norme dell’Ue sulla libera circolazione dei capitali». L’Italia risponderà entro 20 giorni lavorativi, ma l’Unione mette in chiaro che se la replica dovesse essere debole potrebbe arrivare l’ordine «di revocare senza indugio il decreto». Tempi brevi, ma non sufficienti per avere un impatto sull’Ops che si chiuderà il 23 luglio e che in teoria avrebbe dovuto ridisegnare il panorama bancario italiano ed europeo.
Bruxelles contesta la scelta del governo di appellarsi alla «sicurezza nazionale». Anzi, per la Commissione «non vi è alcuna ragione apparente per cui l’acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit costituirebbe una minaccia reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società». La lettera, che sarebbe dovuta restare riservata, svela anche i difficili rapporti tra le istituzioni, con Palazzo Chigi che tra aprile e maggio non ha più volte risposto a mail e telefonate dei funzionari europei. Una scelta che non ha impedito alla Commissione di proseguire la sua indagine, fino ad arrivare a questo giudizio “preliminare” che ha tutti i contorni di una bocciatura.
La prescrizione su prestiti e depositi, quella sul project financing, sugli investimenti in emittenti in Italia e sullo sviluppo della società costituiscono «una restrizione alla libera circolazione dei capitali, che non è giustificata nell’interesse della pubblica sicurezza». Per quanto riguarda la gestione degli investimenti di Anima, la Commissione nota che, anche se la sgr «dovesse ridurre i propri investimenti in titoli di emittenti italiani, tali emittenti italiani continuerebbero a beneficiare dell’accesso a un’ampia gamma di gestori di attivi alternativi consolidati» e quindi «è difficile comprendere come un’ipotetica riduzione possa rappresentare una minaccia reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società italiana». Richiami sono arrivati anche sulla Russia: con il Dpcm, Palazzo Chigi punta a imporre a Unicredit l’abbandono di Mosca entro fine gennaio. Una misura che «costituisce una restrizione dei poteri di vigilanza attribuiti alla Bce» che già «ha adottato misure specifiche relative alle attività di Unicredit in Russia».
Il board di questa settimana, salvo sorprese tra giovedì e venerdì, analizzerà la posizione di Unicredit alla luce della decisione del Tar di sabato scorso e della missiva. L’umore, spiegano persone vicino al dossier, è misto. Da un lato c’è chi fa notare come il progetto imprenditoriale di Orcel è in linea con il progetto di consolidamento bancario richiesto a gran voce negli ultimi mesi. Dall’altro chi invece evidenzia le marcate influenze politiche dietro alla decisione che ha poi scatenato la reazione della Commissione europea. Le prescrizioni, concede un banchiere di lungo corso, «sono qualcosa di distorsivo del mercato in una fase storica in cui si richiede il massimo coordinamento per incrementare la competitività internazionale delle banche europee». Un concetto, quest’ultimo, che si riflette anche nelle parole dei policymaker della Banca centrale europea.