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 2025  luglio 16 Mercoledì calendario

Italiani spiazzati di fronte alla guerra "Solo uno su sei disposto ad arruolarsi"

Nel momento in cui la conflittualità globale si intensifica, con la deflagrazione di scontri militari dispiegati su più fronti, la società italiana si scopre impreparata. «Una impreparazione culturale e psicologica, prim’ancora che nella dimensione specificamente bellica: in pratica non si riesce a concepire la guerra come un fatto possibile e attuale, ritenendo ancora di poterla aggirare con astuzie politico-diplomatiche» rivela una nuova indagine del Censis su “Gli italiani in guerra” che La Stampa è in grado di anticipare.
Non solo il livello di allerta resta molto basso, e la probabilità che si concretizzi una minaccia diretta al nostro Paese si ferma a quota 31 in una scala che va da zero a 100, ma gli italiani non sono per nulla pronti a combattere. Anzi. Percepiscono tante minacce, mettendo ai primi posti Russia, Paesi islamici, Usa, Israele e Cina, ma nell’ipotesi che l’allargamento del conflitto finisca per coinvolgere l’Italia la maggioranza dei cittadini si chiama fuori.
Secondo un sondaggio inserito nella ricerca del Censis, effettuato su un campione di 1.007 individui rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne, nella fascia tra 18 e 45 anni – in pratica i soggetti potenzialmente più coinvolti in una eventuale chiamata alle armi -, solo uno su sei (ovvero il 16% del totale) sarebbe pronto a combattere, il 39% proclamandosi pacifista protesterebbe di fronte al richiamo delle forze armate, il 19% invece diserterebbe o fuggirebbe per non prendere parte alle ostilità, evitare il fronte e non assistere al bagno di sangue. E poi c’è un altro 26% che si rifiuterebbe di andare in guerra, proponendo «con cinica freddezza» come soluzione più comoda e preferibile quella di arruolare soldati di professione, di pagare mercenari stranieri a cui far fare il lavoro sporco al posto nostro.
Di certo, però, la situazione attuale impone di correre ai ripari, di prepararsi per tempo. Ma tra potenziare il nostro apparato di sicurezza e non farlo il Paese si divide: c’è infatti un 22% del campione che sostiene che non dobbiamo né rafforzarci né costituire un sistema di difesa europea e un altro 26% che invece sostiene che dobbiamo riarmarci «per essere temibili». Non solo: bisognerebbe investire sulla nostra difesa anche riducendo la spesa pubblica o sacrificando la spesa sociale, come i fondi per le scuole, gli ospedali e le pensioni. «Tra questi due poli si collocano tutti gli altri» segnala il Censis. Con una quota dell’11% della popolazione che arriva addirittura a sostenere che sarebbe ora che anche l’Italia si dotasse della bomba atomica.
Due italiani su tre sono convinti che il nostro non sia un popolo di guerrieri e che combattendo da soli verranno travolti dal nemico. E visto che per il 63% i dazi americani «sono già un atto di guerra», negli italiani adesso vacilla la convinzione che siano gli americani a proteggerci. «Forse questa è la crepa più profonda che si è aperta nell’opinione pubblica», sottolinea lo studio. Al netto dei contrari a qualsiasi meccanismo di riarmo, quasi la metà degli italiani è comunque convinto che occorrerebbe rafforzare la Nato, mentre una quota pari al 58% è favorevole a sviluppare un sistema di difesa europeo.
«A proposito di alleanze – reali, vagheggiate o solamente scritte nel libro dei sogni – va però sottolineato che il cinico pragmatismo di un popolo non battagliero, poco disposto a impegnarsi in prima persona, ci fa dire, con poche esitazioni, che la via maestra da seguire è la neutralità diplomatica, al riparo dal fuoco incrociato» rileva ancora il Censis. E questo vale per la guerra scoppiata al confine orientale dell’Europa, tra la Russia e l’Ucraina, e vale per la crisi mediorientale. Le opinioni prevalenti non cambiano, con rare eccezioni: è meglio che l’Italia ne resti fuori. Neutrali (al 59%) anche di fronte ad una possibile invasione della Groenlandia da parte degli Usa, mentre il 38% sostiene che dovremmo entrare nell’alleanza internazionale chiamata a difenderla e col restante 4% che starebbe invece con l’America.
Per affrontare i pericoli di un eventuale conflitto le strategie personali sono invece volte alla protezione della propria incolumità con accortezza e prudenza: l’81% si preoccuperebbe di cercare informazioni su un rifugio sicuro per ripararsi in caso di bombardamenti, il 78% provvederebbe a stoccare provviste alimentari a lunga conservazione, il 66% (con un picco del 77% tra i giovani sotto i 35 anni) si procurerebbe un kit di sopravvivenza per resistere il più a lungo possibile, il 59% si trasferirebbe in una località lontana dalle zone di guerra (la percentuale sale al 68% tra i giovani). C’è poi un 27% (39% tra i giovani) che pensa di procacciarsi un’arma e imparare a usarla per difendersi. «Si fa sentire l’eredità culturale di un Paese che nel tempo ha conosciuto invasioni, carestie e terremoti, e che sa distillare l’incertezza nell’arte di arrangiarsi – sintetizza così la ricerca del Censis -. È un’Italia che non vuole combattere, non sogna imprese eroiche e non ambisce a medaglie, ma nella cattiva sorte si prepara a resistere alla tempesta con astuzia e una buona scorta di viveri».
Insomma, «non è il calco dello stereotipo impersonato dalla coppia formata da Sordi e Gassman nel capolavoro di Monicelli La grande guerra – rileva infine il Censis -, ma certamente non è nemmeno il ritratto di un popolo pronto a marciare euforicamente sotto le bandiere e nel fragore delle armi, disposto a sacrificarsi con gli scudi alzati e gli slanci eroici sul campo di battaglia in nome di un astratto principio (che sia il diritto internazionale, la democrazia o la supremazia occidentale, poco importa)».