il Giornale, 16 luglio 2025
Tutto Cézanne dentro una "stalla"
Cinque milioni di euro investiti, mille metri quadrati di un museo, il Granet, a disposizione, 130 quadri riuniti, numero record, di cui 80 sono olii, 200 addetti per i servizi di accoglienza, informazione, biglietteria, la riapertura e il restauro di due siti storici, la casa di famiglia, l’atelier usato negli ultimi anni di vita. Questo in cifre è il risultato della mostra Cézanne au Jas de Bouffan da poco inaugurata a Aix-en-Provence (fino al 12 ottobre) a cui, a stretto giro, si dovrebbero aggiungere l’apertura, sempre negli spazi del Jas de Bouffan, di una biblioteca con 5mila libri di storia dell’arte, di cui 800 sono monografie sull’artista, un susseguirsi di colloqui, conferenze, nonché, ogni anno, un “salon” dedicato al libro illustrato d’autore. Unico neo, se così si può dire, di questo “torrente Cézanne” che chiude definitivamente quella maledizione Cézanne” che in vita e a lungo post mortem aveva avvelenato i rapporti fra lo scrittore la sua città, nel nome dell’incomprensione e del nemo propheta in patria, è l’annunciata pubblicazione delle memorie di una sua pronipote nelle quali si dà sconto delle venalità e delle turpitudini, “degne delle saghe più rocambolesche”, stando a quanto lascia trapelare l’editore Plon, degli eredi che lungo il secolo intercorso dalla morte dell’artista si sono succeduti... Infine una mostra al Pavillon de Vendôme, celebre palazzo d’epoca di Aix, fa il punto sulle altre due uniche esposizioni con cui la città lo aveva finora celebrato, la prima nel 1956, ovvero nel cinquantenario della morte, la seconda nel 1961. Di quest’ultima va ricordato il furto clamoroso di una delle tele di Cézanne più famose, Les joueurs de cartes: i ladri entrarono da una finestra del primo piano, mentre la conservatrice del museo dormiva tranquillamente nel suo appartamento del secondo. Il dipinto venne ritrovato un anno dopo, in una automobile abbandonata in una strada di Marsiglia. Gli autori del furto sono rimasti sconosciuti.
Nato nel 1839, primogenito di tre figli, origini borghesi modeste, i genitori avevano cominciato vendendo cappelli e borse, a vent’anni Paul Cézanne (1839-1906) aveva scoperto di essere ricco. Suo padre, Louis-Auguste Cézanne, si era trasformato in banchiere e come corrispettivo di un prestito concesso si era ritrovato proprietario del Jas de Bouffan, una bellissima “bastide”, con parco e stagno annessi, quindici ettari di terreno in totale, la montagna Sainte-Victoire, “il nostro campanile”, come la definirà più tardi l’artista, che si poteva vedere dalle finestre di casa. Al figlio, che studiava disegno nell’istituto di Aix, il padre aveva allestito un piccolo atelier al secondo piano, ma, soprattutto, gli aveva lasciato a disposizione i muri del grande salone al pian terreno, affinché il ragazzo si esercitasse. Quegli affreschi, quando Cezanne si vedeva più come un decoratore di teatri e di hôtel particulier che pittore da cavalletto, sono stati recuperati e/o riprodotti e ora fanno un po’ da introduzione alla grande mostra ospitata al Musée Granet: scene religiose, paesaggi e una deliziosa “partita a mosca cieca”, a imitazione di Nicolas Grenet, uno dei maestri delle cosiddette “feste galanti” del XVIII secolo.
Compagno di scuola di Emile Zola, Cézanne ritroverà quest’ultimo a Parigi, dove si era a sua volta trasferito per studiare all’Académie suisse e poi, come copista, al Louvre. È del 1864, quando ha venticinque anni, il primo rifiuto del Salon officiel a esporre i suoi quadri, rifiuto che si ripeterà per circa un ventennio, sino al 1882, quando per la prima e unica volta si vedrà ammesso. In quei vent’anni però Cézanne ha già incontrato Pissarro, Manet, ha partecipato alla prima esposizione impressionista e ci ha preso gusto: alla terza, quella del 1877, saranno sedici i suoi quadri esposti. Père Tanguy è il suo primo mercante, più tardi sarà la volta di Ambroise Vollard.
Nonostante Parigi, nonostante Estaque, nonostante Pontoise, dove di volta in volta si trova a vivere, mette al mondo un figlio, si sposa, Jas de Bouffan rimarrà il centro della vita artistica di Cézanne. Lì c’è tutto: ritrattistica familiare, il padre, la madre, le sorelle, lo zio, gli amici; paesaggi e nature morte; gente comune, contadini, artigiani, donne di servizio, semplici lavoratrici. C’è anche il piacere dell’autoritratto, ora con il cappello di paglia, ora con il berretto bianco, ora con lo sfondo rosa... È intorno allo stagno del Jas de Bouffan che si situa il ciclo delle Bagnanti, dove non c’è nessuna connotazione mitologica o erotica, ma le curve dei corpi come fossero le ondulazioni di una collina... È sul tavolo della grande cucina in stile provenzale che si allineano le pere, le pesche, le ciliege, le brocche e gli amorini immortalati nelle sue nature morte. E le mele, naturalmente, con tanto di Autoritratto e mela, quelle mele così ricorrenti nei suoi quadri che Cézanne stesso, rispondendo a chi gli faceva notare quella preferenza, risponderà che “venivano da molto lontano!”. Addirittura dai tempi della scuola, quando venuto in soccorso del piccolo Emile Zola, oggetto di burle e di spintoni, si era visto ringraziare da questi, il giorno dopo, con un paniere pieno, appunto, di quel frutto...
Fino al 1889, quando il Jas de Bouffan (in provenzale, la “stalla del vento") viene venduto, quegli spazi e quei luoghi sono tutt’uno con Cézanne e la Provenza. Non ha bisogno di muoversi da lì e se, come confesserà a un amico, ha cominciato “a vedere la natura un po’ tardi”, da quella natura non è mai riuscito a staccarsi. “Quando si è nati qui, si è fregati. Tutto il resto non ti dice più nulla”. Per certi versi, il Jas de Bouffan è anche legato indissolubilmente alla figura paterna, un padre che ha sempre creduto nel figlio, al punto, come abbiamo visto, di lasciargli decorare le pareti di casa e mettergli a disposizione uno studio, ma che di cui il figlio ha sempre avuto soggezione, al punto da nascondergli a lungo l’esistenza di una compagna di vita e addirittura di un figlio, costringendosi in pratica quasi a una doppia vita, scapolo fra quelle quattro mura, ammogliato” una volta varcata la porta d’ingresso...
Oggi la montagna Sainte-Victoire non è più visibile dal Jas de Bouffan. La città è cresciuta disordinatamente intorno, mangiandosi il paesaggio di Cézanne pezzo dopo pezzo. A quella sommità maestosa e insieme minacciosa, dove il rosso-ocra delle rocce alla base fa da contrasto con il grigio delle vette e i giochi d’ombra proiettati fra sole e nuvole, Cézanne dedicherà un’ottantina di variazioni, fra olii e acquerelli, tutti all’insegna dell’immutabilità, ovvero di una temporalità che sole le appartiene.
Grand Site de France dal 2004, con 32mila ettari preservati, Sainte-Victoire è al riparo dalla modernità dei tempi, quella modernità di cui il suo centro storico ancora ben conservato, soffre per un eccesso di turismo e il solito svuotarsi delle tradizionali attività lavorative che a esso si accompagna. La mostra celebra insomma una Provenza di Cézanne che è sempre più nei suoi quadri e sempre meno nella realtà di tutti i giorni.