la Repubblica, 15 luglio 2025
Intervista a Irene Grandi
Forse l’unico rimpianto è la gestione del successo: ancora oggi ho la sensazione di dover ricominciare tutto dall’inizio», ci dice Irene Grandi che sta celebrando i trent’anni di carriera con il tour Fiera di me. «Mi stupisce che le persone non sappiano ancora che canto bene. È come se il mio personaggio superasse sempre le mie doti musicali».
Irene Grandi, queste doti quando le ha scoperte?
«A sette, otto anni. Un ragazzino mi sentì cantare e mi disse: dai vieni in chiesa».
In chiesa?
«Negli anni Ottanta era uno dei pochi posti in cui poter suonare e dove potevi incontrare persone con la tua stessa passione. E poi c’era un riverbero naturale da paura».
Fu subito un successo?
«Dopo poche settimane, ero già la solista del coro. Mi svegliavo anche presto per andarci».
Lo dice come se fosse la definizione di “sacrificio”.
«Io di mattina ho sempre sonno».
Una figlia tutta casa e chiesa: genitori felici, immaginiamo.
«In realtà frequentare la parrocchia non è proprio nella cultura dei miei genitori…».
L’hanno sostenuta?
«Mi hanno lasciata libera. C’era un patto: se andavo bene a scuola, potevo cantare quanto mi pareva».
Dalla parrocchia in poi non si è più fermata.
«Certo che mi sono fermata. Per tutta l’adolescenza ho fatto poco e niente con la musica. Fu una vacanza a cambiare tutto».
Racconti.
«Ero a Marina di Grosseto, diciassettenne. Durante una cena degli amici che avevano un gruppo mi chiesero di cantare. Iniziarono a invitarmi ai loro concerti. Fu talmente bello che tornata a Firenze mi misi in cerca di una band».
Ne ha avute molte prima di diventare Irene Grandi.
«Ho fatto un bel po’ di gavetta: è fortificante. Iniziai a studiare musica sul serio. E poi mi pagavano per quello che più mi piaceva fare.
Poco, ma mi pagavano».
Una immagine da quel periodo?
«I locali pieni di fumo, il groviglio di fili sul palco. Ricordo di un concerto su una pista di pattinaggio vicino a Porretta, di pomeriggio. Andavamo ovunque ci chiamassero».
In quegli anni ha incontrato anche Stefano Bollani.
«Quando l’ho visto per la prima volta mica avevo capito che era un bimbo: aveva quindici anni e già sembrava un uomo con la barba. Non aveva ancora messo il naso fuori dal conservatorio, lo invitammo a suonare. Stefano è un prodigio».
Poi arrivano gli anni Novanta e Red Ronnie con “Roxy Music”.
«Credo sia stata la mia prima trasmissione televisiva. Red mi invitava spesso. Forse mi vedeva meno apparecchiata delle altre cantanti. Ero così: gonna, felpa e anfibi».
Il suo 1995 è l’anno di “In vacanza da una vita”, di “Bum Bum”. E anche l’anno della collaborazione con Pino Daniele.
«Jovanotti gli parlò di me. Mi chiama il mio manager: Pino Daniele vuole registrare con te. Mia madre non ci poteva credere: a casa ha solo una mia foto, è un poster in cui sono con Pino».
Insomma, raggiunge lo studio…
«…e anche se Pino aveva già registrato la sua parte, per farmi sentire a mio agio iniziò a cantare con me. Mi chiese anche scusa perché stonava…figuriamoci, non era vero ovviamente. Pino era così».
Quella canzone, “Se mi vuoi”, cosa le ha dato?
«Reputazione. Il rispetto dei colleghi. Da un momento all’altro non ero più solo la ragazza strafottente. Ero una cantante».
Anche Vasco Rossi ha scritto per lei.
«Tre canzoni in vent’anni. Quello di Vasco è uno dei legami a cui più tengo. Mi vuole bene. E sono felice di essere cresciuta professionalmente con lui al mio fianco».
Hanno composto per lei Jovanotti, Pino Daniele, Vasco…
«... e Francesco Bianconi, mi ha regalato due capolavori».
“La cometa di Halley” e “Bruci la città”. Ma chiedevamo: mai percepito l’invidia da qualche collega?«L’invidia nessuno la dimostra apertamente. Diciamo che quando cerco qualcuno faccio un po’ di fatica».
Tra i suoi incontri c’è anche quello con Giulio Andreotti.
«Che scena. Ero su un treno Roma Milano. Vado verso il mio posto, mi giro e c’era l’Andreotti lì, solo, inerme. Mi colpì che se ne stava tranquillo in mezzo ad altri passeggeri».
Nel 2010 ha mollato tutto ed è andata via per un anno.
«Dovevo staccare. Ero sfinita dai rapporti discografici. Volevano canzoni e dischi a ripetizione. E io non volevo fare troiai…».
Traduciamo.
«Volevo fare le cose per benino. E in quel momento non potevo senza prendere prima una pausa. Avevo perso di vista le cose importanti: la famiglia, gli amici».
Oggi ha ritrovato un equilibrio?
«Devo sempre cercarlo ma adesso ci metto meno tempo».
L’anno scorso ha invitato Paolo Benvegnù a uno dei suoi concerti.
«Che dolore per Paolo. Avevamo ripreso a collaborare, c’era tutto da ricostruire. Uno degli artisti più profondi che abbia mai incontrato».
C’è qualche musicista italiana che le piace particolarmente?
«Serena Brancale. Segni particolari: strepitosa».
E il suo segno particolare?
«Rompicoglioni… ho detto un’altra parolaccia?».
Può darsi.
«Perdono. Anche se è meglio dire qualche parolaccia che restare in silenzio a fare, come dice il mio amico Daniele Silvestri, la guerra con le carte Visa. No?».