corriere.it, 13 luglio 2025
Il gioco d’azzardo? Un giro da 157 miliardi Coinvolto un italiano su due
La febbre del gioco d’azzardo contagia sempre più persone in Italia. I dati parlano chiaro: è in crescita il numero di chi punta i soldi sulle vincite attraverso vari canali – 20,7 milioni di residenti in Italia, quasi la metà dei maggiorenni – e lievitano anno dopo anno le cifre spese, arrivate a 157 miliardi di euro nel 2024 dagli 80 miliardi del 2020. Ma anche i giovanissimi ne sono dediti. Il 37% dei ragazzi e delle ragazze fra i 14 e i 19 anni nel 2023 ha fatto giochi di azzardo o di fortuna e due su tre, il 64%, prediligono l’online. Statistiche che si riferiscono solo ai giochi «pubblici», cioè, regolamentati e autorizzati dallo Stato, e non alla galassia sommersa di quelli illegali.
I dati contenuti nelle indagini realizzate da Nomisma non denunciano del tutto la gravità della situazione, ma destano comunque preoccupazione fra gli osservatori e fra chi lavora contro le dipendenze. Come Maurizio Fiasco, sociologo, presidente di Alea, l’associazione per lo studio del gioco d’azzardo e i comportamenti a rischio. Che ricorda come dalla fine degli Anni ‘90 sia cambiato l’atteggiamento da parte dello Stato: prima conteneva il fenomeno, considerato rischioso, e le autorizzazioni, oggi lo considera un settore economico come gli altri. «Sembra – commenta Fiasco – che non ci sia mai un punto d’arrivo. Eravamo allarmati quando si superavano i 50 miliardi di flusso di giocate, oggi siamo oltre i 150. Per le persone dobbiamo considerare che non esiste solo la variabile monetaria, ma anche il tempo di vita sociale. La frequenza di gioco è sempre più alta e questo documenta quanto si stia estendendo la dipendenza».
Non finisce qui. «Il 20% dei clienti – prosegue Fiasco – concentra più o meno l’80% della domanda. Significa che uno su cinque compra ripetutamente e la gran parte di quello che spende finisce nelle casse dello Stato o dei concessionari. Nel 20% più assiduo ci sono anche i patologici e se esistesse davvero il gioco responsabile l’industria dell’azzardo fallirebbe». Un italiano su due non ha alcun contatto con il gioco e questo dimostra anche come non sia aumentata la popolazione che lo pratica, ma l’intensità di chi vi è dedito. «L’opzione – aggiunge ancora Fiasco – non è vincere o perdere, ma esaurire i soldi utilizzati con diversi turni di gioco. Si alternano le fasi di gratificazione, riducendo la quota di denaro da perdere ed entrando in un cerchio infernale che aumenta la dipendenza prolungata nel tempo».
Secondo gli analisti il gioco definibile responsabile riguarda più o meno l’80% di chi lo fa, ma questi spendono una piccola quota sul totale del denaro puntato. Agli sportelli della Caritas sta aumentando il flusso di persone che chiedono aiuto, perché non hanno di che vivere a causa della dipendenza da gioco.
Per contrastare, e prevenire, questo fenomeno la Caritas ha lanciato il progetto «Vince chi smette». «Ci siamo resi conto sempre di più – spiega Caterina Boca di Caritas – che le persone si rivolgono ai servizi quando sono molto indebitate per l’azzardo, senza arrivare per forza ad una dimensione patologica. Molti sono a rischio, ma non ne sono consapevoli e non lo avvertono come un problema. La situazione è tale per cui spesso il denaro che chiedono e ottengono lo spendono ancora nei gratta e vinci nell’azzardo». Con la campagna e con altre azioni la Caritas e le associazioni chiedono alla politica un impegno anche legislativo per creare argini alla dipendenza e lavorano nelle comunità per far crescere la consapevolezza. Anche fra i giovani «che – spiega ancora Boca – utilizzano i loro device per scommettere: e il fenomeno digitale è meno mappabile, più nascosto e rilevante».
Punta dell’iceberg
Le conseguenze peggiori della dipendenza sono sotto gli occhi delle comunità terapeutiche che registrano un aumento constante delle persone curate. Nei 600 servizi che fanno parte della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (Fict) nel 2024 sono stati presi in carico 551 giocatori di azzardo patologico, con un aumento del 60% rispetto al 2020. Quelli che arrivano ad essere curati, e che accettano di farlo, sono solo una piccola punta dell’iceberg di chi vive una dipendenza patologica.
«Il problema principale – secondo il presidente della Fict, Luciano Squillaci – è che le persone che hanno una dipendenza non hanno una minima consapevolezza di averla ma arrivano alla Caritas o alle fondazioni antiusura pensando di avere solo un problema economico. E consideriamo che anche la criminalità organizzata ingrassa con l’azzardo». Più si è tempestivi e più il percorso riabilitativo funziona e ottiene risultati migliori di quando si interviene in situazioni ormai compromesse. «La cosa da fare è avere il coraggio di rivolgersi ai servizi specialistici – conclude Squillaci – e non illudersi di poter risolvere tutto con il fai da te».