Corriere della Sera, 14 luglio 2025
La cultura woke. Che cos’è, cosa vuole
Il 4 marzo 2025 il neoeletto presidente Donald Trump dichiara davanti al Congresso che gli Stati Uniti «non saranno più woke». La wokeness, dice, è una minaccia. Mentre Elon Musk scriveva sul suo social X che il woke è un «virus mentale». Ma che cos’è la cultura woke? È davvero una minaccia?
In Europa il significato della parola «woke» rimane oscuro alla maggior parte delle persone. In Italia viene associato al «politicamente corretto», concetto collegato ma non sovrapponibile. Il termine «woke» deriva dal verbo «to wake», «svegliarsi», e ha una lunga tradizione nella comunità afroamericana: è un invito a vigilare sulle ingiustizie sociali. Dopo l’omicidio di George Floyd nel 2020, e l’esplosione delle proteste di Black Lives Matter, l’espressione woke coinvolge rapidamente tutte le minoranze oppresse del mondo, e diventa una vera e propria controcultura dei nostri giorni, portata avanti soprattutto dalle generazioni più giovani. I fondamenti del pensiero woke sono almeno tre: 1) lotta contro la discriminazione razziale, di genere, sessuale, coloniale, economica; 2) unione delle diverse forme di oppressione; 3) critica alle strutture di potere dove l’ingiustizia è sistemica, per riformarle.
Unione di minoranze
In sostanza, la cultura woke dice questo: «Tu, persona transgender i cui diritti fondamentali sono compressi dalla società, non sei diversa da me, persona nera, che vivo la mia forma di esclusione. Tu, attivista climatico che ti batti per la tutela dell’ambiente, sappi che i neri in America, per esempio, sono vittime più gravi dei cataclismi climatici rispetto ai bianchi, perché vivono in zone più esposte, case meno sicure, hanno meno accesso alle assicurazioni e alle cure. Quindi ci conviene unire le forze ed estirpare alla radice le cause dell’ingiustizia». Il woke è un ambito che coinvolge il linguaggio, le politiche di inclusione nei posti di lavoro delle minoranze, dai non bianchi alle persone con disabilità, alle persone transgender (politiche che negli Stati Uniti vengono indicate con la sigla DEI, Diversity, Equality and Inclusion). Woke è anche la rilettura della storia con la sensibilità di oggi, attraverso la critica della teoria della razza e la Cancel Culture.
Linguaggio inclusivo
La sfera che riceve più attenzione, anche mediatica, è quella linguistica. La cultura woke si fa promotrice di un cambiamento nel modo di scrivere e parlare (che, va detto, era già in corso da diversi anni). Negli Stati Uniti come in Canada, per esempio, diventa una prassi quella di rivolgersi alle persone con i pronomi che ritengono più adatti a loro stessi. Le persone possono decidere se essere indicate come «lui» o «lei» a prescindere dal sesso biologico. Oppure, se non si riconoscono in un’identità maschile o femminile, usare il pronome neutro «loro». Allo stesso modo, in Italia, si diffonde la scrittura con l’uso dell’asterisco al posto delle desinenze maschili/femminili. Vengono incoraggiate espressione neutre, come «persona transgender» rispetto a «transgender».
The Political Insider ha misurato la rapidissima diffusione della cultura woke dal 2020 in poi nelle pubblicazioni scientifiche e in quotidiani come il New York Times. Si è registrata una impennata di parole chiave collegate al woke, come «sessismo, patriarcato, omofobia, razzismo, islamofobia, transfobia (violenza di genere), ageismo (discriminazione basata sull’età), abilismo (discriminazione basata sulle abilità fisiche), Lgbtq+, impronta carbonica, postcolonialismo» e molte altre.
Cultura della cancellazione
Un campo di studi in espansione, e che negli Stati Uniti prende il nome di Critical Race Theory, analizza come il razzismo sia radicato nelle istituzioni e nelle leggi. Per esempio, la festività del Columbus Day è da anni al centro delle critiche. Le Americhe non sarebbero state «scoperte», come vuole la narrazione eurocentrica, bensì invase e colonizzate. L’eredità di Cristoforo Colombo è dunque più controversa di quella che abbiamo imparato a scuola.
Molte figure chiave della storia americana ed europea vengono riconsiderate e spesso condannate per il proprio ruolo nello schiavismo e nell’oppressione. Tra il 2015 e il 2023, centinaia di statue (non solo quelle di Colombo), targhe commemorative e monumenti vengono vandalizzati negli Stati Uniti. Sono considerati simboli del suprematismo bianco e del colonialismo, tra gli altri, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, George Washington e perfino Abraham Lincoln, nonostante il suo ruolo nell’abolizione della schiavitù. Nel 2021 a Winnipeg, in Canada, vengono abbattute le statue della Regina Vittoria e di Elisabetta II dopo la scoperta di fosse comuni dove sono state seppellite le popolazioni native. La furia della «cancellazione» si ripercuote anche in Europa. In Belgio attaccate le statue di Leopoldo II per le atrocità commesse in Congo durante la colonizzazione. Nel Regno Unito, a Bristol, la statua del trafficante di schiavi Edward Colston viene gettata in un fiume. Ma vengono vandalizzate anche le statue di Winston Churchill per l’accusa, dibattuta fra gli storici, che avesse idee razziste. Il processo alla storia riguarda le opere esposte nei musei, i cartoni animati e i film per bambini. Lo scrittore Roald Dahl viene accusato di body shaming nella caratterizzazione di Augustus Gloop ne La Fabbrica di cioccolato.
Critiche al woke
La ricerca esasperata di pulizia nella lingua, la distruzione delle statue – che ricorda pericolosamente quella del fondamentalismo islamico in luoghi come Palmira – e l’ortodossia nella critica storica, hanno offerto il fianco alle critiche della destra, che ha individuato nel woke il nemico numero uno della libertà di espressione e perfino della democrazia liberale. Tant’è che nel sondaggio Ipsos del marzo 2023 il 60% degli elettori repubblicani considerava woke un insulto, così come il 42% degli elettori indipendenti e il 23% dei democratici. Ma la critica a una certa deriva è arrivata anche da una parte della sinistra: l’attenzione eccessiva all’identità etnica, di genere, sessuale, rischia di adombrare problemi socioeconomici più gravi e importanti. Nel libro La sinistra non è woke, la filosofa Susan Neiman afferma che l’ortodossia woke è in contraddizione con i valori universali della sinistra.
Minaccia o pretesto?
Posto il fatto che l’attenzione alle minoranze, la lotta alle ingiustizie sociali e la critica al colonialismo sono largamente condivisi, gli eccessi sono una minaccia reale alla democrazia, oppure un pretesto per le destre? Stimare l’impatto reale è difficile, per la varietà delle tematiche e la carenza di dati attendibili. Ci sono però degli indicatori che aiutano a orientarsi: per il 57% degli americani il woke ha avuto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali del 2024 (You Gov).
Anche lo sport è un osservatorio stimolante: nel 2022 la prima nuotatrice trans, Lia Thomas, ha vinto in un campionato Ncaa femminile. La notizia ha destato scalpore e sollevato la questione della partecipazione delle atlete transgender nelle competizioni femminili (dove possono avere innegabili vantaggi legati al sesso biologico), sebbene si parli di circa 10 atlete su un totale di circa cinquecentomila. Ebbene, un sondaggio di NBC News ha mostrato che il 75% degli adulti americani era contrario alla partecipazione delle donne trans nelle competizioni sportive femminili.
Il divario politico
La percezione del woke è ovviamente molto diversa fra repubblicani e democratici. Da un sondaggio del sito no-profit The 74 il 69% dei democratici, ad esempio, considera il razzismo un elemento centrale dell’esperienza americana, contro il 24% dei repubblicani. Quasi il 70% dei sostenitori di Donald Trump considera la cancel culture un grave problema della società, contro l’appena 31% dei democratici. Il 56% sostenitori di Trump afferma che l’aumento della diversità è una minaccia per l’America, contro il 10% di chi ha sostenuto Kamala Harris.
Il divario di età
Il woke è inoltre una cultura che appartiene soprattutto ai giovani. Da una ricerca del 2022 della Northwestern University, le persone nella fascia 18-29 anni erano significativamente più favorevoli all’insegnamento della «teoria critica della razza» rispetto agli over 50. Fra la Generazione Z il 36% si dichiara a favore della partecipazione delle atlete trans in competizioni femminili, contro il 25% dei più adulti. La stessa tendenza si riflette all’interno delle singole comunità: tra gli ispanoamericani, per esempio, il 60% delle persone under 30 sono favorevoli all’uso del termine «Latinx» al posto di «Latinos» e «Hispanics», rispetto al 47% del totale.
La guerra al woke
L’impatto del woke è stato presentato dalla propaganda di destra come una minaccia alla libertà di espressione per la sua attenzione al linguaggio inclusivo, e come una minaccia al funzionamento dello Stato per le politiche di inclusione sociale.
Uno studio condotto da Speech First sulle università americane, dal titolo emblematico «Niente laurea senza indottrinamento» (woke), sostiene che nel 2024 il 67% degli atenei americani richiedesse come condizione essenziale per la laurea l’aver partecipato ad almeno un corso legato a «inclusione, uguaglianza e diversità». Le università dunque sono state individuate come la culla del pensiero woke, e per questo attaccate dagli ordini esecutivi di Donald Trump con la cancellazione dei finanziamenti federali. In sostanza, per proteggere la libertà di espressione sono state sanzionate, allontanate e minacciate di deportazione persone che esprimevano il proprio dissenso.
Cresce la censura
Sempre in nome della libertà di espressione Trump si è dedicato attivamente alla censura. PEN America ha registrato un aumento vertiginoso dei libri che trattano tematiche razziali, Lgbtq+ e ambientali, dei quali è stata chiesta la censura. Se nel biennio 2021-2022 le richieste erano state circa 2.500, nel biennio 2023-2024 sono diventate oltre diecimila. Sono stati stilati elenchi di parole vietate nei bandi, negli articoli scientifici e in generale nei documenti pubblici, fra cui «attivismo, sessualità, trauma, disabilità e crisi climatica». Ma l’epurazione di Trump è a tutto campo: riguarda anche le assunzioni DEI negli uffici pubblici e nelle forze armate, con migliaia di persone mandate a casa. In sostanza, con la scusa del contrasto agli eccessi del woke, Trump ha sabotato ogni sforzo verso l’inclusione e la giustizia sociale. In nome della restaurazione del «senso comune», della «libertà di parola» e del «merito», ha innescato una cancel culture al contrario, con effetti ben più violenti degli eccessi che dichiara di voler correggere.
Un aneddoto istruttivo
Quando, alla fine di gennaio 2025, un aereo e un elicottero militare si sono scontrati sopra il fiume Potomac, a Washington D.C., Donald Trump ha immediatamente insinuato che persone prive di abilità necessarie fossero state assunte nell’aviazione per motivi di inclusione. Interrogato sulle prove a riguardo, Trump ha risposto che gli bastava il «common sense». Fonti accreditate attribuiscono il problema alla carenza di personale, supplita da turni troppo lunghi con accumulo di stress. Problemi antichi insomma, tutt’altro che woke. E qual è invece il «merito» che Donald Trump ha finalmente ripristinato? Ha piazzato a capo del CP3, la divisione antiterrorismo, Thomas Fugate, un ragazzo di 22 anni con esperienza di giardiniere e fattorino. Tulsi Gabbard alla direzione della National Intelligence, filorussa senza esperienza di intelligence. Pete Hegseth a capo del Pentagono, ex ufficiale della Guardia nazionale, ex mezzobusto di Fox News, accusato di molestie sessuali e con nessuna competenza in materia di Difesa. L’elenco di incarichi cruciali e privi di curriculum adeguati sarebbe ben più lungo.
E in Europa?
I partiti di destra ed estrema destra imitano la propaganda antiwoke americana, ognuno declinandola secondo i propri interessi specifici. In Francia Marine Le Pen prende di mira il multiculturalismo; in Germania AfD mette sotto il cappello woke la battaglia contro i migranti; in Spagna Vox si batte contro le politiche gender perché corrompono la società; in Italia il governo Meloni ha messo nella sua agenda politica una legislazione contro il riconoscimento dei figli di coppie dello stesso sesso. Con la scusa di colpire l’estremismo woke, vengono così messe in pericolo libertà fondamentali molto più ampie, l’essenza stessa della democrazia.