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 2025  luglio 14 Lunedì calendario

Intervista a Niky Savage

Da bambino sentiva che sarebbe diventato qualcuno. Ma imboccare la strada giusta per il successo è stato più complicato del previsto. Niky Savage, all’anagrafe Nicholas Alfieri – 25 anni, milanese originario di Napoli – ha iniziato scrivendo canzoni intime e introspettive, ma senza mai fare centro. Poi, come dice lui stesso in un vecchio pezzo, Wao, ha fatto «lo step back per il tiro da tre». In un momento di leggerezza, dopo la fine di una relazione, ha invertito rotta e ha scritto Yamamay. E da lì tutto è cambiato. Il pezzo ha raggiunto oltre 30 milioni di visualizzazioni su Spotify. Ed è diventato solo il primo di tanti brani con numeri da capogiro. Dopo il successo, però, sono arrivate anche le critiche, le accuse di misoginia. Con il suo primo album, Rapper – appena uscito – Niky mostra che dietro la superficie c’è di più. Nelle 12 tracce i testi crudi e disillusi si alternano a quelli personali. Le collaborazioni con Artie 5ive, Lazza, Nayt, Jamil, Faneto e Rhove, diventano una potente cassa di risonanza alla sua voce ruvida.
Da bambino sognava di fare il rapper?
«A scuola mi atteggiavo, volevo essere al centro dell’attenzione. Non lo facevo per fare il figo, era proprio il mio modo di essere. Sapevo che il mio destino era scritto».
Che musica ascoltava?
«Quando ero neonato e piangevo tanto, bastava mettermi in macchina con Gigi D’Alessio in sottofondo e mi addormentavo. Con mia madre e mio zio sentivo Tiziano Ferro ed Eminem. Però è quando ho visto un amico rappare che ho pensato: “Voglio farlo anch’io"».
All’inizio faceva canzoni personali, poi ha cambiato direzione.
«Sono andato in studio e c’era una base diversa dal solito. Ho fatto un pezzo più leggero, più giocherellone. E boom: 30 milioni di views. Non era voluto, però poi ho scelto di continuare su quella linea. Mi sono detto: “Batto il chiodo finché è caldo"».
Rappa: ci vuole coraggio a essere me.
«Quando hai una certa faccia, un certo stile, la gente ti giudica. Ti dicono: “Non sei credibile”. Perché ho i ricciolini, il cappellino e mi piace vestire bene, per qualcuno non posso fare rap».
Sui social la criticano molto?
«Un po’ sì, ma gli haters ormai non li vedo nemmeno».
Il titolo del disco, “Rapper”, è una rivendicazione?
«Assolutamente. Ed è anche una provocazione artistica».
Dice che il suo rap non è trash.
«Non considero trash nemmeno i miei pezzi più leggeri. Il punto è che la gente non ascolta davvero. Guarda la faccia, sente due parole e giudica. Ma in ogni brano metto qualcosa di personale, anche solo una frase».
Nel pezzo “Cose che non posso dire” parla delle violenze che ha subito sua madre.
«Non è stato facile scriverlo. Volevo che nel disco avesse il giusto spazio, che colpisse».
La sofferenza è fonte di ispirazione ?
«Al 100%. Quando ero a scuola mi prendevano in giro, ma io non mollavo. E quella forza te la porti dietro. Spesso penso che se non avessi avuto l’ambizione, magari oggi sarei su una panchina, senza fare nulla».
Come risponde a chi la accusa di essere sessista?
«Mi sembra ignoranza, sinceramente. Chi non conosce il rap e non conosce me si ferma all’apparenza, a una singola frase. Sono cresciuto in una famiglia praticamente di sole donne. Racconto solo la realtà, anche se in modo crudo. Quando arriva dritto nell’orecchio spiazza. Ma quelle cose fanno parte della vita».
Parla anche d’amore.
«In modo molto intenso, sia nel bene che nel male. L’amore mi prende tanto, e anche quando finisce, lascia il segno».
Ha tante canzoni nel cassetto ?
«Potrei fare un altro disco. Prima di uscire con il mio primissimo singolo, mi sono chiuso in studio per un anno. Ho fatto circa novanta pezzi e ne sono usciti solo quattro. Ma è così che mi piace lavorare».
Cosa la ispira?
«Un po’ tutto. A volte quello che mi succede, altre volte un film, un videogioco. Dipende anche dal beat. Se è triste, è il mio cuore che parla. Se è più stiloso, mi può venire un’idea diversa. È tutto un mix del mio vissuto».
Ha un obiettivo?
«Più dei numeri, più dello streaming, mi auguro che il pubblico mi capisca. Certo, i dischi d’oro fanno piacere, ma ora voglio che la gente si accorga di chi sono davvero».
C’è un artista con cui le piacerebbe collaborare?
«Il mio sogno sarebbe fare un film con Adam Sandler. Una roba padre-figlio, una storia familiare. Lui è il mio attore preferitp e Big Daddy – Un papà speciale mi ha fatto impazzire».