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 1985  luglio 22 Lunedì calendario

A Stava morì la superbia dei trentini

Esistono responsabilità e ci sono quindi i responsabili. Forse qualcuno pagherà, non sappiamo quanto caro, ma finirà per farlo. E in queste occasioni è meglio, ancora più che in altre, fare luce magari tardi ma chiara, piuttosto che subito ma opaca.
Per intenderci, se a pagare dovrà essere il pezzo da novanta, meglio lui tardi che il pesciolino subito. Ma non è questo che vogliamo qui dire, anche perché non sarebbe un auspicio nuovo ed originale. Anzi è un augurio che sa di consunto e di stantio come i sogni dei povericristi che confidano in un bel tredici al totocalcio per sistemare la famiglia tutta la vita. O come quello che si fece per la tragedia del Vajont per la quale, a pagare, furono dei poveri tapini.
Qui, quello che vogliamo dire è che il maledetto torrente di fango di Stava non ha cancellato soltanto vite umane, non soltanto quattro, dieci o venti case, frutto magari del sudore incalcolabile di emigrati tornati con il gruzzolo in tasca o di operai che hanno venduto i loro polmoni nelle miniere per qualche lira in più. Ha cancellato (speriamo) con un secco colpo di spugna la superbia di noi trentini, noi depositari della vera civiltà, noi veri figli dell’educazione austroungarica, noi interpreti di una cultura sociale e civile impareggiabile, noi sottili ed indiretti affermatori e soggetti di una razza sociale migliore, noi altezzosi critici delle amare realtà meridionali, noi orgogliosi fautori di una vita sociale che davamo, e invece millantavamo, per onesta, pulita, corretta, trasparente.
Noi, ancora, che con la nostra autonomia (benedetta, sia chiaro!) ci siamo creati delle istituzioni che lontane dalle pastoie di Roma, ci fanno dormire i sonni tranquilli. Noi che non lasciamo punito alcunché, noi che conosciamo lupara e coppola soltanto nella letteratura e di fronte alle quali ci scandalizziamo, noi che amiamo il nostro territorio e le sue bellezze tanto quanto si ama la gioventù, noi che abbiamo tanto disprezzato la vergognosa speculazione edilizia dell’Irpinia che una scossa di terremoto ha messo a nudo con case costruite di melma, noi che saremmo ribelli ai ricatti mafiosi, noi che chiamiamo «terroni» i meridionali, noi che non ci giochiamo sporchi guadagni sulla pelle di operai e della povera gente, noi che abbiamo irriso (e per certi aspetti non a torto) i «verdi» perché facevano le cassandre, accusandoli di vedere fantasmi ovunque, noi che siamo tutti alfabetizzati, noi che rispettiamo più il pubblico del privato, noi che spesso parliamo il dialetto con i nostri connazionali di altre regioni quasi a voler imporre la nostra superiorità, noi, «tedeschi», che non evadiamo il fisco pagando sempre le tasse, il bollo di circolazione, il canone tv, che non abbiamo mai bisogno di niente e di nessuno, noi, trentini, abbiamo fermato l’orologio della nostra storia alle 12.30 di venerdì 19 luglio.
Da qui si deve ripartire, colpendo sì i colpevoli, e reagendo con quella irresoluta determinazione e dignità che le immagini del dopo tragedia hanno trasmesso in tutto il mondo. Perché tanti anni di buona reputazione non siano andati perduti in quei venti tremendi secondi.