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 2025  luglio 14 Lunedì calendario

"Mio papà Paolo, talento e pigrizia di un maestro della risata popolare"

Set del film Il conte Tacchia del 1982, diretto da Sergio Corbucci. Si gira la scena di un pranzo per il quale Vittorio Gassman e Paolo Panelli devono mangiare chili di baccalà fritti. Alle dieci del mattino... “Il povero Panelli li masticava solo, senza osare deglutirli raccontava Enrico Montesano, protagonista del film -. E il regista Corbucci ritardava apposta lo stop”. Alessandra Panelli ride. “Papà faceva sempre scherzi in scena. Quella volta lo scherzo toccò a lui”. Con Alessandra ricordiamo i cent’anni (Paolo Panelli nacque a Roma il 15 luglio 1925) di uno degli attori più amati e rimpianti dell’età d’oro dello spettacolo leggero italiano.
Strano ma vero: il comico Panelli debuttò, nel 1946, con un titolo invece serissimo: “Il giardino dei ciliegi”.
"Ma lui veniva dall’Accademia d’Arte Drammatica. Stessa corso di Nino Manfredi, Tino Buazzelli, Elio Pandolfi. Fu lì che conobbe Bice Valori, assieme a Flora Carabella, futura moglie di Marcello Mastroianni”.
E sembra che all’inizio Paolo fosse cotto di Flora, non di Bice.
"In realtà papà faceva il cretino con Flora per provarci con mamma. Era pure geloso: tolse addirittura il saluto ad Elio Pandolfi, che di Bice era solo amico. Lei nicchiava, alla fine cedette per sfinimento. La famiglia invece era contraria: volevano un partito serio. Allora lui, per apparire serissimo, si presentò dal padre di lei vestito da Sigmund Freud. La barbetta, gli occhialetti... E il nonno, austero ma spiritoso, rise. E disse si”.
Paolo e Bice: un’intesa proverbiale e perfetta; in scena come nella vita. Su cosa si basava?
"Sulla differenza dei loro caratteri. Lei adorava il mare, lui lo detestava. Lei era attiva, andava all’opera, ai musei; lui era pigro, abitudinario, sempre in ritardo. E strarompi, come nelle sue macchiette. Il caffè versato in un certo modo, solo in un certo tipo di tazzina... Però possedevano entrambi lo stesso umorismo: spiazzante, cinico, dissacrante, con una vena di follia vicina all’assurdo di Eugène Ionesco o Achille Campanile”.

Mai banali né volgari, sempre comprimari di lusso, mai protagonisti. E sempre deliziosamente comici.
"Lui una sola volta commosse il pubblico: in Rinaldo in campo, il musical di Garinei e Giovannini con Modugno e Delia Scala, era un garibaldino che moriva sulle barricate. Una scena famosa (la prima volta che il personaggio di un musical moriva) e di cui era orgoglioso. Mamma invece si vergognava: Se cerco di far piangere faccio ridere. Carlo Cecchi provò a convincerla, ma lei: Scherzi? Ho troppo senso del ridicolo”.
Separatamente o in coppia crearono personaggi che appartengono alla mitologia televisiva e teatrale.
"Beh: per papà basta ricordare la storica Canzonissima 1959, in tris con Manfredi e Delia Scala, o le macchiette a Studio Uno tv su Menelao Strarompi e Bruno Cecconi. Lei fu l’amatissima Telefonista Rai in Doppia coppia con Noschese, e la mitica direttrice nel Giamburrasca di Rita Pavone. Lo recitò tutto in ginocchio. Si divertiva come una matta. Ma si rovinò le ginocchia, a furia di camminare a quel modo”.
In coppia il successo maggiore fu quello, colossale, di “Aggiungi un posto a tavola”. Nei panni del sindaco ateo e della prostituta redenta fecero tre stagioni di tutti sold out: 630 repliche davanti a 700.000 spettatori.
"Un trionfo inatteso, travolgente. La fila per i biglietti, fuori del Sistina, faceva il giro dell’isolato. Ma a ripetere per 630 volte la stessa parte papà si stufava. E allora faceva gli scherzi in scena. E a Johnny Dorelli, che aveva l’incarico di multare chiunque scherzasse, pagava le multe in anticipo. Sennò mi scoccio”.
Finché nel 1980, a soli 53 anni, un tumore si porta via Bice.
"Mamma era il fulcro della vita di papà. La sua morte lo annientò. Fu come rivivere un altro terribile lutto. Pochi lo sanno, ma i miei avevano perso un figlio
, mentre mamma era incinta di me. Fu Enrico Montesano a tirar fuori papà dal baratro: col Conte Tacchia gli ridette la dignità di attore. E papà gliene fu sempre grato”.