Il Messaggero, 14 luglio 2025
Pensioni, svolta invalidi L’assegno di 603 euro sarà garantito a tutti
L’importo dell’assegno di invalidità non potrà più scendere sotto i 603 euro al mese. Ci sarà un minimo per tutti, anche per i “giovani” lavoratori, ovvero quelli che hanno iniziato a lavorare dal primo gennaio del 1996, anno a partire dal quale le pensioni si calcolano con il sistema contributivo pieno. A dettare la svolta è stata la Corte costituzionale con la sentenza numero 94 del 2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale pochi giorni fa, il 9 luglio. Per gli assegni liquidati con il sistema retributivo o con quello misto l’integrazione al minimo, fissato per il 2025 a quota 603,40 euro mensili, era già prevista. La vera novità riguarda invece, come detto, chi è stato assunto dopo il primo gennaio del 1996 ed è pienamente nel sistema contributivo. Con le vecchie regole, in caso di invalidità, avrebbe avuto diritto a una pensione “ridotta”, commisurata ai contributi versati e senza nessuna possibilità di integrarla al livello dell’assegno minimo. Ora invece, anche chi è nel sistema contributivo incasserà “almeno” 603 euro. La decisione della Consulta non ha carattere retroattivo. L’Inps aveva depositato in udienza un prospetto dal quale risultava che una decisione a favore dei “giovani” lavoratori avrebbe determinato, per l’anno in corso, un ingente e improvviso aggravio a carico della finanza pubblica, in gran parte connesso al recupero degli arretrati che i percettori degli assegni ordinari di invalidità liquidati esclusivamente con il sistema contributivo avrebbero potuto reclamare.
I PASSAGGI
La Consulta ha deciso di graduare gli effetti della sentenza, stabilendo che questi decorrono dal giorno successivo a quello di pubblicazione della stessa sulla Gazzetta Ufficiale. «L’onere finanziario affermano poi i giudici nella sentenza riguarderà solo assegni diretti, essendo esclusa la reversibilità della prestazione». Sempre la Corte ha precisato che «sarà compito del legislatore provvedere tempestivamente alla copertura degli oneri derivanti dalla pronuncia, nel rispetto del vincolo costituzionale dell’equilibrio di bilancio». Nel mirino della Consulta, come detto, è finita la riforma Dini delle pensioni del 1995, che aveva negato l’integrazione al trattamento minimo per i lavoratori totalmente contributivi con il fine di assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Ma la sostenibilità finanziaria del sistema in questo caso non c’entra. Su questo punto i giudici sono stati molto chiari: «Il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo di computo delle prestazioni è del tutto indifferente rispetto al finanziamento dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario d’invalidità, che già era prima, ed è rimasta poi, l’unica interamente sostenuta dalla fiscalità generale». L’assegno ordinario di invalidità è una prestazione economica erogata a domanda alle persone con una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale. Decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, se risultano soddisfatti tutti i requisiti amministrativi e sanitari richiesti, e viene erogato in misura ridotta durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
LA PROCEDURA
L’assegno si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile. In particolare, i giudici hanno dichiarato illegittimo l’articolo 1, comma 16, della legge che nel 1995 ha introdotto la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, nella parte in cui non esclude l’assegno ordinario di invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo di tutti i trattamenti pensionistici. I giudici hanno anche fatto presente che, fin dalla sua introduzione nel 1984, sotto il regime di computo retributivo, l’assegno è stato sempre oggetto di una disciplina peculiare e più benevola, ragion per cui il modello di integrazione al minimo è sempre stato diverso rispetto a quello previsto per gli altri trattamenti pensionistici. «Resta ferma si legge nella sentenza la possibilità per il legislatore di rimodulare, ed eventualmente di coordinare in un quadro di sistema, la disciplina vigente, purché sia idonea a garantire, ai titolari dell’assegno ordinario di invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo, l’effettività dei diritti riconosciuti dalla Costituzione».
GLI INTERESSATI
Può richiedere la prestazione assicurativa chi, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, ha una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo, come detto, e ha maturato almeno cinque anni di assicurazione e 260 contributi settimanali nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. La domanda, con allegata la certificazione medica, deve essere presentata online all’Inps attraverso il servizio dedicato, oppure tramite contact center o rivolgendosi agli enti di patronato e intermediari dell’ente previdenziale. Come detto i giudici costituzionali non si sono occupati invece degli assegni “minimi” dei futuri pensionati contributivi. Oggi chi matura una pensione sotto una certa soglia ha diritto ad una integrazione per riportarla a un “minimo vitale”. Per gli assunti dopo il 1996 questa integrazione non c’è. Con la particolarità che i futuri pensionati, se non avranno versato contributi adeguati e per un periodo continuativo della vita lavorativa, potrebbero ritrovarsi con assegni inferiori al “minimo vitale”. Negli anni passati si era discussa la possibilità di introdurre una pensione di garanzia per i giovani. Ma tutte le discussioni si sono per adesso arenate sugli scogli della sostenibilità per i conti pubblici.