La Lettura, 13 luglio 2025
Le stampelle della fede
28 luglio 1956
Mio padre avrebbe voluto scrivere, ma non ha avuto i soldi, l’istruzione o le tante altre opportunità delle quali ho potuto godere io. Non posso coltivare un’idea romantica di lui, perché mi porto dietro quasi tutti i suoi difetti e i suoi gusti. Ho addirittura la sua stessa costituzione. E la stessa malattia. Si chiama lupus. Al tempo in cui si è ammalato lui non esisteva una cura, e si finiva dritti alle pompe funebri. Quando è morto, mia madre ha chiesto al dottore se la malattia potesse essere ereditaria ma il dottore ha risposto di no, e di non aver mai sentito che si fosse verificata due volte nella stessa famiglia. Dieci anni dopo me la sono beccata anch’io, ma a quel punto poteva essere tenuta sotto controllo, anche se non c’era una cura vera e propria. In ogni caso, qualunque cosa io ottenga con la scrittura mi rende ancor più felice, perché la considero un modo di realizzare quello che mio padre sognava per sé.
12 febbraio 1954
Da un po’ ho cominciato a zoppicare parecchio, ma mi è stato detto che non ha niente a che spartire con il lupus e che è la conseguenza di un reumatismo dell’anca; immagino mi dicano la verità, perché in caso contrario avrebbero aumentato il dosaggio di Acth. In ogni caso mi secca non poco aver tollerato il lupus per quattro anni e poi ritrovarmi menomata per colpa di un reumatismo dell’anca (una malattia come minimo volgare). Non sono in grado di camminare dritta, ma non sono così malconcia da aver bisogno di un bastone, perciò do l’idea di essere continuamente ubriaca.
11 settembre 1955
La prossima primavera verrò a Lansing, per parlare a un convegno dell’American Association of University Women. L’organizzatrice mi ha telefonato e mi ha chiesto se volevo parlare del «significato del racconto». Non ho la minima idea di che cosa significhi un racconto, ma ho accettato immediatamente perché mi piace viaggiare in aereo, eccetera, e perché ho pensato che avevo dieci mesi di tempo per scoprirlo… credo che sosterrò una tesi grandiosa, per esempio che il racconto ha il pregio di ripristinare la mentalità contemplativa nel lettore, ma non so esattamente come arriverò ad affermarlo …
15 settembre 1955
Non intendevo suggerire che la scienza è inaffidabile, ma solo che non possiamo giudicare Dio a partire dai limiti della nostra conoscenza degli elementi naturali. Si tratta di una differenza fondamentale tra la tua fede e la mia: io vedo Dio come l’apoteosi della perfezione, della completezza, della potenza. Dio è Amore, e non crederei mai che l’Amore sia efficace se pensassi che in esso vi siano degli stadi negativi o delle imperfezioni.
Inoltre non mi convince la tua idea che per essere veri cristiani si debba credere che l’interdipendenza reciproca sia un inganno. Una simile opinione è lontanissima dalla dottrina cattolica; in effetti, mi sembra un concetto decisamente protestante, una sorta di salvezza per sola fede. Dio non è diventato semplicemente un uomo, ma l’Uomo in assoluto. È questo il mistero della Redenzione, e la nostra salvezza viene raggiunta sulla terra attraverso l’amore reciproco, la capacità di vedere Cristo nel prossimo, eccetera: quindi, attraverso le opere. Questo è uno dei motivi per i quali uso la parola Amore con grande parsimonia. Preferisco utilizzarla nelle sue forme pratiche come la preghiera, la carità, le visite ai malati, la sepoltura dei morti, eccetera.
30 settembre 1955
Se sono ridotta con le stampelle non è per via di un incidente o di uno svuotamento di energie dovuto alla malattia, ma di un problema all’anca: l’osso si è ammorbidito a causa di un difetto circolatorio. I medici dicono che se per un paio d’anni riesco a non caricare il peso sull’anca, l’osso potrebbe tornare a indurirsi; in caso contrario, quando sarò vecchia sbraiterò contro la gente da una sedia a rotelle, o dovrò farmi mettere una placca d’acciaio. Comunque, per me non è un inconveniente serio come potrebbe esserlo per qualcun altro, perché non sono un tipo sportivo. Non corro, e non faccio attività fisica. Negli ultimi anni la mia fatica e la mia soddisfazione più grande è consistita nel gettare l’immondizia alle galline, e questo posso ancora farlo, anche se rischio di volare via insieme alla spazzatura.
30 settembre 1955
Questo sarebbe un periodo ideale per venire in Italia, se non mi avessero imposto le stampelle. Ora come ora devo valutare bene se attraversare una stanza, figuriamoci un oceano. Non è una conseguenza del lupus, che va bene ed è sotto controllo grazie al Merticorten. È qualcosa di Nuovo. O almeno, qualcosa che stava prendendo piede ed è arrivato solo adesso. (…) E così mi muovo dondolando su due gambe di alluminio… sono davvero goffa, e mi lascio alle spalle un bel po’ di cocci, ma sto imparando.
6 novembre 1955
Ti sono davvero obbligata per avermi spedito una copia della recensione del mio libro, e sono molto sorpresa e compiaciuta che una rivista cattolica abbia deciso di esaminarlo e affidarlo a una persona intelligente. Spesso il silenzio del critico cattolico è preferibile alla sua attenzione. Do sempre un’occhiata alle riviste cattoliche che legge mia madre per vedere se il mio libro è stato recensito, e quando scopro che non è successo recito una preghiera di ringraziamento. Le cose non dovrebbero andare così, e dal mio punto di vista il silenzio che mi riservano i cattolici è tanto più ironico in quanto io scrivo come scrivo perché, e soltanto perché, sono cattolica. Sento che se non fossi cattolica non avrei nessun motivo per scrivere, nessun motivo per vedere, nessun motivo per provare orrore o piacere di fronte a qualcosa. Sono cattolica dalla nascita, ho frequentato scuole cattoliche durante l’infanzia, e non ho mai lasciato o desiderato di lasciare la Chiesa. Non ho mai avuto la sensazione che essere cattolica fosse un limite alla libertà dello scrittore, anzi, il contrario. La signora Tate mi ha detto che dopo essere diventata cattolica ha sentito di poter usare i suoi occhi e accettare ciò che vedeva per la prima volta; di non dover creare un nuovo universo per ogni libro ma di poter utilizzare quello che trovava. Per quanto riguarda me, sento che essere cattolica mi ha risparmiato di dover trascorrere un paio di millenni imparando a scrivere.
10 novembre 1955
Ho intuito che devo essere uno spettacolo decisamente patetico con queste stampelle. L’altro giorno ero ad Atlanta, da Davison’s. Una donna anziana è salita in ascensore dietro di me e non appena mi sono voltata mi ha fissato con gli occhi umidi e ha detto ad alta voce: «Che Dio ti benedica!». Mi sono sentita esattamente come il Balordo del mio racconto, e le ho lanciato un’occhiata vagamente letale, che deve averla incoraggiata ulteriormente, perché mi ha afferrata per un braccio e mi ha sussurrato in un orecchio (ma in tono alto): «Ricordati di cosa hanno detto a Giovanni, quando si è presentato ai cancelli del cielo!». Non ero ancora arrivata al mio piano, ma sono scesa ugualmente e scommetto che quella vecchietta è rimasta a bocca aperta nel constatare quanto fossi veloce con le stampelle. Ho un’amica che ha una gamba sola, e le ho chiesto cosa avessero detto a Giovanni quando si era presentato ai cancelli del cielo. Mi ha risposto che, da quanto ricordava, gli avevano detto: «Gli storpi entreranno per primi». Ed è vero, immagino: forse perché gli storpi possono buttare per terra tutti gli altri, a colpi di stampelle!
12 novembre 1956
Ovviamente hai ragione quando affermi di non capire le emozioni ordinarie più di quanto tu capisca quelle straordinarie. Ma lo scrittore non deve capire, bensì produrre. E ciò che lo porta a produrre non è vivere un’esperienza ma contemplarla, il che non significa capirla, ma semmai capire che non la capirà mai fino in fondo.
29 novembre 1956
Se non sono troppo severa quando valuto i manoscritti di altre persone ci sono varie ragioni, ma la principale è che il significato di un’opera mi interessa decisamente poco. La cosa potrà sembrare strana, perché sono senza dubbio convinta che ogni storia abbia un significato, ma il significato di una storia non può essere parafrasato, e quando è presente lo è in senso quasi fisico, più che intellettuale. Chi insegna scrittura non è molto più che una levatrice. Dopo aver dato una mano a partorire un’opera non è elegante dire, Madame, la sua creatura ha due teste e non crescerà mai. Personalmente, mi limito ad annunciare se la creatura è viva o morta.
17 novembre 1957
L’altro giorno ho parlato con un ragazzo di 23 anni che aveva appena ultimato gli studi a Harvard, e che voleva diventare uno scrittore. Non lo avevo mai sentito nominare, ma mi ha telefonato e mi ha chiesto se poteva raggiungermi da Atlanta e trascorrere un pomeriggio con me. Dopo che gli avevo risposto di sì, ha aggiunto che avrebbe portato con sé un manoscritto. Per farla breve è venuto, è rimasto tutto il pomeriggio e non è stato necessario che dicessi niente: ho dovuto soltanto starlo a sentire. Stava scrivendo un romanzo molto filosofico (o così credeva), su un ragazzo terribilmente simile a lui che si sarebbe suicidato all’ultimo capitolo. Tutti i capitoli che portavano a questo suicidio erano dedicati a spiegarne le motivazioni, ed erano pieni di riflessioni sul «senso del tempo». Mi ha spiegato che, pur essendoci diverse, lunghe digressioni filosofiche, erano sempre intervallate da vere e proprie scene. Me ne ha fatta sorbire una in particolare, nella quale si trattava dell’amore. A quel punto ero troppo stanca per scoppiare a ridere, perciò mi sono risparmiata una figuraccia. Ho provato a suggerirgli con discrezione che i romanzi e i racconti parlano di persone vere, e non del senso del tempo, ma sono sicura di non averlo minimamente impressionato.
10 dicembre 1957
Di recente soffro di vertigini perché sto prendendo una nuova medicina e devo essere andata in sovradosaggio. Credo perciò che me ne resterò a casa, a barcollare qua e là. Ci vuole un po’ di tempo prima di trovare il dosaggio giusto. Ogni volta che inventano qualcosa di nuovo, sono fra le prime persone a sperimentarlo. Nei sette anni che sono trascorsi dalla diagnosi di lupus sono stati brevettati cinque nuovi farmaci, uno migliore dell’altro, dicono…
1° giugno 1958
Siamo andate in Europa e sono sopravvissuta, ma la mia capacità di restarmene a casa è stata portata alla perfezione, ed è destinata a durare per tutto il resto della mia vita. Le folle non erano poi così male, ma è durato tutto troppo poco, ed è stato consumato troppo in fretta. Ho scoperto che le stampelle sono di grande beneficio. Non c’è stato un solo aereo sul quale non sia stata fatta salire per prima. Le mie stampelle sono di alluminio, e a quanto pare nessuno in Europa ne ha di simili. Mi guardavano a bocca aperta, prendendosi tutto il tempo necessario, soprattutto gli italiani.
Lourdes non è stata poi così male, almeno rispetto alle mie aspettative… Qualcuno a Parigi mi ha detto che il miracolo, a Lourdes, consiste nel fatto che non ci sono epidemie, e ho potuto constatare di persona che è la pura verità. L’acqua nelle vasche viene cambiata una volta al giorno, a prescindere da quanta gente ci si immerga. Io sono andata la mattina presto, ed era ancora limpida; mi sono seduta in mezzo a una lunga fila di contadini, aspettando il mio turno. Hanno fatto girare un thermos pieno di acqua di Lourdes, e hanno bevuto tutti attaccandosi alla bottiglia. Ero raffreddata di brutto, perciò credo di aver seminato molti più germi di quanti possa averne assorbiti. Il saio che indossi prima di immergerti è lo stesso che portava la persona prima di te, a prescindere da quali potessero essere i suoi malanni. Se non altro non c’erano convenzioni sociali da rispettare, al netto di un concetto di igiene decisamente medievale. Ho visto solo contadini, e sentivo chiaramente l’odore emanato dalla folla. Il sovrannaturale è un dato di fatto, a Lourdes, ma non prende il posto di niente che sia naturale, tranne, forse, tutti quei germi.
8 novembre 1958
L’idea della perfettibilità dell’uomo si è affermata con l’Illuminismo, nel diciottesimo secolo. Ed è proprio a quest’idea che il Sud si è sempre opposto. Il senso del peccato si riferisce alla caduta di Adamo, alla fine dell’innocenza, del potere salvifico della grazia. In altre parole, il Sud crede ancora che l’uomo sia una creatura caduta, e che possa avvicinarsi alla perfezione solo per grazia di Dio, e non attraverso i suoi sforzi, o comunque non senza un aiuto. Il liberalismo sostiene invece che l’uomo non è mai caduto, non è mai precipitato nel peccato, e che può raggiungere la perfezione attraverso il suo impegno individuale. Il problema del male, perciò, si risolverebbe fornendo abitazioni migliori, una tutela più rigorosa della salute, eccetera, dopodiché tutti i misteri troverebbero una risposta. Il giudizio non ha ragione di esistere, perché l’uomo non è responsabile di nulla. Ovviamente ci sono diversi livelli di adesione a questa teoria, ma non c’è dubbio che la modernità remi in questa direzione…
6 marzo 1959
Il sole sta restringendo di molto le mie attività, e temo che continuerà a farlo in futuro. Il dottore dice che non posso uscire di casa senza indossare calze, guanti, maniche lunghe e un cappello a tesa larga (a quanto pare, la luce del sole influisce sul lupus e sui problemi articolari, ecc.). Lo spettacolo che offro, vestita in questo modo per tutta l’estate, deprime la mia immaginazione.
25 maggio 1959
Due settimane fa sono andata alla Wesleyan e ho letto «Un brav’uomo è difficile da trovare». Poi sono andata in una delle aule, per rispondere alle domande del pubblico. C’erano un paio di insegnanti giovani e uno dei due, un tipo davvero scrupoloso, ha esordito chiedendomi: «Signorina O’Connor, perché il Balordo porta un cappello nero?». Gli ho risposto che in Georgia quasi tutta la gente di campagna porta cappelli neri. Mi è sembrato molto deluso. Poi mi ha chiesto: «Signorina O’Connor, il Balordo rappresenta Cristo, vero?». «Niente affatto», gli ho risposto. A quel punto era quasi distrutto. «Be’, signorina O’Connor, – ha detto – qual è il significato del cappello del Balordo?». Gli ho risposto che lo usava per coprirsi il capo, e a quel punto mi ha lasciato in pace.
1959 (senza data)
Credo che non esista sofferenza più grande di quella provocata dai dubbi di chi vuole credere. So quanto sia grande questo tormento, ma posso vederlo soltanto, almeno in me stessa, come il processo attraverso il quale la fede diviene più profonda. Una fede che si limiti all’accettazione va bene per i bambini, ma alla fine dei conti è necessario crescere religiosamente come in tutte le altre cose, anche se alcuni non ci riescono.
Ciò di cui le persone non si rendono conto è quanto sia alto il prezzo della religione. Credono che la fede sia una grande coperta elettrica, quando in realtà la fede sta tutta nel portare la croce. Credere è molto più difficile di quanto lo sia non credere. Se senti di non poter credere, una cosa almeno la devi fare: mantenere la mente aperta alla fede, continuare a desiderarla, continuare a cercarla, e lasciare il resto nelle mani di Dio.
8 dicembre 1960
Quanto a me, ho altri problemi. Le ultime lastre erano pessime, e sembra proprio che la mandibola stia subendo la stessa sorte dell’anca. Avevo già notato un cambiamento significativo nella postura della mia bocca. In ogni caso, martedì andrò al Piedmont Hospital, per un’ispezione generale delle ossa. Se non salta fuori qualcosa di ben definito, mi toccherà andare alla Johns Hopkins…
29 dicembre 1960
Sono stata in ospedale ad Atlanta e hanno scoperto qual è il motivo per il quale le mie ossa si disintegrano… Ne conseguono una serie di fatti interessanti. Cercheranno di ridurre progressivamente gli steroidi e controlleranno se riesco a farne a meno, ma al momento le mie attività sono molto limitate. Non posso fare praticamente nulla, se non stare seduta in casa e scrivere qualche racconto.
4 febbraio 1961
Sul tema della conversione, credo che tu ti riferisca alla conversione iniziale, mentre io probabilmente penso all’approfondirsi della conversione. Non penso che la conversione si verifichi una volta per tutte. Penso che, una volta avviato il processo, ognuno guardi dentro se stesso cercando Dio e allontanandosi dal proprio egocentrismo, e che si debba avere ben chiaro il proprio egoismo per poterselo lasciare alle spalle. Misuro Dio a partire da tutto ciò che io non sono. È da questo che prendo le mosse.
16 giugno 1962
Credo a ciò che insegna la Chiesa: che Dio ci ha fatto dono della ragione perché ne facciamo uso, e che la ragione può condurci alla conoscenza di Dio stesso, per via analogica; che Dio si è rivelato nella storia e continua a farlo per il tramite della Chiesa, e che è presente (non solo simbolicamente) nell’Eucarestia, sui nostri altari. Per credere a tutto ciò non mi è necessario sprofondare nell’assurdo. Trovo ragionevole crederci, anche se tutte queste credenze vanno oltre la ragione.
12 agosto 1962
Per tornare al determinismo, non credo che la letteratura sarebbe possibile in un mondo predeterminato. Potremmo seguirne le leggi, ma il cuore ne rimarrebbe escluso. Anche se non ci fosse una Chiesa a insegnarmi tutto ciò, basterebbero i due romanzi che ho scritto per capirlo. Sono convinta che più si scrive, meno si è inclini ad affidarsi a teorie come il determinismo. Il mistero non è qualcosa che evapora progressivamente; al contrario, cresce insieme alla conoscenza.
18 febbraio 1964
Ho dovuto annullare tutte le conferenze – al Boston College, alla Brown e all’Università del Texas – perché tra poco dovrò entrare in ospedale per essere operata. Ho suggerito che mi invitino nuovamente il prossimo anno, ma non so come si metteranno le cose. È successo tutto all’improvviso. E certamente non me l’aspettavo.
21 febbraio 1964
A quanto pare finirò sul tavolo operatorio prima di te. Il farmaco funziona ancora bene, ma ho un tumore bello grosso, e se non si sbrigano a toglierlo di mezzo, andrà a finire che dovranno eliminare me e lasciare vivo lui.
8 marzo 1964
Sono appena uscita dall’ospedale, dove i chirurghi mi hanno aperto lo stomaco. Dal loro punto di vista è stato un successo clamoroso, e uno di loro scriverà un articolo per una rivista medica, perché di solito si pensa che non sia possibile operare chi ha il lupus. Ma l’intervento era assolutamente necessario, anche se il tumore non si è rivelato maligno…
20 marzo 1964
Sto bene, per quanto riguarda l’operazione. È stata un grandissimo successo, ma ci sono sempre degli effetti collaterali, e i miei sono una cistite e un’infezione renale. Altrimenti sarei di nuovo in piedi. Comunque, spero che tu riesca a evitare l’operazione. Non è certo una passeggiata…
2 aprile 1964
Finora hanno provato cinque diversi antibiotici per combattere la mia infezione renale, ma nessuno ha avuto effetto sui reni, anche se di effetti ce ne sono stati diversi altri: ho lo stomaco a pezzi e gli occhi così gonfi che non riesco ad aprirli. Il cortisone provvederà a sgonfiarmi gli occhi, ma in compenso mi ritroverò una faccia gonfia come un pallone. Mi è già successo tutto in forma anche peggiore nel 1951, perciò so cosa aspettarmi…
12 maggio 1964
Il mio stato è cambiato considerevolmente dall’ultima volta che avete avuto mie notizie. Sono dovuta tornare in ospedale e adesso non mi alzo più dal letto. L’operazione ha risvegliato la malattia, perciò ho dovuto ricominciare con il cortisone e non mi sento granché bene – in realtà non ho dolore, ma sono molto debole. Ieri mi hanno fatto una trasfusione (dopo la quale c’è sempre un recupero immediato di forze), perciò oggi ho l’energia che serve per scrivere qualche lettera.
Se il mio problema segue il suo corso più prevedibile, credo proprio che rimarrò a letto per tutta l’estate. Il lupus non era attivo dal 1951, ed è davvero curioso tornare a familiarizzare con la malattia.
16 giugno 1964
Oggi ho chiesto al dottore quando potrò tornare a casa, e mi ha risposto che adesso possiamo cominciare a valutare l’ipotesi. Be’, cominci a farlo, allora, gli ho detto, perché io non penso ad altro. Ha modificato la mia dieta, aggiungendo un po’ di sale. Siamo passati da due a cinque grammi al giorno. Devo andarci piano con le proteine perché i reni non riescono a ripulirle dai veleni, e questo significa che non posso mangiare troppa carne, uova e formaggi: tutte cose che adoro.
28 giugno 1964
Eccomi di nuovo qui, davanti alla macchina da scrivere elettrica, e mi sento bene, più o meno… Lavoro grosso modo due ore al giorno, ed è più o meno il massimo cui sia mai arrivata. Ho chiesto al dottore se potevo stare seduta davanti a una macchina da scrivere e lavorare. Può lavorare, mi ha risposto, ma non può affaticarsi. Non ho ancora capito esattamente cosa intendesse, ma per il momento non mi sposto da queste due stanze e dalla veranda, e non sono autorizzata a lavare i piatti. Ne devo dedurre che lavando i piatti mi affaticherei, mentre scrivere non è considerato un problema. Quando stavo molto male ho firmato un contratto per una raccolta di racconti e ho detto a quelli di Farrar Straus di provvedere loro a farla uscire. Non volevo che dovesse occuparsene mia madre. Ma non appena mi sono sentita meglio mi sono pentita di quella decisione avventata, e ho detto all’editore che devo riscrivere alcuni dei racconti, perciò la raccolta non uscirà prima della primavera prossima, e dovrò comunque lavorarci parecchio.
1° luglio 1964
Sono contenta di non poter ricevere visite, perché questo mi dà la possibilità di incanalare tutte le mie energie sul lavoro che serve per fare uscire il libro. Devo fare in modo che venga pubblicato prima che la mia salute peggiori di nuovo; se invece dovesse migliorare, ho altra roba nuova su cui lavorare. Il dottor Merrill mi ha fatto dimezzare la dose di Prednisone perché la percentuale di azoto nel sangue è aumentata di un terzo. Da quanto ho potuto constatare, i farmaci e la malattia fanno a gara a chi mi ucciderà prima, ma non sento cori angelici, al momento, quindi devo dedurne che sto meglio.
8 luglio 1964
Sono stata molto debole da quando il dosaggio del farmaco è stato dimezzato, ma adesso stiamo tornando a dosi più piccole da somministrare quattro volte al giorno, perciò spero di poter recuperare un po’ di energie. Ieri è venuto il prete a darmi la Comunione, visto che, a quanto pare, ci vorrà del tempo prima che mi rimetta in piedi. Gli ho chiesto di darmi anche il cosiddetto Sacramento dei Malati, che un tempo si chiamava Estrema Unzione.