lastampa.it, 13 luglio 2025
Body shaming: cosa dire e cosa no. Il vocabolario Treccani segnala le parole offensive
Ciccione non si può dire, tanto mena balena o palla di lardo, sovrappeso si. Dove non arriva una sana buona educazione, quella che andrebbe impartita da bambini, arriva la Treccani che con il nuovo Dizionario dell’italiano Treccani 100 (curato dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota) segnala i termini che denigrano l’aspetto fisico spiegando che «in un’epoca dominata dai social media e dall’immagine, il linguaggio che utilizziamo per descrivere il corpo è diventato un campo di battaglia culturale e sociale». Per chi ancora non lo avesse capito o provato sulla propria pelle. Insomma le parole hanno un peso (e non stiamo facendo “wordshaming”).
Sempre sul tema la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge per istituire la Giornata nazionale contro la denigrazione dell’aspetto fisico delle persone, ora al vaglio del Senato. Ma pensiamo veramente che vocabolari e giornate dedicate possano sradicare un fenomeno che ha le sue radici in una cultura basata sull’estetica e sull’apparenza, ben prima che arrivassero i social? Come ben sa chiunque abbia frequentato una scuola dell’obbligo o anche un liceo, anche un asilo, il lessico denigratorio è purtroppo una realtà se non una costante: La Treccani ci ricorda che è poco gentile appellare qualcuno con i termini:«brufolosa/o, mostro, tappo, nasone/nasona, quattrocchi, sgorbio». Parole spesso usate dai giovanissimi senza reale consapevolezza del loro impatto. Le statistiche indicano che il 94% degli adolescenti è stato vittima di body shaming e quasi il 65% dei ragazzi adolescenti ha riferito di essere stato oggetto di critiche e commenti umilianti sul proprio aspetto fisico.
Così il vocabolario Treccani propone alternative iniziando dal bandire “palla di lardo” e suggerendo sovrappeso o corpulento. «Lo stesso accade con parole come esile ("persona magra") o longilinea/o ("alta, slanciata, snella"), che permettono di parlare del corpo senza ironia, disprezzo o stereotipi». E se siete tentati di derubricare il tutto a “ovvietà”, la Treccani vi ricorda che «sfogliare un vocabolario non è mai un gesto banale. Al contrario: è un atto politico, culturale e sociale. Un invito a usare la lingua per costruire ponti, non barriere. Perché le parole, quando scelte con attenzione, non sono armi: sono carezze». Come diceva il sociologo polacco Zygmut Bauman, «imparare a nominare non è un atto tecnico, ma un processo culturale e intellettuale che fa esistere le cose».
Allora diciamo che si potrebbe fare un passo ancora in avanti, imparando a non definire le persone e a non descriverle, tranne in narrativa, nei romanzi, per il loro aspetto fisico. Non mi interessa sapere se sei alto o basso, ma se sei una brava persona. Iniziamo da qui, le parole seguiranno. E impariamo a difenderci, i social sono purtroppo e spesso una gogna pubblica, e prima che gli altri si educhino alla civiltà cerchiamo di coltivare l’autostima e una sana distanza da chi mira a calpestarla. Isolare gli incivili è purtroppo più facile che educarli.