La Stampa, 13 luglio 2025
«Puoi avere una certa età, ma l’amore non ha età. Per gli uomini è diverso, si sa. Ma per le donne
«Puoi avere una certa età, ma l’amore non ha età. Per gli uomini è diverso, si sa. Ma per le donne... Ho così tante amiche single, piene di voglia di vivere e di amare... E anche a me non dispiacerebbe vivere un momento così». Francesca Reggiani è in scena il 15 e 16 luglio al festival di Borgio Verezzi diretto da Maximilian Nisi con La coppia più sexy d’America di Ken Levine (autore di serie tv di successo come MASH* e Cheers), storia della reunion di due anziani attori protagonisti decenni prima di una soap campione d’ascolti. «C’è il cambiamento di quel mondo di cui hanno fatto parte e la nostalgia del tempo che fu, ma anche il loro ritrovarsi. Tanto che scatta la storia d’amore: quel sentimento sempre rimasto sottotraccia può finalmente uscire allo scoperto. Questa pièce istiga alla speranza che anche dopo i 60 si può amare ed essere amati. Come nella poesia di Roberto Lerici che citava sempre il mio maestro Gigi Proietti: “Prima che il vuoto tutti ci divori, che venga presto il tempo in cui ci si innamori"».
Ma che sentimento è quello che nasce tra persone mature? È tanto diverso da quello degli anni giovanili?
«Non necessariamente. Secondo me conta sempre che alla base del rapporto ci sia leggerezza e immediatezza, affiatamento e condivisione. Il mio primo grande amore, per esempio, era stato così».
Così come e quanto primo?
«Ero giovane, avevo 19-20 anni e fu una storia davvero importante. Per lui sono andata via di casa lasciando la mia famiglia sotto shock (si sarebbero ripresi solo dopo qualche anno, tanto li colsi impreparati). Ed era, appunto, una storia di complicità affettiva, facile e leggera perché immediata, senza quelle continue recriminazioni o discussioni che rendono una relazione prima una fatica e poi la uccidono».
Però finì, o no?
«Durò circa 4 anni. Poi venni presa da Proietti nella sua scuola, lui faceva tutt’altro, era più grande di me. Le nostre strade si separarono. Finì in modo quasi naturale, direi. Non riesco a concepire quelle coppie (e ne conosco) che sono insieme dai tempi del liceo».
Suo partner in scena è Antonio Catania: stessa sua generazione d’attori che si imposero in alcuni dei programmi (comici) più amati degli anni ’80 e ‘90. Anche voi vi siete ritrovati?
«Lui del gruppo dei milanesi, Claudio Bisio e Paolo Rossi; io della dandiniana Tv delle Ragazze. Le nostre strade si sono incrociate in alcuni di quegli show, ma nulla di così continuativo. Quando mi hanno proposto il progetto, ho preso la palla al balzo: il teatro vive un momento difficile e deludente, e questa invece era una produzione davvero promettente in tutte le sue componenti, a partire da Antonio che è un grande attore».
Si sente una certa amarezza nel suo tono. Come mai?
«Sono rimasta ferma un anno, perché – dopo tre mesi di prove e due giorni prima della presentazione – è stato annunciato, a me e a tutti i coinvolti, che non se ne faceva più nulla. Puf. Sono delusioni che ti segnano».
E ora invece?
«Ora c’è un produttore vero, che conosco e stimo, Angelo Longobardi, che a Roma gestisce il Teatro Brancaccio, la Sala Umberto e Spazio Diamante, una garanzia per il futuro dello spettacolo: di debuttare e avere una tournée. E poi il testo: è una di quelle commedie scoppiettanti che strappano la risata toccando però anche temi più profondi».
Si parla di un mondo che non c’è più.
«Non solo la tv, tutto il mondo dello spettacolo è cambiato. E non in meglio. La tv, il cinema, il teatro, che pure è quello che pare resistere meglio all’irruzione dell’IA per il fatto di implicare sempre e comunque un pubblico e un attore in carne ed ossa. I problemi che ha la cultura, trattata come un vuoto a perdere, sono lo specchio dell’impoverimento generale che abbiamo tutti sotto gli occhi».
Irreparabile e irreversibile?
«Solo se ci rieduchiamo al rispetto, allo studio, all’educazione, all’istruzione».
Nessun futuro, nessuna speranza, quindi?
«Ben vengano i nuovi media: credo possano essere elementi di progresso, e dipenda solo da come li si usa. Trovo che siano in crescita nuove generazioni di attori e autori: c’è gente davvero valida, di talento e appassionata. Come lo eravamo noi. Ricordo ai tempi quanto ci tenessi: il mio presupposto era la commedia all’italiana, poi arrivò la tv, Serena (Dandini, ndr), Guglielmi e Rai3: un vagone bellissimo e fortunato»
Come era?
«Si provava e si sperimentava, una volta che avevano deciso venivi sostenuto. Ma ricordo anche, prima, che provini tosti ho sostenuto. Eravamo lì perché bravi, non perché amici o “in quota”. Essere scelti per amicizia o fedeltà porta a uno scadimento. E oggi? I nuovi non funzionano, i vecchi talenti se ne vanno. Ha ragione Giordano Bruno Guerri, quando parla dello scadimento della Rai attuale».