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 2025  luglio 13 Domenica calendario

"Finalmente siamo liberi di esprimerci senza corpo". Nelle classi del metaverso il laboratorio del futuro

Quando Toraneko si sveglia la mattina, non indossa una divisa scolastica, né si affretta a prendere il treno. Niente campanelle, niente sguardi addosso nei corridoi. Toraneko ha 17 anni, e frequenta le lezioni attraverso un avatar con lunghi capelli lilla e orecchie da gatto. La sua scuola è fatta di dati e pixel, ma la sua esperienza è reale. Emozionante, persino. Già, perché Toraneko è una delle studentesse del liceo internazionale Yushi. Siamo nella prefettura di Kumamoto, nel sud del Giappone. Qui, un anno fa, è nata la prima scuola superiore completamente operativa nel metaverso. Non una piattaforma privata, non un esperimento parallelo, ma un istituto riconosciuto dal ministero dell’Istruzione giapponese. Gli studenti del corso “metaverso” seguono un curriculum triennale a crediti, identico a quello di ogni altro liceo. Con una differenza: le lezioni, i progetti, persino i festival scolastici si svolgono in realtà virtuale. Non si tratta di un esperimento esoterico o di un sogno futurista uscito da un romanzo cyberpunk. È tutto reale, o almeno lo è abbastanza da rilasciare diplomi ufficialmente riconosciuti.
Nel 2024, la Yushi International High School, originariamente specializzata sulla formazione a distanza, ha lanciato un percorso triennale che si svolge interamente in realtà virtuale. Studenti provenienti da ogni angolo del Giappone si connettono a una piattaforma immersiva, indossano i loro visori VR e iniziano la giornata insieme, in uno spazio scolastico tridimensionale costruito non con mattoni, ma con dati e creatività.
«Nel mio primo anno in una scuola superiore tradizionale non riuscivo a farmi degli amici. C’era un’atmosfera rigida e io mi sentivo fuori posto», racconta Toraneko. «Nel secondo anno, grazie al metaverso, ho potuto comunicare liberamente, senza sentirmi giudicata per il mio aspetto. Ho instaurato rapporti veri, anche più profondi, con persone che condividono i miei interessi».
La scuola fornisce gratuitamente visori VR e controller, abbattendo anche le barriere economiche legate alla tecnologia. La piattaforma utilizzata, Planeta, ospita aule 3D, laboratori STEM simulati e ambienti per attività extrascolastiche. Un’intera esperienza scolastica, trasportata nello spazio digitale, allineando l’istruzione al piano nazionale giapponese di sostituire i libri cartacei con strumenti digitali entro il 2030. «Nel metaverso posso parlare con chiunque, indipendentemente dall’età o dal genere» dice Yuto, un altro studente. «Mi sento finalmente libero di esprimermi, senza la barriera del corpo fisico o delle aspettative sociali». Nel metaverso, gli studenti scelgono come presentarsi. C’è chi ha le fattezze di un robot steampunk, chi di un draghetto blu, chi indossa l’uniforme classica, ma in versione glitter. La libertà di espressione è totale e l’apparenza fisica viene spenta come una webcam.
«Spesso si pensa che i ragazzi che rifiutano la scuola non vogliano comunicare. Ma non è così», osserva Terunori Sakuraba, vice presidente del liceo Yushi. «Nel metaverso, dove non conosci il genere o l’identità reale degli altri, anche gli studenti più introversi cominciano a parlare con entusiasmo». Per molti studenti giapponesi, soprattutto coloro che soffrono di ansia sociale o che sono stati vittime di bullismo, la scuola può trasformarsi in un incubo quotidiano. Il fenomeno del school refusal – l’abbandono scolastico dovuto a bullismo, ansia sociale, o semplice malessere – è una piaga sempre più diffusa in Giappone. Secondo il governo, oltre 346 mila studenti hanno saltato la scuola per 30 giorni o più nell’ultimo anno scolastico. Alla Yushi, studenti di aree rurali, remote o disagiate possono incontrare coetanei di altri contesti, creando reti sociali nuove. Studenti non frequentanti o con storie scolastiche difficili possono reinserirsi in una comunità educativa, evitando l’isolamento totale.
Come si svolge la giornata di uno studente del metaverso? Di primo mattina si inizia con esercizi fisici virtuali, la tradizionale ginnastica ritmica radio taiso giapponese, seguiti da lezioni interattive. Le classi non sono silenziose videoconferenze, ma spazi animati da avatar che discutono, si muovono, collaborano. Il professore? Può essere a Tokyo, mentre lo studente a Okinawa. Ma quando parla nell’aula virtuale, la sua voce rimbomba come se fosse proprio lì. «È come se la scuola prendesse vita su un altro piano, più libero, ma non meno vero. Puoi incontrare persone nuove in qualsiasi momento, senza dover superare barriere come l’aspetto fisico o la timidezza», dice lo studente Yuto.
Oltre all’inclusività, il progetto rappresenta un investimento concreto nelle competenze digitali del domani. I ragazzi apprendono programmazione, design 3D, costruzione di mondi virtuali. Collaborano in STEM Lab simulati, dove possono “entrare” in un atomo o sezionare un cuore virtuale. Il metaverso, però, non è solo studio. C’è lo Yushi Festival, un evento culturale in cui ogni classe prepara spettacoli e attività in ambienti virtuali. Ci sono tornei di e-sport, club scolastici e persino gite digitali in parchi tematici.
Naturalmente, non è tutto oro quel che brilla nel cyberspazio e non mancano le criticità. Chi soffre di ansia sociale, disforia corporea o difficoltà sanitarie vede il metaverso come un’opportunità per accedere a un’istruzione pienamente inclusiva. Ma alcuni esperti ritengono che nulla possa sostituire l’esperienza educativa tradizionale e la socializzazione in presenza. Il pericolo di isolamento resta, per qualcuno si amplifica. Il confine tra libertà e fuga dalla realtà è sottile, col virtuale che in alcuni casi può rischiare di sostituirsi allo spazio fisico. Alcuni studenti spariscono, disconnessi non solo dal server, ma anche dalla rete sociale di supporto. I docenti devono reinventarsi: insegnare con un avatar non è semplice, richiede nuove pedagogie, nuove competenze e molta pazienza. Inoltre, c’è il nodo della scrittura: prendere appunti a mano è ancora una sfida in VR.
Per molti, la scuola nel metaverso non è però una sostituzione della realtà, quanto semmai un ponte che favorisce la nascita di amicizie traslate al di fuori della schermo, nonché la costruzione di una fiducia che può essere traslata dallo spazio virtuale a quello fisico, migliorando anche i rapporti faccia a faccia. L’esperimento sta attirando molta attenzione e già altri istituti giapponesi pensano a seguire il suo esempio.
«Se il modello sarà ben regolamentato, supportato e scientificamente monitorato, il metaverso potrebbe rappresentare una terza via tra la scuola tradizionale e la didattica a distanza, capace di potenziare l’apprendimento, migliorare il benessere e formare studenti pronti al mondo digitale», sostiene il vicepreside Sakuraba. Resta da vedere se la modalità VR possa mantenere nel tempo l’engagement e la qualità didattica, ma il trasferimento dell’istruzione nel metaverso rappresenta un passo concreto verso una scuola per il XXI secolo, in cui apprendimento e inclusività possono viaggiare insieme. In tal senso, il liceo internazionale Yushi ha costruito una possibilità. Per alcuni, è un rifugio. Per altri, una seconda occasione. Per tutti, è un laboratorio vivente del futuro dell’istruzione. Forse non sostituirà mai del tutto le aule fisiche, il brusio dei corridoi, il profumo dei banchi in legno. Ma ha dimostrato che l’educazione non ha bisogno di mura per essere reale. E nel metaverso, come nella vita, a volte il primo passo verso l’apprendimento è smettere di avere paura di essere visti.