Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 12 Sabato calendario

E l’Italia diventò Banana Republic

Nella storia minore che scorre sotto i grandi fatti del nostro Paese, la musica popolare ha spesso giocato un ruolo di termometro degli umori e dei pensieri che attraversano il popolo dei giovani e anticipano gli eventi. Se si vuol ricordare un momento epocale e ricco di sapori, si atterra subito su Banana Republic, il primo tour negli stadi italiani, con insieme Lucio Dalla e Francesco De Gregori che nel 1979, grazie a un successo esorbitante e carico di sollievo, decretarono il via finalmente a un’età nuova, moderna: e fu l’addio ai combattimenti per l’accesso gratuito ai concerti, e ai famigerati processi agli artisti, che avevano soffocato ogni iniziativa musicale nei cosiddetti anni di piombo del periodo precedente, in nome di un’ideologia che aveva fatto il suo tempo e anche le sue vittime.
Dalla e De Gregori delle vittime artistiche avevano fatto parte. La capitale dei processi politici ai musicanti era Milano. Lì, a Lucio appena l’anno prima avevano lanciato una molotov durante un concerto; ma nel ‘76 il proverbialmente schivo Francesco aveva subito una sorta di processo al Palalido, che di questo format di contestazione era il centro pulsante: un gruppo di ragazzi della sinistra extraparlamentare allora molto forte, autonomi di varie formazioni, sotto lo slogan «riprendiamoci la musica», salirono sul palco, interruppero il concerto e «interrogarono» De Gregori, chiedendogli quanto guadagnasse da quella serata («Credo un milione e due, ma poi c’è la Siae», pare abbia risposto lui). Poi andarono all’attacco: «Suona per i lavoratori, se sei un compagno lascia qui l’incasso» oppure: «Prima si fa la rivoluzione, poi si pensa alle arti e alla musica. Lo diceva anche Majakovskij che era un vero rivoluzionario e si è suicidato. Suicidati anche tu». L’artista, sconvolto, interromperà il tour e penserà al ritiro: «Mancava solo l’olio di ricino e la scena sarebbe stata completa», si dice avesse commentato a caldo.
Dal 1970 in poi, contestazioni pesanti erano toccate a molti. Non solo Antonello Venditti ma mostri sacri internazionali come i Led Zeppelin («Milano mai più» e infatti), Lou Reed (che fuggì dal palco urlando «Fuck everybody»), Carlos Santana. Tutti quelli in qualche modo più vicini al mondo della sinistra. Era chiaro che sarebbe stata la fine dei concerti rock in Italia. Covava un senso di malessere generale che avrebbe dato i suoi frutti: perché i ragazzi di musica – e parole – vivevano, ed erano anni pesanti, drammatici, di Brigate Rosse. È anche il caso di ricordare che nel maggio ‘78 era stato ritrovato il cadavere di Aldo Moro, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa.
Il tour Banana Republic fu davvero anche simbolicamente il sollievo, il ritorno a una normalità auspicata da Andreotti come dagli extraparlamentari, sempre molto folti ma ora con una gran voglia di respirare. Il cambio di atmosfera era nell’aria. Gli italiani del post ‘68 si erano poco a poco abbarbicati ai cantautori, un nugolo di sognatori di buon gusto e sentimenti virtuosi, senza dubbio di sinistra: come Guccini, Venditti, Vecchioni, Rino Gaetano che nel ‘78 spopolava con la beffarda Nuntereggae più, Edoardo Bennato amato assai da Lotta Continua. Però i numeri uno in questa fase erano Lucio Dalla, con le sue deliziose mattane Disperato Erotico Stomp e L’anno che verrà, e soprattutto De Gregori, già reduce dal successone di Rimmel del ‘75 e poi da Bufalo Bill, mentre nel ’79 era ancora fresca di uscita la splendida, antimilitarista Generale. Dopo un periodo di silenzio seguito ai fatti del Palalido – si era sposato, aveva fatto il libraio, aveva avuto due gemelli maschi – fatalmente tornava alla sua passione.
Suo fratello Luigi, pure lui cantautore, gli aveva segnalato Banana Republics di Steve Goodman, che si faceva beffe degli americani in vacanza ai Tropici. A Francesco era piaciuta, si era messo a farne una versione italiana. Intanto nasceva Ma come fanno i marinai («a baciarsi tra di loro e a rimanere veri uomini però...»): ci stava lavorando quando arrivò a casa sua Lucio Dalla, invitato a pranzo: «Gli piacque moltissimo – ricordò poi Francesco – aggiunse subito un bel pezzo di clarinetto all’inizio, cambiò, migliorò». La canzone entusiasmò subito in RCA, l’uscita ebbe risultati eccellenti, pavimentando la strada verso un progetto di stravaganza mai vista in Italia di due cantautori insieme in concerto, così diversi eppure così vicini, ciascuno con il suo gruppo (gli Stadio per Dalla) e con Ron pregevole battitore libero, sotto il titolo Banana Republic. Ognuno con il proprio repertorio e una manciata di duetti, a suonare e cantare in allegria e ironia. Spuntò anche, a sorpresa, una versione futuristica di Un gelato al limon di Paolo Conte, uscita pochi giorni prima.
Il debutto, a Savona il 16 giugno allo stadio, fece il tutto esaurito, e tutte esaurite furono le date in tutti gli altri stadi fino al 30 luglio a Rimini. In totale 600 mila spettatori; numeri che poi avremmo rivisto solo con Vasco. Mancava Milano, e i due giurarono che non era una ritorsione per i fatti del Palalido: al massimo si potrebbe parlare di una saggia prudenza. Ragazzi e ragazze, molti adulti, cori interminabili per ogni concerto, un entusiasmo che sapeva di libertà riconquistata, di modernità, di passione e di rituali che diventarono il prodromo di una inedita partecipazione a megaeventi, come capita ora molto spesso. Con Dalla e De Gregori insieme si erano spalancate le porte sugli Anni Ottanta, era come lasciarsi dietro una lunga scia di delitti e dolori e giorni bui, pure se il terrorismo avrebbe ancora colpito come purtroppo si scoprì. Anche il disco live, Banana Republic, fu un successone, con 500 mila copie vendute in sei mesi: per inciderlo, i dipendenti della RCA avevano rinunciato alle ferie (non era bellissimo, ma divenne un documento da conservare).