corriere.it, 13 luglio 2025
Intervista ad Alessia Merz
«Non sarei pronta a lavorare a tempo pieno, tant’è che molti reality li ho rifiutati. Altri lavori li ho persi perché non sono sui social: ma finché lavoravo si sapeva di me a prescindere e, adesso che lavoro meno, far sapere i cavoli miei non mi interessa». A trent’anni dalla chiusura di «Non è la Rai» Alessia Merz, soubrette e attrice trentina che incantò il pubblico con quel viso pulito da «Heidi scesa dai monti», si racconta senza filtri. Dopo anni lontana dai riflettori che l’hanno vista protagonista di «Striscia la Notizia» e fotoromanzi, pubblicità con David Lynch e film, fino a «L’Isola dei Famosi», l’ex «Lolita di Boncompagni» rivela la sua nuova vita dedicata alla famiglia.
Alessia, partiamo dalla sua “sparizione” dalle scene. Cosa le ha fatto scegliere una vita così ritirata?
«Ho scelto di dedicarmi alla famiglia. Mi sono sposata con Fabio (Bazzani, ex calciatore) vent’anni fa e ho avuto Niccolò, 18 anni, e Martina, 17. Ancora oggi non sarei pronta a lavorare a tempo pieno. Mi è stato proposto più di un reality e non ho accettato, ad esempio “il Grande Fratello vip": non avrei la testa per far finta di litigare per un pezzo di pane. Primo perché sono molto competitiva, e poi stare lontana dalla mia famiglia per più di due giorni è impensabile. Ormai vado per i 51, ho già dato».
Il mondo dello spettacolo è un capitolo chiuso?
«No, sono aperta a lavori saltuari. Mi consentono di dedicarmi a me stessa, guadagnare i miei soldi, rivedere i colleghi: una “vacanza” dal tran-tran quotidiano. Mi piace fare l’opinionista, presenziare a serate o eventi, spesso sono ospite dalla Balivo, dove ho anche rivisto Cristina Quaranta dopo 30 anni; non ci si vedeva dai tempi di “Striscia"».
Anche sui social lei è assente: una rarità nel suo ambiente.
«È una scelta precisa. Avevo un profilo ufficiale che gestiva il mio agente storico, Epifanio “Fano": una figura paterna che mi ha sempre seguita e consigliata per il meglio, ma che è mancata lo scorso ottobre. Ci sono “finte me” online ma non sono io. Far sapere i miei fatti non mi interessa e credo che a nessuno interessi sapere cosa mangio a colazione o di che colore ho il costume. Dopo anni sotto i riflettori, oggi tengo molto alla mia privacy. Mi capita di perdere dei lavori per questo, per le pubblicità ora cercano le influencer, ma sto meglio senza».
Torniamo agli inizi. Come fu l’impatto con Roma e “Non è la Rai”?
«Uno shock. Ricordo ancora il viaggio in treno per Roma, le valigie, i pianti. A Trento, una città chiusa a quell’epoca, non fu ben vista la mia scelta: sembrava andassi a fare “la poco di buono”. Fu Pino Insegno a suggerirmi il provino: mi ospitò a casa dei suoi per rassicurarmi sulle sue intenzioni. Quando mi hanno presa, non potevo crederci; furono i miei a dire: adesso vai e ci provi. Ero timidina e in studio, al Palatino, la solidarietà femminile era poca: le ragazze più “sgamate” non ti lasciavano nemmeno sedere in prima fila. Ma lì mi sono formata il carattere. I miei genitori mi imposero di continuare a studiare, mentre molte altre abbandonavano la scuola o addirittura i loro genitori lasciavano il lavoro per seguirle, convinti che “Non è la Rai” fosse il punto d’arrivo».
Quando ha realizzato di essere diventata “qualcuno”?
«Subito. Ogni giorno fuori dal Palatino c’era la gente che aspettava, chiedeva autografi e foto. Miriana Trevisan era la più richiesta, poi Ambra, io, Antonella Mosetti, Ilaria Galassi, Laura Freddi... Ma la vera consapevolezza l’ho avuta con “Striscia la Notizia": un programma che arrivava in tutte le case. Ancora oggi mi fermano, mi chiedono autografi. Mi fa piacere: significa che ho lasciato un buon ricordo».
Ha mai temuto di perdere la bussola, con il successo?
«No, grazie ai miei genitori e al mio agente, Fano. Ho sempre fatto quello che volevo. L’unico episodio che mi ha segnata è stato un provino a Milano, senza di lui, dove ho rischiato brutto: salita in macchina, mi sono trovata con il sedile reclinato. Ho urlato come una matta. Da lì ho capito l’importanza di avere un agente. Poi ho affrontato invidie, lavori proposti e poi negati perché la “diva” del momento temeva eccessive somiglianze o che la mettessi in ombra. Mi hanno persino scelta al posto di Angelina Jolie per un film! Forse il regista di “Jolly Blu”, Stefano Salvati, era annebbiato: ma da lì ho lavorato per tre anni con Max Pezzali e Cecchetto».
Dopo trent’anni “Non è la Rai” è ancora un fenomeno. Che effetto le fa?
«Godo! È un cult, un programma che tutti hanno visto, anche se molti per snobismo facevano finta di non conoscerlo. Gianni Boncompagni è stato lungimirante, ha creato un fenomeno incredibile e, se oggi sono chi sono, lo devo a “Non è la Rai”. Molte colleghe lo rinnegano, io no. Eravamo definite “donne oggetto”, “Lolite”, facevamo scalpore, ma eravamo vestitissime, cantavamo e ballavamo. La malizia era in chi guardava».
Permetterebbe a sua figlia Martina di fare un programma simile?
«Sì, gliel’ho sempre detto, purché seguita e tutelata. Questo lavoro ti dà tanto, ma ti toglie anche molto: non hai vita privata, fai molte rinunce. Sa quante vacanze non ho fatto? E che litigate con il fidanzato perché magari avevate prenotato e poi ti capitava di dover rinunciare! Non hai una vera vita tua. Per questo, dopo, ho sempre protetto i miei figli dai riflettori e non li ho mai fatti andare sui giornali. Ma se il mondo dello spettacolo fosse una loro scelta, li lascerei liberi».
Il cliché “velina-calciatore” lo ha vissuto?
«Era molto sentito, ma l’ho sfatato! Dopo vent’anni di matrimonio festeggiati l’11 giugno direi che, a prescindere dalle rispettive professioni, eravamo Alessia e Fabio. E lo siamo ancora oggi».
Tra le sue colleghe di “Non è la Rai”, c’è qualcuna di cui ha seguito con particolare interesse l’evoluzione?
«Ambra l’ho seguita molto: nonostante fosse bistrattata, per via dell’auricolare con cui si diceva che Boncompagni la “telecomandasse”, ho sempre visto in lei enorme potenziale. E infatti ha avuto una carriera bellissima, a teatro ma anche al cinema: meritatissima. Anche Sabrina Impacciatore è bravissima ed è arrivata lontano; avrebbe meritato più spazio in Italia».
Lei, però, si è trovata a lavorare contestualmente con Gerard Depardieu, David Lynch e Roman Polanski!
«Ecco, lì mi sono sentita veramente famosa. Giravo lo spot Barilla diretto da Lynch, con me e Depardieu, e Polanski era venuto a trovarlo. Ero uno scriccioletto in mezzo a loro, non contavo assolutamente niente, ma la sicurezza doveva tenere la gente a bada perché voleva un mio autografo. Lì ho detto: sono qualcuno. Però l’ho sempre vissuta come una fortuna piovuta: ok, mi hanno presa e probabilmente me lo sono anche meritato, è stato bello, però questa cosa oggi c’è e domani vediamo».
Oggi quali sogni professionali ha nel cassetto?
«Mi piacerebbe ricominciare a essere presente in tv come opinionista, magari come ospite fissa in un salotto pomeridiano, come quello di Caterina Balivo, un paio di volte a settimana. Mi diverto, mi impegna ma non tutti i giorni. Oppure una trasmissione di calcio: la mia passione».