il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2025
Più poteri e altri 500 milioni: gli stadi diventano “strategici”
Stadi senza lacci e lacciuoli della burocrazia, che fanno perdere tempo ai privati. E con soldi pubblici, oltre mezzo miliardo tra garanzie e contributi a fondo perduto per i proponenti, cioè le squadre di Serie A. Come fossero infrastrutture strategiche per il Paese, perché è questo che diventeranno grazie al governo Meloni.
Dopo un anno di promesse non mantenute, è pronto il regalo del ministro Abodi al calcio italiano. È la tanto attesa norma sul commissario per gli stadi, saltata all’ultimo (per l’opposizione del Quirinale, che non ravvisava motivi d’urgenza) nel Decreto Sport, reinserita ora in fase di conversione con un emendamento depositato dal relatore. Il testo va oltre tutte le aspettative.
Al Commissario saranno attribuiti i poteri già previsti dal decreto 104/2023: è quello sulla “realizzazione di programmi di investimento di interesse strategico nazionale”, a cui adesso verranno equiparati gli stadi di calcio. Per intenderci, è la norma già applicata per il “Vulcan Project”, investimento singaporiano per la costruzione di uno stabilimento di chip nel distretto di Novara. Oppure la grande fabbrica della farmaceutica Novo Nordisk ad Anagni: progetti miliardari, cruciali per lo sviluppo dell’industria del nostro Paese. Da domani, al loro fianco, magari ci saranno anche il nuovo San Siro, o il Flaminio tanto caro a Lotito.
Il pretesto è l’organizzazione degli Europei 2032. All’Italia servono cinque sedi, in lizza ci sono dieci città ma, considerando la tempistica (vanno indicati entro ottobre 2026 progetti già approvati, finanziati e cantierabili in sei mesi), probabile che la scelta ricada su quelli più pronti, Roma (Olimpico, solo da rinnovare), Milano (almeno un San Siro sarà in piedi), Torino (Juventus Stadium), Firenze, e magari spazio giusto per una scommessa, forse Napoli (Abodi ci tiene per allargare il torneo al Sud), altrimenti Cagliari o Bologna, con ultima spiaggia Udine (con tribune temporanee per raggiungere la capienza minima). Ma la norma per come è scritta non si limita a questi e potrebbe ingolosire i presidenti di mezza Italia, visto che costruire sarà molto più facile e conveniente (per loro, non per lo Stato).
Niente più regole o iter complicati: bisognerà passare soltanto dal commissario. Lui inserisce l’opera nel piano nazionale ratificato dal governo. Lui determina l’avvio o la prosecuzione dei lavori. Ogni sua ordinanza è immediatamente efficace, in deroga alle disposizioni di legge (anche comunitarie); dopo 15 giorni si procede senza pareri, scavalcando le amministrazioni locali, che hanno a cuore il territorio, o magari sono semplicemente più sensibili alle istanze dei residenti. In più, la possibilità di avvalersi della solita Sport e Salute (anche come centrale di committenza), o nominare il sindaco della città interessata come sub-commissario.
Poi ci sono i soldi. Il Fatto aveva anticipato l’intenzione del governo di metterci dei finanziamenti. Sono tanti: viene istituito, con una gestione separata presso il Credito Sportivo (il vecchio istituto di Abodi), il “Fondo Italiano per lo Sport”. Avrà quattro sezioni: “garanzie”, “finanziamenti”, “rafforzamento patrimoniale” e “contributi”, quindi anche a fondo perduto. Quest’ultima è la più ricca, con una dotazione di 450 milioni, complessivamente si sfiora quota 650 e nulla esclude che possa essere rabboccato (sono solo fino al 2027). Spetterà al Credito Sportivo definire i criteri di accesso e ripartizione: l’idea del ministro era una contribuzione inversamente proporzionale al valore del progetto (più costa lo stadio, quindi più si suppone ci sia dietro un interesse privato, più è basso il contributo dello Stato, che invece crescerebbe per impianti piccoli di proprietà comunale).
Sarà anche un bel carrozzone. La struttura si avvarrà di dieci unità dalle amministrazioni pubbliche. Altri tre consulenti esterni, a 50 mila euro l’uno. E poi lui, il commissario: da individuare tra “soggetti esperti nella programmazione di interventi in materia di infrastrutture” (vedremo se sarà davvero un profilo di alto livello o il solito raccomandato della politica), sarà in carica fino al 2032 e guadagnerà 132 mila euro l’anno. Complessivamente, solo la macchina ci costa mezzo milione l’anno. Figuriamoci gli stadi.