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 2025  luglio 12 Sabato calendario

In Congo la «pax americana» è ostaggio di esecuzioni e caos

Anarchia e caos, esecuzioni sommarie, rapimenti, ostentazione della forza e riluttanza ad abbandonare i territori occupati in precedenza. È l’atteggiamento tenuto dai ribelli dell’M23 nell’est del Congo, tra Nord e Sud Kivu, nell’area tra Goma e Bukavu, a meno di due settimane dalla “pax americana” siglata tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda a Washington.
Le milizie armate filo-ruandesi escluse dai negoziati (dai quali è scaturito l’accordo del 27 giugno mediato da Donald Trump) non accettano “l’ordine di ritirata”. Non hanno intenzione per ora di lasciare il campo faticosamente conquistato, almeno finché non verrà rinegoziato un secondo accordo a Doha nel Qatar, tra i loro leader e il governo congolese. Nel frattempo i civili subiscono abusi di ogni tipo e i due presidenti sono invece attesi (entro due settimane) alla Casa Bianca per confermare un accordo che per ora non è rispettato. Un altra riprova arriva dal fatto che un nuovo round di negoziati tra il governo congolese e i ribelli M23 è in corso a sorpresa a Doha in Qatar, alla presenza dei ministri dell’Interno ruandese, Vincent Biruta, e congolese, Jacquemain Shabani. Che la situazione sia tutto tranne che di pace, a raccontarlo diversi testimoni sul campo, i video girati con i telefonini nei villaggi del Nord Kivu; uno dei quali mostrava, non più di una settimana fa, una brutale esecuzione pubblica in piazza, sotto gli occhi dei ragazzini del villaggio che prendono a sassate una vittima dell’M23. Dopo la sbandierata pace tra Paul Kagame e Felix Thsisekedi, con la mediazione della Casa Bianca e oer la quale Donald Trump ha rivendicato l’assegnazione a lui del Premio Nobel per la Pace, vengono a galla molte falle e le inevitabili incognite di un’intesa a tre. Basata tanto sul business e poco sui diritti e le “riparazioni”. Un canovaccio ripetuto altrove dagli Usa, stavolta però con la formula “security for minerals”, minerali in cambio di sicurezza e pace. Ma pace per chi, esattamente? «Sicuramente l’occupazione continua: so che una donna è stata picchiata per aver elogiato il sacrificio dei wazalendo la milizia “partigiana” filogovernativa», che fino a poco tempo combatteva contro i soldati pagati dal Ruanda. Così racconta al telefono padre Gianni Magnaguannno, missionario saveriano a Bukavu.
«Una situazione molto pesante, incontrollata ma anche difficile da documentare: la tragedia è diventata normalità qui», aggiunge don Giovanni Piumatti, fidei donum appena rientrato dal villaggio di Kimbulu e in contatto con la comunità cristiana della regione.
Mancano elementi neutrali e peace keeper a far da supervisori. E così alcuni testimoni locali raccontano della cattura di civili (tutti ragazzi giovanissimi) da parte di elementi dell’M23: non è chiaro dove vengano portati, se saranno ostaggi o no, se verranno “arruolati” a forza. Ritenuto «urgente» dagli Stati Uniti per subentrare ai ribelli nella gestione dei siti minerari dell’Est ricchissimo, l’accordo del 27 giugno trascura inoltre le infinite forze in campo e una serie di attori “minori”: le miriadi di gruppi armati, dai Mai Mai ai Wazalendo, ai quali il governo congolese aveva appaltato un pezzo di guerra. «Non credo che l’accordo di Washington tenga conto davvero della sofferenza della gente, è una specie di spartizione del bottino: accontentando soprattutto il Ruanda. Pare che Paul Kagame abbia ancora delle velleità nell’est», spiega ancora padre Magnaguagno.
Il riferimento è ad un piano “segreto” che il Ruanda coltiverebbe nel caso fallisse l’accordo con il Congo, per la costruzione di uno Stato parallelo nell’Est, sotto il controllo ruandese. Secondo un nuovo rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite citato dal giornale belga De Standaard, l’obiettivo finale sarebbe il controllo totale del commercio delle materie prime nella regione.
«È ancora troppo presto in realtà per giudicare l’esito di questa pace – spiega lo storico, docente e analista Luca Jourdan – io resto cautamente possibilista ma ci sono diverse incognite. Una delle quali riguarda la sicurezza complessiva dei territori. Un possibile scenario potrebbe esser quello di dar vita ad una “enclave sicura” in Congo. Tramite contractor finanziati dagli Usa nelle aree interessate dalla presenza americana, per tenere fuori le miniere da possibili incursioni armate». Ma in questo caso chi tutela i civili nelle zone più esposte? È l’incubo delle guerre africane trasformate spesso in guerriglie permanenti, combattute in modo diffuso e parcellizzato, rendendo impossibile la vita ai più poveri e diseredati.