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 2025  luglio 11 Venerdì calendario

Nordio e il caso Almasri, tutto quello che torna. Il fact checking

Cosa accadde effettivamente tra il 19 e il 21 gennaio negli uffici del ministero della Giustizia, quando fu deciso di scarcerare il presunto torturatore e assassino libico, Almasri? Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha davvero mentito al Parlamento? O invece le carte confermano la sua versione, come ha sostenuto ancora ieri?
In attesa delle decisioni del tribunale dei ministri, è possibile in questo momento mettere ordine “politico” tra le cose. E ricostruire alcuni punti fondamentali della vicenda. Dalla quale emerge chiaramente come il governo italiano, e in particolare il ministero della Giustizia, non abbiano voluto tenere in carcere Almasri. E abbiano provato poi a giustificare la scelta con quattro diverse versioni dei fatti, in contraddizione tra di loro.
Il fatto
Dopo l’arresto, in un albergo di Torino, del generale libico la polizia invia gli atti alla Corte di appello di Roma. Siamo a domenica 19 gennaio quando i magistrati sostengono di non poter convalidare il fermo per un errore procedurale: il fascicolo, dicono, non è passato dal ministero della Giustizia come invece la legge prevede. Ma davvero il fascicolo non era arrivato al governo italiano? Dagli atti risulta che il 18 gennaio la Cpi ha inviato all’ambasciata italiana in Olanda una nota con il mandato di arresto, il nome, numero di telefono e mail del funzionario da contattare «qualora le autorità italiane dovessero individuare problemi che possano impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione». È quello che prevede l’articolo 97 dello Statuto di Roma con cui l’Italia ha aderito alla Cpi. In mattinata dall’ambasciata inviarono tutto al ministero, senza però una copia del mandato d’arresto. Dice infatti Nordio: “Una notizia informale dell’arresto veniva trasmessa via e-mail da un funzionario dell’Interpol a un dirigente del Dipartimento degli affari di giustizia del nostro ministero alle 12,37 di domenica 19 gennaio. Una comunicazione assolutamente informale, priva del provvedimento. Non vi era nemmeno allegata la richiesta di estradizione”. È la mail che il direttore del Dipartimento invia alla capa di Gabinetto, Giusi Bartolozzi. Che nel pomeriggio risponde: so già tutto, massima cautela, niente tracce, parliamo solo su Signal.
Chi aveva avvisato la Bartolozzi? E perché era necessaria quella cautela? Cosa doveva restare riservato?
È la risposta che Nordio e il ministero della Giustizia continuano a non dare. Così come non è chiaro per quale motivo non si è ancora capito perché non raccolsero le sollecitazioni della corte di appello per integrare la documentazione. Ed evitare la scarcerazione del libico. A partire dal 19 gennaio, sino al 21, quando arriva la scarcerazione, i giudici sollecitano ripetutamente il ministero per “sanare” la situazione. E tenere in carcere Almasri. Ma dal ministero nessuno risponde. «Il ministero della Giustizia avrebbe potuto (e dovuto) sanare tali vizi trasmettendo la documentazione richiesta al procuratore generale», scrive non a caso la Cpi. E invece non lo fa. Perché?
Una risposta la dà Nordio nella sua informativa alla Camera del 5 febbraio quando, salvando di fatto il lavoro dei suoi uffici, rivendica la scelta. La sua, dice, è una decisione dettata dai «numerosi errori, anche materiali», contenuti nella richiesta di arresto della Cpi. Sorvolando sul fatto che secondo la Corte non tocca al ministero questo tipo di valutazioni, dagli atti acquisiti dal tribunale dei ministri emergono due circostanze che inguaiano però il ministero. La prima: il 18 gennaio, con il mandato d’arresto, la Cpi ha inviato all’ambasciata italiana in Olanda (che poi girò domenica 19 tutto a Roma) una nota con il nome, numero di telefono e mail del funzionario da contattare «qualora le autorità italiane dovessero individuare problemi che possano impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione». È quello che prevede l’articolo 97 dello Statuto di Roma con cui l’Italia ha aderito alla Cpi. Non lo hanno mai fatto. E ancora: gli stessi uffici di Nordio avevano trovato una soluzione tecnica per risolvere il problema. Era pronta una bozza di un nuovo mandato di cattura da inviare alla procura generale: avrebbe consentito di non liberare Almasri. E invece quel documento non è mai stato fatto partire da via Arenula. Anzi, secondo qualcuno non sarebbe stato nemmeno fatto visionare a Nordio che diceva, mentre era già in volo l’aereo di Stato per riportare a casa il presunto torturatore libico, di essere ancora al lavoro per «affrontare il caso».
Perché gli uffici non sono stati ascoltati?
Una risposta è stata inviata alla Cpi dal sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano nella memoria di difesa: «La presenza di una richiesta concorrente di estradizione da parte delle autorità libiche per i medesimi fatti». In sostanza, dice Mantovano, non abbiamo consegnato Almasri alla Cpi perché anche la Libia ne aveva chiesto l’arresto. «Ma l’Italia – scrive la Corte internazionale – aveva un obbligo inequivocabile di «notificare alla Corte la ricezione di una richiesta rilevante da parte di qualsiasi altro Stato per l’estradizione di Almasri». Insomma, il ministero della Giustizia avrebbe dovuto avvisare. L’Aja che anche la Libia aveva chiesto il torturatore. Invece di metterlo su un aereo di Stato. E rimandarlo, accolto come un eroe, a casa.