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 2025  luglio 11 Venerdì calendario

Effetto Monte Rushmore: l’iconografia kolossal dei potenti di ogni tempo

Who’s on your Mount Rushmore ? È la domanda- tormentone degli americani: chi sono i tuoi “grandi”, i quattro volti da scolpire su una montagna? C’è chi lassù vorrebbe metterci pure Donald Trump, accanto a Washington, Jefferson, Theodore Roosevelt e Lincoln. Idea bizzarra? Non troppo, visto che una deputata repubblicana della Florida ha davvero presentato una proposta di legge al Congresso. Ma perché un’ipotesi del genere – già spuntata in passato anche per Kennedy e Reagan – è tanto assurda quanto impraticabile?
Per capirlo basta guardare da vicino quella parete di granito nel South Dakota. All’inizio, non c’erano facce: solo una montagna sacra per i Lakota Sioux, chiamata I Sei Nonni. Negli anni Venti, lo storico Doane Robinson sognò di trasformarla in un monumento per attirare turisti nelle sperdute Black Hills. Ma chi scolpire? Gutzon Borglum, lo scultore incaricato, scelse quattro presidenti come simboli di una nazione: Washington per la nascita, Jefferson per l’espansione verso Ovest, Roosevelt per lo sviluppo industriale e Lincoln per l’unità conservata nella guerra civile. Un modo per consegnarli all’eternità: all’epoca, si calcolò che la roccia del Rushmore si sarebbe consumata di appena 25 millimetri ogni diecimila anni!
In origine, le statue dovevano arrivare fino alla vita, ma i fondi finirono e ci si fermò alle teste, alte diciotto metri. Il capo intagliatore era Luigi Del Bianco, artigiano e scultore friulano emigrato in America. Lavorò sospeso nel vuoto insieme a quattrocento operai – molti ex minatori rimasti senza lavoro dopo la Grande Depressione. Dinamite per sgrossare, trapani pneumatici e scalpelli per i dettagli. Geniale la sua trovata: dentro le cavità degli occhi, lasciò un cubo di granito per simulare la luce che riflette sull’iride. Quegli sguardi sembrano vivi ancora oggi.
Chi sogna di aggiungere Trump si scontra con la geologia: intorno ai volti ci sono fratture profonde e rocce friabili. Un colpo di scalpello potrebbe compromettere tutto. Nemmeno una statua pre-incisa reggerebbe: troppo pesante. Un materiale più leggero, invece, si degraderebbe in modo diverso dal resto della montagna. Insomma, come ha detto un ex sovrintendente: aggiungere un volto al Monte Rushmore sarebbe come mettere un apostolo in più nell’ Ultima cena di Leonardo.
Eppure l’idea non muore mai: di leader che hanno tentato di eternare il proprio ego a colpi di statue colossali ne è piena la storia.
Prendete Qin Shi Huang, primo imperatore della Cina. 2200 anni si fece seppellire insieme a un intero esercito di terracotta: migliaia di soldati a grandezza naturale – fanti, arcieri, balestrieri – tutti diversi, in assetto di battaglia, con vere armi di bronzo e cavalli pronti a scattare. Un regno sotterraneo per l’Aldilà, esteso per oltre cinquanta chilometri quadrati. Rimase nascosto per secoli, finchénel 1974 un contadino, scavando un pozzo, non lo riportò alla luce. Da allora gli archeologi continuano a trovare nuovi guerrieri: c’è chi dice che ne manchino ancora migliaia. A Xi’an, milioni di visitatori sfilano davanti a quelle sentinelle di terracotta, pronte a difendere un potere che voleva vivere per sempre.
Saltiamo all’antica Roma. Qui l’ego brillava in bronzo dorato: il Colosso di Nerone era alto come un palazzo di dieci piani, forse 35 metri – dice Plinio – più un piedistallo di undici. Un gigante che si specchiava in un lago artificiale, proprio dove sarebbe sorto il Colosseo. Nerone si fece ritrarre come un dio: sfera in mano, a simboleggiare il dominio sul mondo, spada nell’altra, segno di potere assoluto. Dopo di lui la statua cambiò faccia: Vespasiano fece sostituire la testa con quella di Helios,dio Sole, incoronato di raggi. Adriano poi la fece spostare accanto all’Anfiteatro Flavio, trainata in piedi da ventiquattro elefanti. Da quel colosso nacque il nome Colosseo: secondo alcuni, deriverebbe dall’espressione “ad Colossum eo”, cioè “vado al Colosso”. Quando non servì più a celebrare nessuno, fu fuso: il bronzo, troppo prezioso per restare inutilizzato, rivisse in cannoni, baldacchini, decorazioni barocche.
Stessa fame di grandezza per un altro imperatore: Napoleone. Dopo la vittoria di Austerlitz, fece fondere oltre mille cannoni nemici per innalzare la Colonna Vendôme: una spirale di bronzo alta più di quaranta metri, decorata da bassorilievi che celebrano le sue campagne militari come un fumetto scolpito. In cima, lui stesso in veste di Cesare: gladio, corona d’alloro, vittoria alata. E queste manie di grandezza non sono finite con gli imperatori di un tempo!
Basta guardare al Turkmenistan di Saparmurat Niyazov. Negli anni Novanta, l’ex presidente – autoproclamatosi “Padre di tutti i Turkmeni” – fece costruire un arco monumentale alto 75 metri per celebrare la “neutralità permanente” del Paese, status che vietava alleanze militari. Sopra, una sua statua placcata d’oro che ruotava per offrire sempre il volto di Niyazov al sole. Dodici milioni di dollari per un trono rotante nel cuore di Ashgabat. Poi venne il successore, Gurbanguly Berdimuhamedow, e pose fine alla favola: smantellò tutto per spegnere, almeno in apparenza, quel culto della personalità forgiato a peso d’oro.
In fondo, cambiano i secoli, cambiano gli stili, ma la storia insegna che i potenti hanno sempre avuto la stessa fissazione: farsi più grandi di ciò che sono