La Stampa, 11 luglio 2025
Silvio, Pier Silvio e il "quid" che non c’è La dura vita dei delfini dei Berlusconi
Attenzione ad arrivare a facili conclusioni sul destino di Antonio Tajani che, ormai, c’ha fatto il callo a quest’andazzo. Ogni volta che un erede della Real Casa parla, a scadenze periodiche, si riaccende la giostra sulla “discesa in campo”.
Nel Palazzo, il day after è tutta una ridda di chiacchiere e ipotesi attorno a Pier Silvio. Anche la sinistra pare molto eccitata all’idea e davvero non si capisce perché, visto che si tratta di una tenzone tutta interna al centrodestra. In questi casi, il nome dell’eterno Gianni Letta compare nei conciliaboli come la Cassazione in materia. Del resto, si sa, il suo telefono, da trent’anni a questa parte, non hai smesso di squillare. Ebbene, scavando e riscavando, si capisce che a Pier Silvio, per cognome e anche un po’ per vanità, piacerebbe pure la politica. E comunque gioca sapientemente con la suggestione, che alimenta l’attesa. E, con essa, retropensieri e pruderie retroscenistiche.
Però, insomma, non basta la tentazione o l’istinto emulativo per ri-coinvolgere con la politica l’intero Impero. Il termometro che riguarda Marina, la Cavaliera, vera potenziale erede per “quid”, segnala “prudenza”. Molta. Praticata su di sé, quando si parla della sua di discesa in campo. Anche qui, altro tormentone sapientemente alimentato. E prudenza consigliata al fratello, per tutta una serie di ragioni comprese le aziende da non esporre, oltre all’indole e allo stile di vita: Pier Silvio non pare così tarato per la pugna, gli abbracci di folla, la politica come «sangue e merda», per stare all’immortale definizione di Rino Formica.
Avanti così questa storia sta diventando come la “rivoluzione” nella celebre canzone di Giorgio Gaber, «oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente». E, tanto per distinguere tra realtà e suggestione: quel «dopodomani», semmai sarà, è indissolubilmente legato a Giorgia Meloni. Perché il cognome Berlusconi – per ciò che è stato ed è – non potrà mai essere il secondo di qualcuno che sta al trenta per cento. Quantomeno deve iniziare la parabola discendente della premier. Anche il Cavaliere scese in campo quando si aprì uno spazio, mica a pentapartito imperante. E infatti, non a caso, Pier Silvio ha lodato Giorgia Meloni, fedele all’eterno imperativo che le aziende non possono mai, dicasi mai, entrare in rotta di collisione col governo.
Tutto questo Tajani lo sa bene, per quanto infastidito sia dalle periodiche attenzioni. Dopo qualche telefonata si arriva alla conclusione che, anche a questo giro, si farà «concavo e convesso». Mettetevi pure nei suoi panni, ci vuole tanta pazienza: lo scorso anno Marina lo aveva bacchettato sui diritti, lui propone lo Ius scholae, e ora arriva la bacchettata di Pier Silvio. Manco fosse la canzone di Antoine, ve la ricordate, «se sei buono, ti tirano le pietre, se sei cattivo ti tirano le pietre…». Qui logica dice che c’è qualcosa che non torna. Per capirlo ci vuole, prima della logica, tutta la sapienza degli antichi berlusconologi o berluscomanti, come scherzosamente si definivano i cronisti al seguito del Cavaliere, esperti dell’indole e della psicologia.
Loro sapevano bene che né l’Impero né la politica si potevano spiegare senza l’uomo, ma proprio le caratteristiche dell’uomo spiegavano l’uno e l’altra, comprese le ombre e gli eccessi. Anche i figli sono uomini. E sono e si sentono eredi di quel mito che non concepiva altro “quid” all’infuori del suo. Lo ricorda bene Angelino Alfano, il delfino che aveva sognato la successione in vita, e finì spiaggiato. Appunto, “gli manca il quid”. Lo ricorda anche Giovanni Toti, che ci aveva anche creduto quando si affacciò, assieme al Cavaliere, in tutina bianca da un balcone di villa Paradiso. Lì era stato spedito per perdere qualche chilo perché per andare in tv bisognava essere magri. Non è finita bene neanche in quel caso. Con Raffaele Fitto, poi, malissimo: ci aveva creduto alla scalata ed è stato costretto alla scissione: «Sei come Fini, se vuoi puoi andartene».
Ogni stagione ha avuto il suo casting per la tv. C’era la volta che il Cavaliere non ce la faceva più a vedere Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto sullo schermo. Poi quella del «basta con Maurizio Gasparri». E, puntuale, la cosa trapelava sui giornali con un certo gusto sadico, perché mentre li scomunicava quelli votavano pure che Ruby era la nipote di Mubarak. Ecco, morale della favola, Gasparri è ancora in tv e nel frattempo è arrivato Piersilvio a ri-porre la questione del “quid” e del rinnovamento dei volti. A reggere la baracca c’è Tajani, il meno berlusconiano per indole, il meno chiacchierato, tutto dedito al rammendo più che agli effetti speciali. Ma – chi lo avrebbe mai detto il giorno delle esequie del fondatore – piano piano Forza Italia non solo ha superato la prova di sopravvivenza ma ha superato Salvini.
Sembra un dejà vu, però se la psicologia e l’indole proprietaria a monte è chiara, lo è meno lo sbocco e pure il disegno d’assieme. Perché lui, il Cavaliere, dopo aver sepolto le ambizioni dei potenziali eredi, ritornava e prendeva voti per tutti. Senza questo corollario, è solo una roba che spieghi con Freud. Chissà, forse anche qui c’è un tema di “quid”.