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 2025  luglio 10 Giovedì calendario

La musica non basta: l’era dei megaconcerti

Aurore boreali, narrazioni quasi bibliche, voci fuori campo, ballerini, intelligenze artificiali, glaciazioni simulate e ospiti, tanti ospiti. Sono solo alcuni dei colpi di scena a cui si è assistito in questa estate di concerti nei grandi stadi: numeri altissimi (al netto dei sospetti sugli ingressi “gonfiati”), costo dei biglietti che si impenna, impianti quasi sempre pieni e, soprattutto, palcoscenici giganteschi. Non tanto per le dimensioni, alle quali siamo abbondantemente abituati, o per i megaschermi. L’asticella sembra salire per il modo in cui gli spazi vengono riempiti: siamo molto oltre il normale concerto. E se anche questa non è una novità assoluta, è difficile non accorgersi del gigantismo che sembra attraversare buona parte della musica made in Italy: tutto enorme, dalle produzioni alla durata degli show. Le sceneggiature si fanno sempre più complesse, al punto che a volte si fa un po’ fatica a seguire le storie proposte dagli artisti, che spaziano dai viaggi alla coscienza ambientalista fino alle riflessioni sull’essere umano. Ma tutto questo non allontana l’attenzione dalla musica, che dovrebbe essere il cuore dello show dal vivo?
Antonella Lodi, chief operating officer di Live Nation, uno dei promoter più importanti a livello internazionale, spiega che si tratta sempre di «richieste che provengono dagli artisti. Ovvio che queste produzioni hanno un costo alto e magari si cerca di far tornare i conti risparmiando su qualche altro dettaglio. Il pubblico però risponde benissimo, anche per uno show complicato come quello di Marco Mengoni, decisamente al di sopra delle nostre aspettative». Parlando di coreografie, Lodi fa notare che «peruno spettacolo come quello di Elodie i ballerini sono indispensabili». D’altra parte gli show delle star internazionali sono ad alto contenuto spettacolare: dopo il giro del mondo di Taylor Swift, lo scorso anno, in questa stagione sono in tour Sabrina Carpenter, Charlie XcX, Chappell Roan, Beyoncé, FKA Twigs. Tutti spettacoli caratterizzati da palcoscenici animatissimi, tra scenografie e altre trovate spettacolari. Certo, i repertori di queste star sono al di sopra di ogni sospetto: il resto è davvero un più. Ed Sheeran o, più recentemente, Bruce Springsteen, hanno offerto concerti molto suonati, con zero effetti e tante canzoni. «Un concerto come quello di Springsteen – spiega Claudio Trotta, titolare di Barley Arts – senza diavolerie, ha coinvolto tantissimo il pubblico. Si tratta semplicemente di dare a ogni cosa il nome corretto. Il concerto del più grande performer rock di tutti i tempi non può essere paragonato a spettacoli pop di cantanti o gruppi spesso molto giovani e soprattutto con pochissimo repertorio al quale attingere».
La grande ondata delle diavolerie, in tempi recenti, è stata inaugurata dai Coldplay e continua a fare sempre più proseliti. Se unproblema esiste non è tanto l’ambizione degli artisti a fornire una narrazione sempre più completa, semmai quello di un atteggiamento che sembra tendere più a esaltare la cornice che la vera sostanza del quadro. Qualche addetto ai lavori fa notare, anche a ragione, che ogni caso fa storia a sé, ma chi ha seguito la stagione ha notato una tendenza: più “vestito” che sostanza. Il pubblico si diverte perché la sola presenza dell’artista preferito è motivo di euforia: allo stadio si canta, si balla, ci si commuove e si fanno selfie e video come se non ci fosse un domani. Ma non sfugge nemmeno che gli show, per così dire, acqua e sapone di certi artisti fuori dal mainstream sollevano scosse di energia potenti. In posti più piccoli, attaccati al palco, senza argenterie ma con le tovaglie a quadretti del pranzo quotidiano. Fatelo pure grande, gigantesco, ipertecnologico, ma non dimenticate la musica. Che alla fine è una storia semplice. Come le emozioni.