La Stampa, 10 luglio 2025
Bayeux ricami di Storia
Finalmente. Grazie a un accordo intervenuto pare in altissimo loco, fra il premier britannico Keith Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron, l’originale striscia di tappezzeria comunemente – e impropriamente – nota come “arazzo di Bayeux”, conservata ed esposta nella città normanna sita presso Calais che reca quel nome, varcherà per la prima volta la Manica per venir esposta tra settembre 2026 e maggio del 2027 al British Museum di Londra. Legittima la fierezza del suo direttore, Nicholas Cullinam, che ne sottolinea il carattere “epocale": come ricordato anche da Gareth Harris in un articolo comparso l’8 scorso su Il Giornale dell’Arte. Il capolavoro – certo significativo sotto l’aspetto artistico, ma più importante ancora sotto il profilo storico – era già stato richiesto almeno due volte, nel 1957 e nel 1966: ma si era rivelato talmente fragile e problematico da spostare che l’impresa era stata abbandonata, e ancora nel 2021 molti studiosi ne avevano sconsigliato il trasferimento. Oggi, un delicato lavoro di restauro conservativo si affiancherà al lungo momento espositivo.
L’oggetto si presenta come una striscia lunga circa 70 metri e alta in media fra i 50 e i settanta centimetri che, in 9 pannelli concepiti assieme ma tessuti su telai diversi (o sul medesimo, in tempi successivi) narra in una sequenza di 58 vivaci scene gli episodi più salienti di una vicenda svoltasi tra la conquista dall’Inghilterra da parte di Guglielmo detto “il Bastardo” duca di Normandia nell’autunno del 1066 e culminata nella battaglia di Hastings, quando il 14 ottobre di quell’anno nell’area collinosa circondante un modesto abitato i normanni giunti sulla loro possente flotta batterono la lega di sassoni, angli e juti (la cosiddetta “eptarchia") che dal IX secolo avevano costituito un debole regno sempre soggetto alla minaccia dei vicini agguerriti danesi. Dopo la vittoria il duca Guglielmo ascese al trono d’Inghilterra, sul quale vantava debolissimi diritti ereditari cedutogli dal venerato ma enigmatico re Edoardo III il Confessore e contestati dal successore Aroldo II di Essex, caduto nello scontro: ma le contestabili ragioni giuridiche del normanno erano corroborate dal successo della sua armata e dal determinante appoggio del papa riformatore Alessandro II che ben conosceva i normanni Altavilla, impegnati allora sotto il celebre Roberto il Guiscardo nella conquista di Puglia e Calabria. Dal nuovo re, detto non più “il Bastardo” bensì “il Conquistatore”, il pontefice si aspettava un potenziamento della Chiesa nelle isole britanniche.
Insomma, la tappezzeria di Bayeux celebra la vittoria di un gran signore normanno, quindi d’origine danese (noi diremmo, con pittoresca approssimazione, “vikinga") ma di una stirpe ormai da oltre un secolo e mezzo naturalizzata francese e perfettamente francofona: egli, in quanto duca di Normandia vassallo del re di Francia, fondava con la sua vittoria la formale dipendenza della monarchia che ancor non possiamo definire propriamente “inglese” dal regno dei fiordalisi. Ma al tempo stesso egli traeva il suo motivo principale di legittimità dal volere di un papa riformatore: allo stesso modo si sarebbero costituite, in analogo periodo, le corone “di Sicilia”, “di Castiglia”, “d’Aragona”, vassalle tutte della Santa Sede.
Da tutto ciò emerge che non è poi così ben scelto, questo splendido oggetto medievale, a presentare oggi quell’amicizia fraterna tra Francia e Gran Bretagna che Macron insieme con Starmer vorrebbero celebrare in occasione del “ritorno” del cimelio a Londra. Un “ritorno” in una città dalla quale esso certo non proviene. In realtà la tappezzeria fu tessuta, a quel che pare, su commissione del vescovo di Bayeux, Oddone, ambizioso e turbolento fratellastro di re Guglielmo e, dopo la morte di questi, coinvolto in una congiura che lo condusse a scomparire nel gorgo della turbolente conseguenze della prima crociata. Ma una diversa tradizione vuole che, invece, committente dell’opera d’arte fosse Matilde, moglie di quello Stefano di Blois che nel secondo quarto del XII secolo fu l’ultimo sovrano della dinastia direttamente uscita dal “Conquistatore”.
Dal punto di vista iconico, le scene raffigurate nella tappezzeria sono a modo loro di un sorprendente realismo documentario. I normanni, cavalieri, avevano trasportato i loro animali da combattimento attraverso la Manica sulle loro agili navi: e combattevano usando le loro armi e i loro equipaggiamenti moderni come l’usbergo di maglia di ferro lungo fino al ginocchio, lo scudo ovale, l’elmo provvisto di nasale, la lancia brandita ora “all’antica”, sopra la testa come un giavellotto, ora “alla moderna” parallela al cavallo oppure stretta sotto l’ascella destra per conferire maggior forza alla sua capacità di penetrazione. Al confronto, gli anglosassoni risultano antiquati: per lo più appiedati (ma con un buon corpo di ausiliari armati di archi e frecce), con scudi rotondi a lunghe asce pesanti. Ma alcune incertezze, forse alcuni anacronismi, indicano che probabilmente il programma iconico dell’opera non era poi così coerente – e addirittura frutto dell’ingegno di un solo artista – come qualcuno vuole; oppure che è magari vero che il lavoro fu eseguito dai monaci dell’abbazia di Sant’Agata di Canterbury (pare ci lavorassero anche quelli dei monasteri di Sant’Antonio e di Sant’Agostino) su commissione del loro stesso vescovo, ma che per tesserlo occorsero più degli undici anni di cui si parla, tra 1066 e 1077.
Alla lunga striscia istoriata, adatta a decorare una grande sala forse di banchetto, non spetta il titolo di “arazzo” con il quale viene definita e che si riferisce ai noti pesanti tessuti detti così dalla città di Arras, della quale sono caratteristici. Si tratta piuttosto di una “tela” di lino crudo che funge da supporto su cui si appoggia una trama verticale di fili di lana, ma anche di seta, d’argento e addirittura d’oro la quale copre un ordito orizzontale di filo greggio di lana, cotone e canapa: l’insieme risulta resistente e morbido al tempo stesso, lavorato ad ago secondo due tecniche di cucitura una delle quali corrisponde al celebre “punto di Bayeux”. I colori vanno dal rosso mattone al giallo vivo o “camoscio”, al verde marcio, a tre differenti tonalità di blu. Da quando nel 1971 Nicole Viallet pubblicò il suo “classico” studio Principes d’analyse scientifique. Tapisserie, methode et vocabulaire, le tecniche di studio sull’argomento si sono molto evolute e affinate: senza dubbio, la mostra che si sta ora allestendo consentirà notevoli passi avanti e forse darà adito a scoperte rivoluzionarie. Anche e soprattutto sotto il profilo simbolico e cromoantropologico, oltreché su quello iconico, spirituale e militare (i significativi vessilli, la fiabesca immagine della cometa infocata, le belle iscrizioni che si alternano alle immagini, i molti cavalli, le navi eleganti, i fantastici marginalia). La tappezzeria di Bayeux è un mondo in cui le sorprese non finiscono mai.