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 2025  luglio 10 Giovedì calendario

Mafia, Pignatone interrogato per 9 ore

È stato un interrogatorio fiume, durato più di nove ore, quello di Giuseppe Pignatone, già procuratore capo di Reggio Calabria e Roma ed ex presidente del tribunale del Vaticano, indagato dalla Procura di Caltanissetta per favoreggiamento alla mafia in concorso con l’ex magistrato Gioacchino Natoli e con il generale della Guardia di Finanza, Stefano Screpanti. Un anno fa Pignatone si era avvalso della facoltà di non rispondere, ieri invece si è ripresentato in mattinata a Caltanissetta per replicare alle domande del pool guidato dal procuratore capo Salvatore De Luca, in merito all’archiviazione di una delle costole del fascicolo “mafia e appalti”, nato su input della procura di Massa Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo in Toscana, e poi trasmesso a Palermo.
Il 4 luglio, invece, era stato Natoli a rispondere ai pm nisseni per circa dodici ore. Secondo l’accusa, le indagini svolte nel 1992 dall’allora sostituto Natoli e coordinate dall’aggiunto Pignatone, sarebbero state blande e “apparenti”. “Istigati” dall’allora procuratore capo palermitano, Pietro Giammanco, scomparso nel dicembre 2018, gli allora magistrati avrebbero omesso delle trascrizioni di “conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato”. Il tutto con l’ausilio di Screpanti, allora capitano della GdF al quale la procura aveva delegato le indagini. Per l’accusa, l’insabbiamento dell’inchiesta avrebbe favorito i boss di Cosa Nostra Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco, già deputato della Dc negli anni ’80, il patron del gruppo Ferruzzi, Raul Gardini, e i manager Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini.
Natoli, ascoltato venerdì, ha ricostruito dal suo punto di vista come sono andati gli eventi, spiegando lo sviluppo dell’indagine dopo aver ricevuto il fascicolo da Massa Carrara. L’ex magistrato antimafia è accusato di aver occultato “ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche” e per questo “avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine” e “la distruzione dei brogliacci”. Natoli si è difeso spiegando che la “smagnetizzazione dei nastri” in realtà è una frase riportata nei moduli standard usati all’epoca dalla procura palermitana, per i casi di archiviazione e nei processi già definiti. A penna invece è stato aggiunta la frase “la distruzione dei brogliacci”, che Natoli in precedenza aveva indicato potesse essere di Damiano Galati, all’epoca storico funzionario del Centro Intercettazioni telefoniche. Per questo l’ex pm è accusato anche di calunnia dei confronti di Galati, perché i magistrati nisseni ritengono che in realtà la frase sia stata aggiunta da Pignatone.
Ma né i brogliacci né le bobine sono mai stati distrutti. La Guardia di Finanza nissena a settembre 2024 ha recuperato le 38 bobine e giovedì scorso ha trovato quattro buste di colore giallo con sopra i timbri della GdF, apposti nel 1992, in cui erano contenuti i brogliacci. Erano nel deposito del palazzo di giustizia di Palermo ricoperti di polvere e lasciati a terra in archivi da tempo non utilizzati. Adesso andranno analizzate e toccherà agli inquirenti chiarire se l’indagine del 1992 andava archiviata oppure no.