Corriere della Sera, 9 luglio 2025
Intervista a Lino Banfi
«I passaggi a livello? Sono quelli che agli uomini, a una certa età, non si alzano più. Prima erano orgogliosi delle sbarre che si alzavano: le lucidavano, le lustravano, le tenevano in perfetta forma, ma poi resta solo la nostalgia dei bei tempi andati». E si intitola proprio Passaggi a livello la conversazione/spettacolo con cui Lino Banfi, dopo oltre trent’anni, torna protagonista in palcoscenico il 7 settembre al Todi Festival, raccontandosi a Pino Strabioli. «Sarà l’autoriflessione di un vecchio che, tutto sommato, si porta bene i suoi anni», precisa l’attore pugliese, che oggi compie 89 anni. «Sì, ma sono stato registrato all’anagrafe l’11 luglio. Forse perché le levatrici volevano ringiovanirmi di due giorni... La mia paura è la notte del nuovo compleanno, perché entro nei 90 anni e, infatti, la “paura fa 90”!».
È un bel traguardo...
«Non mi lamento... i miei medici dicono che ho la memoria di un quarantenne, ma ovviamente sono ai tempi supplementari, posso fare ancora qualche rigore, ormai a fine partita».
Per modo di dire, perché lei sta pure girando un film!
«Con i simpatici miei conterranei Pio e Amedeo, pugliesi di Foggia. Il film si intitola Oi vita, oi vita mia! e uscirà a Natale. La mia è una partecipazione, ma stiamo creando un bel trio».
In palcoscenico, non sarà solo una partecipazione...
«Assolutamente no e sono molto contento di tornare al rapporto col pubblico dal vivo: è più faticoso, ma è sempre formativo per un artista, devi catturare l’attenzione degli spettatori».
D’altronde, lei, è nato in teatro con l’avanspettacolo.
«Iniziai come imitatore e amavo farlo di personaggi famosi di colore, tipo Louis Armstrong o Nat King Cole. Mi infilavo una calza di nylon in testa: col naso schiacciato, la voce roca, sembravo un ladro che stava per fare una rapina in banca, ma il pubblico si divertiva. Poi ho fatto di tutto: dal prestigiatore al vero e proprio comico. Fu il grande Totò a dirmi che l’avanspettacolo era una ottima scuola».
Come lo conobbe?
«Avevo cominciato a esibirmi all’Ambra Jovinelli, dove molti anni prima aveva recitato lui stesso. Fui raccomandato dall’allora padrone del teatro romano, Graziano Jovinelli: mi dette un biglietto per presentarmi a casa del Principe de Curtis. C’era scritto che ero un bravo ragazzo, sapevo distinguere i congiuntivi dai condizionali e non toccavo i culi alle soubrette... Totò mi accolse con signorilità e mi consigliò di cambiare nome. All’epoca lo avevo già modificato in Lino Zaga, ma non gli andava bene: il nome ok, accorciare il cognome mi avrebbe portato jella. Quindi rimase Lino. Banfi spuntò fuori dall’elenco di classe del mio impresario che faceva anche il maestro elementare».
L’inizio di un lungo percorso. Suo padre era contento?
«Mi disse: se diventi famoso, non dovrò più togliermi il cappello quando saluto qualcuno. Gli risposi: sì e magari qualcuno ti saluterà, dicendo che sei il papà di...».
Una carriera di successi...
«All’inizio, anche tanta fame... Non dimentico le notti passate alle stazioni ferroviarie, in compagnia giovani come me in cerca di lavoro o di vecchi barboni. Ho fatto persino il posteggiatore abusivo a Milano, dove essendo meridionale non mi affittavano le stanze per andare a dormire. Una volta, mi è capitato che...».
Che cosa?
«Una banda di ladruncoli mi voleva ingaggiare come complice: mentre loro commettevano il furto in qualche appartamento, dovevo fischiare la canzone ’O sole mio, se vedevo arrivare la polizia. Però me la facevo sotto dalla paura, non riuscivo a fischiare e mi cacciarono».
E pensare che lei sognava di fare il chirurgo...
«Una passione che mi è rimasta. Ho assistito mia moglie Lucia, per far nascere nostra figlia Rosanna, poi ho aiutato il ginecologo a far nascere i miei due nipoti, Virginia e Pietro. E il 13 dicembre scorso, avrei voluto assistere anche Virginia nel mettere al mondo Matilde, mia pronipote, ma non mi hanno fatto entrare in sala parto. Data la mia età, i medici con garbo mi hanno detto: signor Banfi, lasciamo perdere...».
Il momento più difficile della sua vita?
«Ce ne sono stati parecchi. Quello più difficile fu quando decisi di abbandonare il mestiere d’attore: ero già sposato, guadagnavo pochissimo, vedevo Lucia deperire e andai in cerca di un posto fisso. Un amico di mio padre poteva farmi fare l’usciere in una banca e stavo per accettare, ma proprio Lucia mi disse che non avrebbe sopportato l’idea di un marito infelice. E aggiunse: i debiti ce li abbiamo, ce li avremo, tu continua a fare l’artista».
Poi, il successo e tanti film con tante attrici belle, famose. Sua moglie gelosa?
«Per niente, sapeva che non ho mai corteggiato le mie colleghe. Ma a volte, quando guardavamo insieme uno dei miei film, e vedeva le scene dove toccavo le cosce o le tette a una di loro, Lucia commentava tagliente... e io le rispondevo scocciato: Luci’! Quando ho girato quella scena, c’era tutta la troupe di quaranta persone che guardavano! E lei ribatteva: sì, loro guardavano, ma tu... toccavi...».