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 2025  luglio 09 Mercoledì calendario

I soldati dell’Idf: "Vediamo i nostri funerali" Il trauma tra tentati suicidi e autolesionismo

Combattono in prima linea da 21 mesi. A Gaza, in Libano, in Cisgiordania. Sono stanchi, traumatizzati, hanno paura, soffrono. Ma non possono parlarne pubblicamente. In guerra non puoi permettere al nemico di guardarti dentro. Non tutti riescono a convivere con il trauma e a restare in silenzio. Cinque soldati israeliani, in condizione di anonimato, hanno sfidato la censura e hanno affidato al quotidiano Haaretz frammenti di sofferenza e testimonianze che rappresentano uno spaccato dell’impatto della guerra sulla generazione cresciuta sotto le armi dopo il 7 ottobre del 2023. La perdita degli amici: «Ci hanno insegnato come caricare, come riparare un’arma inceppata. Nessuno mi ha insegnato cosa fare dopo aver assaggiato il sangue del mio migliore amico». La propria morte: «A volte la sera parliamo di come saranno i nostri funerali, cerchiamo di indovinare quante persone verranno, e se la nostra ex piangerà per noi». Le relazioni sentimentali: «Abbiamo provato a fare sesso e non ci sono riuscito. Niente ha funzionato. Lei ha cercato di calmarmi, ma io sono entrato in questa spirale, convinto che da quel momento in poi sarebbe andata così, che la guerra mi avesse distrutto. Che lei mi avrebbe lasciato».
I soldati hanno famiglie, alle loro spalle, che si preoccupano per le conseguenze. Daniel Edri ha prestato servizio come riservista sia nella Striscia sia in Libano. La madre Sigal ha descritto ai media la sua discesa nell’autolesionismo, nel baratro dei pensieri suicidi, fino a quando si è tolto la vita, vittima del disturbo post-traumatico da stress (Dpts) non trattato adeguatamente. Oggi critica le autorità per non averlo salvato – sebbene gli fossero stati riconosciuti problemi di salute mentale e avesse presentato domanda per essere dichiarato affetto da Ptsd, la procedura non era stata completata – e chiede che venga annoverato tra i soldati caduti in guerra, e che gli vengano concessi funerali militari, anche se non era in servizio al momento della sua morte.
Altre famiglie corrono ai ripari. La scorsa settimana l’avvocata Batya Kahana-Dror si è rivolta alla Corte Suprema israeliana per conto di Mother Awake, una Ong di madri dei soldati in prima linea e ha presentato una petizione contestando la Direttiva 77, un ordine militare che estende di quattro mesi il servizio militare obbligatorio. La stessa Kahana-Dror ha due figli miluim, in riserva attiva, e uno appena congedato. «I soldati sono al limite – dice –. Molti crollano quando sanno dell’estensione del servizio». I suoi racconti sono allarmanti: «Alcuni dicono che i soldati si feriscono deliberatamente solo per riposarsi un po’, eppure, anche in quel caso, ricevono l’ordine di tornare indietro, pena il carcere».
Intanto altri cinque militari sono rimasti uccisi, lunedì sera nel Nord di Gaza, da un ordigno esploso sul ciglio della strada mentre perlustravano a piedi le vie di Beit Hanun. Anche i compagni accorsi per recuperarli sono stati presi di mira dai terroristi. Quattro di loro erano haredim, ebrei ultra-ortodossi della Netzah Yehuda, l’unità concepita per consentire a chi vive lo stile di vita religioso di prestare servizio come soldato combattente.
Nei quasi 4 mesi da quando Israele ha ripreso le manovre militari a Gaza, nella Striscia sono stati uccisi 38 combattenti, una media di 10 soldati ogni mese. I primi quattro sono caduti tra marzo e aprile, altri otto a maggio e tutti gli altri tra giugno e luglio. I numeri confermano quello che soldati e famiglie ripetono da mesi: la pressione sta diventando insostenibile e le risorse psicologiche sono inadeguate. Anche le famiglie degli ostaggi ancora prigionieri di Hamas a Gaza lo sanno e insistono che a salvarli sia un accordo, non la guerra.