lastampa.it, 9 luglio 2025
Ma i cacicchi vendono cara la pelle
Benché chiusa con bolli e controbolli, dalla Corte costituzionale al consiglio dei ministri e con l’unica chiara insoddisfazione messa a verbale dalla Lega, che rischia dopo molti anni di perdere il dominio del Nord, nella partita del (mancato) terzo mandato dei governatori rischia di aprirsi, forse s’è già aperto un terzo tempo. Ed è quello delle liste civiche degli ormai quasi ex-presidenti di lungo corso, in lizza fino all’ultimo per una riconferma e ora intenti nel negoziato per vendere cara la pelle. Zaia, da più di vent’anni “Doge” del Veneto, avverte che una lista a suo nome può valere anche il 45 per cento dei voti, come dire essere o non essere determinante.
Si capisce, in un discorso così, senza peli sulla lingua, il suo risentimento per aver letto sui giornali ipotesi sul suo futuro ben lontane dalle proprie aspettative, come la presidenza del Coni (ormai assegnata) o il futuro posto di sindaco di Venezia. Non è diverso, semmai leggermente più doroteo, come altrimenti definirlo, il ragionamento dal gran visir di Campania, tra sindaco e governatore anche lui da vent’anni, De Luca. Il quale ormai non si oppone all’idea che il suo successore, in nome dell’accordo per il “campo largo”, provenga dai 5 stelle. Purché non sia l’ex-presidente della Camera Fico, che già era in campagna elettorale. Chiara l’offerta a Conte: se vuoi avere davvero il governatore, devi trattare con me e non con Schlein. E non a caso De Luca fa una rosa di nomi dí pentastellati tutti di seconda generazione, vicini all’ex-premier.
Inoltre non è da sottovalutare il pesante silenzio con cui si sono espressi, a proposito dei veti posti nei loro confronti dal candidato alla guida della Puglia Decaro, l’attuale governatore Emiliano e l’ex-Vendola. Decaro non li vuole nel prossimo consiglio regionale per evitare di trovarsi in una diarchia, o peggio, triarchia. Ma Emiliano e Vendola sono perfettamente in grado di sabotare il centrosinistra, in una regione dove ha sempre conquistato faticosamente la maggioranza, con qualche aiuto spurio.
La trattativa per le prossime regionali riparte di qui. Né Meloni né Schlein possono consentirsi di sottovalutare il grido di dolore che viene da quelli che una volta D’Alema osò definire, con un incancellabile nomignolo, i “cacicchi”