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 2025  luglio 09 Mercoledì calendario

Intervista a Dario Ballantini

Mille maschere, una girandola di personaggi e il suo volto che sfuma dentro al vortice di risate. Dario Ballantini è davvero uno, nessuno e centomila: il giullare di Striscia la notizia dai contorni pirandelliani, che veste sempre i panni di qualcun altro, e al contempo un artista che dipinge, scolpisce, crea. Passa dall’arte impegnata alla più vacua allegria, giocando con l’alto e il basso: un trasformismo che è la sua fortuna ma anche la sua croce. «Struccato nessuno mi riconosce, e fin qui, va be’, pace – racconta con inconfondibile accento toscano – ma pure in casa, basta che mi faccia crescere la barba e mia figlia non mi riconosce». Per questo quando domani debutterà a La Spezia Estate Festival con Lo spettacolo di Ballantini – Conseguenze di 40 anni nei panni degli altri esordirà ringraziando la platea «di credere che sia davvero io in scena e non un tale salito sul palco per caso».
Soffre nel non essere visto dagli altri?
«È così da quando ero bambino. Bastava che cambiassi pettinatura e la gente non mi riconosceva più. Non so cosa sia, è come se calasse un velo di Maya... e la stessa cosa sta capitando a mia figlia: non la riconoscono. Forse è un fatto genetico. Sul lavoro di sicuro è stata la mia fortuna».
Suo padre dipingeva, suo nonno era un attore filodrammatico, suo zio un tenore mancato: il suo destino non poteva che essere lo spettacolo?
«Sono cresciuto circondato dall’arte ma in modo un po’ triste. Nonno, papà e zio sono stati tutti artisti mancati e falliti. Mio nonno ha sempre rimpianto di non aver fatto l’attore di professione, mio padre ha lasciato la pittura per mantenere la famiglia mentre mio zio, talentuosissimo, perse la voce. Sentivo quindi di dover riscattare le loro vite, che gridavano giustizia».
Alla fine chi è Dario Ballantini?
«Sono il Clark Kent dell’arte, che si mette il costume in tv. Mi destreggio tra teatri, pittura e tv. Sì, vado in analisi da tantissimo tempo, perché è difficile gestire tutto, soprattutto in un Paese dove l’eclettismo non è previsto. Prenda Dario Fo: era anche un ottimo pittore, ma ce lo siamo scordato. Per tutti resta l’attore».
L’imitazione è un’espressione di serie B?
«Effettivamente è la formula più rudimentale del teatro: fai il verso a qualcuno, e finisce lì. Io poi non sono tra quelli che mischiano arte e politica: cerco l’emozione di pancia, non spiegata, perché quando vuoi dare un messaggio, non sei più un artista, ma un intellettuale. Anche il mio alter ego artistico non vuole dare messaggi con i quadri: affronto sempre e solo un tema unico, ovvero il terrore dell’essere umano che si sente sperduto nel mondo».
Lei si sente sperduto?
«Sì, la vita è una continua ricerca di senso che non trova mai risposta».
È credente?
«Sono sperante».

Il suo lavoro in tv le ha mai creato problemi nell’essere preso sul serio come pittore?
«Ho giocato d’anticipo: per 16 anni ho usato il cognome per la pittura, mentre come imitatore ero Dario. Che dire? è una continua lotta tra questi due mondi, che ora si spalleggiano e ora si danneggiano».
Guadagna di più Dario l’imitatore o Ballantini il pittore?
«È il primo a portare a casa la pagnotta. La pittura però è più libera e più privata».

Ha ragione Fiorello quando sostiene che ormai le imitazioni in tv sono inflazionate?
«Il discorso è più di qualità che di quantità. Il problema sono i programmi come Tale e quale show che sfornano pseudo imitatori, perché tutto è ridotto a un gioco. Di contro ci sono invece bacini molto interessanti come Gialappashow: Giulia Vecchio e Brenda Lodigiani sono strepitose».
Lei è stato il primo a fare le imitazioni in mezzo alla gente. Di chi fu l’idea?
«Di Antonio Ricci. I miei personaggi non funzionavano così decise di sparigliare le carte e mandarmi in piazza. Accettai per disperazione: ero agitatissimo, sapevo di giocarmi tutto, ma una volta in strada mi sono lasciato andare. In questi 40 anni ho fatto più di 75 personaggi solo per Striscia».
Si è tolto qualche sassolino dalla scarpa?
«No, è il mio grande difetto: il mercato chiede di essere feroci mentre io rendo tutti più simpatici. Politici, purtroppo, compresi. Solo con Nanni Moretti siamo stati un po’ troppo caricaturali: mi spiace, lui non l’ha presa bene. Quando l’ho incrociato mi ha salutato freddamente. Forse però non mi aveva riconosciuto...».
Ha tre figli da due donne diverse, e ora si è felicemente risposato: magari non la riconosceranno, ma si può dire che è un vero sciupafemmine?
«Lo sono diventato dopo i 40 anni... da giovane non lo ero. E ho pure sofferto della sindrome da crocerossina. L’ho superata sulla mia pelle, quando ho capito che o le cose si fanno in due, o non le si fanno. Ora invece sono sereno».