il Fatto Quotidiano, 9 luglio 2025
Bob Geldof: “McCartney terrorizzato e Bono quasi licenziato”
Non dormivo da settimane, nessun artista aveva un contratto firmato. Ero nervoso, correvo su e giù per Wembley con la schiena a pezzi. Mi sdraio cinque minuti su una cassa. Arriva David: “Bob, che ti succede?”
David?
Bowie. Gli dico: “Sto impazzendo dal dolore”. Lui: “Girati, ti faccio un massaggio”. Io: “No, no”. Insiste. Così, eccomi in un universo parallelo dove David mi manipola la spina dorsale finché il mio chitarrista si affaccia: “Tocca a noi”.
13 luglio 1985, i suoi Boomtown Rats sul palco di Londra per il Live Aid. Quasi due miliardi di telespettatori, Sir Bob Geldof.
Ero a mio agio, pensavo: fanculo, è solo uno stadio. All’improvviso mi resi conto della scala dell’evento. Ci stavano guardando dalla Terra del Fuoco.
Diretta globale, 17 ore in staffetta tra Wembley e Philadelphia, le superstar dell’epoca disposte a esibirsi per raccogliere fondi in favore dell’Etiopia flagellata dalla carestia.
Non fu la musica a spostare l’ago della bilancia, bensì la nostra decisione tutta politica di riunirci per qualcosa di concreto. Per la prima volta da quando l’uomo era uscito dalla Rift Valley ci stavamo parlando. Il 95 per cento delle tv del pianeta erano collegate per un problema da risolvere insieme. La nostra vittoria fu mostrare che il mondo non era immutabile.
Oggi sarebbe possibile?
No, il rock’n’roll ha fatto il suo tempo come potenziale rivoluzionario. Ora gli algoritmi ci hanno ghettizzati. Però c’è un Live Aid che ha luogo ogni giorno. Io lavoro per l’Africa. Malgrado quel pazzo del presidente del Paese più ricco, che schiaccia i diseredati.
Era vera la storia che tentaste di riunire i Beatles con il figlio Julian al posto di John Lennon?
Sarebbe stato ridicolo. Avevamo il sì di McCartney: non suonava dal vivo da sei anni, da dopo la morte di John. Paul era tesissimo. Lo avevano convinto le figlie e Linda, sua moglie. Guidando verso Londra, McCartney ascoltava per radio il Live Aid e se la stava facendo sotto. Sarebbe stato l’ultimo a entrare in scena. Nei festival fai i tuoi pezzi e te ne vai. Al Live Aid tutti erano rimasti. Bowie, Freddie, il fottuto Elton, Bono. Volevano sentire Paul. Che sale sul palco per Let it Be e….
Il microfono non funzionava! Ero tra i 72mila di Wembley. Cantammo al posto di Paul.
Pete Townshend degli Who mi sussurra: “Bob, dobbiamo fare qualcosa per Macca. Andiamo lì fuori”. Io: “Non se ne parla”. Dall’altro lato spunta Bowie, mi spinge sul palco. Eccomi a fare i cori con i miei eroi. Non eravamo i Beatles ma quasi, io ero l’intruso. Pensavo: che ci faccio qui?.
I Queen. Dal prato il loro volume pareva davvero molto più alto delle altre band.
Non me ne accorsi. Se il tecnico del suono avesse tirato su i cursori per i Queen, Roger Taylor e Brian May me l’avrebbero detto, in questi anni. Siamo amici, andiamo al pub. È che se tutti gli artisti furono magnifici, loro furono stratosferici. Ed erano in una fase calante della carriera. Ma tante cose raccontate nel film Bohemian Rhapsody erano solo sceneggiatura. Mercury non sapeva di avere l’AIDS, e quanto alle linee telefoniche, non collassarono durante il set dei Queen, bensì quando Bowie presentò i Cars, pronti a Philadelphia.
E gli U2? Ero nel pit e Bono quasi mi cadde addosso. Voleva abbracciare una ragazza premuta contro la transenna. Non c’erano maxischermi, ed ebbi l’impressione che gli altri del gruppo fossero gli unici al mondo a non sapere che fine avesse fatto il loro cantante.
C’è una foto di me che metto un braccio sulla spalla di Bono, subito dopo. Lui ha una faccia da funerale: il manager e i compagni lo avevano fatto nero, volevano licenziarlo. “La più grande occasione della nostra vita e l’hai rovinata! Non abbiamo fatto in tempo a suonare Pride!”. Bono si era tuffato per una cazzata da live: salvare la ragazza. Ma era tv, e gli U2 stavano sforando i 20 minuti dello slot. C’era un semaforo, stava diventando rosso. Il palco gira e linea all’America.
A Philadelphia Dylan disse: “Sarebbe bello se parte di questi soldi andassero ai nostri agricoltori”. Vi siete mai chiariti?
No, capì subito l’enormità della gaffe. Si scusò. Cazzo c’entrano i contadini USA in crisi con chi muore in Etiopia? E il suo live con Keith Richards e Ron Wood fu un disastro.
Vent’anni più tardi, il 2 luglio 2005, tentaste di ripetere l’impresa con il Live 8. Cinque giorni dopo ci furono gli attentati a Londra.
Raggiungemmo comunque l’obiettivo di far cancellare il debito dei paesi poveri. Prememmo sui leader del G8 riuniti in Scozia. Eravamo lì a Gleneagles quando arrivarono le notizie delle bombe. Blair ripartì per Downing Street. Tornò sconvolto. Kofi Annan ci disse: “Avrete quel che chiedete”. Schroeder e Chirac ci appoggiarono. Wojtyla era dalla nostra parte. Furono raddoppiati gli aiuti fino a 50 miliardi di dollari l’anno.
Niente celebrazioni per il quarantennale del Live Aid?
Il musical Just for one day è in scena nel West End, il 10% degli incassi va al Band Aid Trust. Il 13 sarò a Londra per un gala, il 16 al Pordenone Blues Festival con i Boomtown Rats. Siamo insieme da 50 anni: da irlandesi tagliati fuori, ci siamo ricavati un posto nella storia del rock.