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 2025  luglio 08 Martedì calendario

Intervista a Ema Stokholma

Morwenn o Ema?
«Mi sento sempre Morwenn, ma capisco che si debba semplificare. Quindi Ema va bene».
Chi la chiama con il nome di battesimo?
«Chi mi conosce da prima del 2009».
Nel 2009 Morwenn Moguerou, 41 anni, ha scelto il nome con cui vivere la sua vita adulta: Ema Stokholma. Conduttrice radiofonica (Back2Back e Radio 2 Social Club su Radio 2), deejay (ha aperto il concerto del primo maggio in piazza San Giovanni a Roma), scrittrice (Per il mio bene, premio Bancarella 2021 per HarperCollins), pittrice (su Instagram posta le foto dei suoi quadri, che adesso vende), attrice (Vita da Carlo, su Paramount+), sta lavorando per diventare anche poetessa. «Gli appunti che scrivo dopo le sedute dall’analista sono vere e proprie poesie», chiosa sorridente su una panchina del parco di Villa Celimontana a Roma.
Quale definizione le piace di più?
«Sono una donna che lavora. E che fa cose bellissime. Approfitto del fatto che me le lascino fare!».
Nel suo memoir ha raccontato il primo ricordo brutto, quando a 4 anni sua madre la picchiò in auto. Vogliamo dire il primo ricordo bello?
«Sono stati tantissimi a scuola, con i miei compagni. Era bellissimo andarci e vivere una vita normale in mezzo a loro. In mensa mangiavamo tutti insieme e ricordo che finivo sempre i loro piatti: ero affamatissima».
A casa rifiutava di proposito il cibo che le preparava sua madre?
«Forse rifiutavo tutto quello che arrivava da lei, sto ancora cercando di capirlo. Anche adesso mi capita di lasciarmi andare a questa forma di inappetenza».
Magari quando è giù di corda?
«Io non sono mai giù di corda. Magari mi arrabbio, ma mi passa dopo 10 minuti. E comunque non so resistere alle chips!».
Ha più rivisto Stéphane, il libraio che le salvò la vita, inconsapevolmente, quando sua madre la incitò a buttarsi nel fiume?
«Avevo 9 anni e no, non l’ho rivisto. Quando sono tornata a Romans-sur-Isère, due anni fa, lui non c’era: il negozio sì, con lo stesso poster appeso in vetrina».
E ci sono ancora le iniziali sue e di suo fratello Gwendal sul cemento del marciapiede davanti alla vostra casa di allora?
«No, perché è stato rifatto. Ma un mio amico mi ha regalato un piccolo tappeto che lo riproduce. È stato un bellissimo dono, perché mi ricorda uno dei pochi gesti edificanti che ha fatto mia madre nei nostri confronti. Fu plateale, mi fece piacere: mi dimostrava che un po’ esistevo ai suoi occhi».
Non pensò mai di denunciare a un adulto quello che succedeva in famiglia?
«Mi prendo le mie responsabilità, ma io avevo troppa paura di ritornare a casa dopo una eventuale denuncia. Lei, poi, non mi mandava a scuola quando i lividi si vedevano. E comunque non è che avessi dei modelli di riferimento positivi, tra gli adulti: persino mio padre mi diceva “ci vediamo lunedì”, e poi ricompariva dopo quattro anni...».
Vi vedete adesso?
«Ogni tanto mi manda un messaggio».
Invece suo fratello?
«Per fortuna ci vediamo! In genere 5-6 volte l’anno, l’ultima un mese fa a Parigi».
Aveva letto il suo memoir prima della pubblicazione?
«La stesura definitiva no, ma lo ha visto crescere passo passo: gli mandavo i capitoli man mano che li scrivevo; senza il suo consenso non lo avrei mai pubblicato. I proventi li divido equamente tra di noi, perché è la mia storia, ma anche la sua».
Sua madre la colpevolizzava molto sul sesso, anche quando lei era troppo piccola per decifrare le sue accuse. Come è riuscita, poi, a vivere la sessualità in modo positivo?
«E chi dice che io la viva in modo positivo?».

Sogna ancora sua madre?
«Mi capita di rado. Le poche volte che succede, è sempre la mamma giudicante che mi disprezza».
Che effetto le ha fatto vincere il Bancarella?
«Non riesco a definire l’emozione che ho provato. Mi è sembrata una ricompensa, una compensazione assurda, in eccesso. Forse è semplicemente la legge del karma».
Escludendo quel giorno, quando si è sentita più felice?
«Quando ho venduto il mio primo quadro. In questo mi ha aiutata Gino Castaldo, che è la persona più saggia che conosca. Anziché piagnucolare perché nessuna galleria mi chiamava per chiedermi di esporli, lui ha suggerito di fare tutto da sola, come quei cantanti che si producono e si pubblicano senza una casa discografica. Io ho Riccardo, un ragazzo che da Londra gestisce la vendita dei miei lavori su Instagram».

Come sono le sue quotazioni?
«L’ultimo l’ho venduto a cinquemila euro. I soldi che guadagno con i quadri li spendo in cene con i miei amici, che mi sopportano nella buona e nella cattiva sorte. È da loro che parcheggio i dipinti finché non li vendo: a casa mia non ci stanno più».

A proposito di amici, parliamo di Andrea Delogu?
«Lei è la boss: decide sempre dove si mangia e a che ora, il lunedì vuole già pianificare quello che si farà il sabato».
Di cosa le è più grata?
«Della comprensione. Ha un’attitudine all’ascolto, ti chiede le cose perché veramente vuole conoscerle. È stata la prima a chiedermi, per esempio, di mia mamma, e quando le ho raccontato cosa mi faceva, ha voluto sapere dove, quando, tutto».
Scelga un altro amico.
«Luca Barbarossa: è diventato in pochi mesi una figura importante per me, lo ammiro per la famiglia che ha e per le scelte che ha fatto. E Mirko Nazzaro, che mi ha messo sulle tracce di Marina Abramovic».
In che senso?
«Ero volata a Londra a vedere una mostra di Abramovic, dietro suo consiglio. Poi sono andata a Viterbo, per vedere la performance con l’ologramma. E la scorsa primavera la direttrice di Radio 2, Simona Sala, mi ha chiesto se volevo intervistarla per RaiPlay: non potevo crederci! Per migliorare il mio accento francese, ho preso lezioni di inglese online».
Era agitata?
«Tantissimo. Lei è una delle artiste viventi più importanti, ha proprio cambiato il ruolo della donna nel mondo dell’arte. Da poco mi ha invitata con Alessia Marcuzzi a Capri, perché l’avevamo citata in tv».
Le capita spesso di emozionarsi durante gli incontri che fa al lavoro?
«Sì, mi emozionano quelli che hanno inciso nella mia vita con una canzone, da Amedeo Minghi con “Trottolino amoroso” (Vattene amore, ndr) a Cocciante con Margherita».
Chi vorrebbe conoscere?
«RuPaul, la drag queen del video di Don’t Go Breaking My Heart, con Elton John. Penso sia una delle più belle donne al mondo, per lei mi presi un bello schiaffo da mia madre».
Fare regali le piace: il più bello a suo fratello?
«Gliene faccio tanti. Lui ama la fotografia, quindi con le macchinette non sbaglio mai. Da poco, gli ha fatto un sacco piacere un aspirapolvere di marca: è fanatico delle pulizie».
Cosa sogna per il suo futuro?
«Sogno di stare tranquilla, di avere poco stress, di vivere in una casa dove puoi sentire gli uccellini che cantano».
Non ha traslocato da poco? È a quota 39!
«Se calcoliamo la ristrutturazione, allora i traslochi sono 40, perché comunque ho riempito gli scatoloni per farla. Ma nemmeno questa è la mia casa definitiva. A parte che sono proprio di fronte ai Musei Vaticani, e può immaginare cosa è stato le scorse settimane... Ma la mia natura è spostarmi di continuo».
Ora ha tutto quello che sognava da bambina?
«Sognavo una famiglia stile Friends, e ce l’ho.
Sognavo di fare la cameriera, e anche quello l’ho fatto e mi è piaciuto: mi pagavano la sera stessa, quindi vedevo subito il risultato del mio lavoro».
Non ha mai sognato dei figli?
«No, non l’ho mai desiderato. Non sono cresciuta con il mito della famiglia da Mulino Bianco, questa è forse una delle poche cose di cui ringrazio mia madre».

Però ha avuto un compagno con due figlie.
«È stata una bellissima esperienza. Spero che sappiano di poter sempre contare su di me».

Toglierà i tatuaggi?
«Ho cominciato a farlo, ma è tanto doloroso e in fondo penso di aver sofferto già abbastanza. Comunque sì, un po’ alla volta ce la farò».
Le è piaciuto fare la modella? Ha sfilato per Valentino, Fendi, Versace...
«Sinceramente no. È un mestiere molto noioso, dove devi mostrare tutto fuori, mentre io ho tutto dentro».
Continua ad andare in analisi?
«Sì, dal 2012: ho cambiato svariati terapisti, ma non ho mai smesso di lavorare su di me».
Qual è la cosa a cui tiene di più oggi?
«La mia libertà».