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 2025  luglio 08 Martedì calendario

Intervista a Mirko Frezza

Per prima cosa, come sta? Dopo Mario Adinolfi, reduce dall’Isola dei famosi, è stata ricoverata anche Loredana Cannata. «Mi si è attappata la fogna e si è rotto il frigo» dice ridendo Mirko Frezza. «Per il resto, sto benissimo. Ho perso 15 chili, pure troppi; manco a 20 anni stavo così». Persona di rara simpatia, vita da film – il carcere, il riscatto, adottato dal cinema, è un attore di talento – Frezza è anche presidente dell’Associazione Casal Caletto: «Facciamo 1.600 pasti, 400 pacchi viveri e offriamo assistenza medica. Con me lavorano ex detenuti. Aiutiamo chi ha bisogno». Ha vissuto tante vite, lo ripete: «Mi ha salvato mia moglie Vittoria, ho tre figli stupendi: devo tutto a lei».

L’isola che esperienza è stata?

«È stato il vil denaro a convincermi a farla, ma subito ho capito che era più importante quello che mi ha portato. Sono rinato».
Cosa la spaventava di più?
«Intanto odio il mare e la sabbia, mio figlio ha 11 anni e non l’ho mai portato sulla spiaggia. Essendo della Vergine ho la fissazione per l’igiene, quindi ho avuto le mie difficoltà. È stata un’esperienza forte, ho ricominciato a sognare dopo venti anni, stavo sempre sulla striscia di Gaza con la testa».
Che ha capito?
«Stando tanto da solo, ho fatto pace con il mondo. Sull’isola ho capito che serve poco, che tante cose non servono a un ca**o. La mia famiglia mi aveva dato sette giorni di tempo, sono arrivato all’ottava puntata. Tante persone hanno apprezzato la sincerità e la mia scolarizzazione, non so usare i congiuntivi».
Ha difeso il privato.
«La lettera che ho ricevuto l’ho tenuta per me, l’aveva scritta mia figlia, era “politicamente corretta”, un po’ da C’è posta per te. Ma tra le righe ho capito. I panni sporchi si lavano in famiglia, sono privati come gli abbracci e le pomiciate».
Chi avrebbe dovuto vincere?
«Loredana Cannata. Abbiamo avuto scazzi pazzeschi, va dal fruttarolo e io dal macellaro, ma meritava lei. Non era costruita. Per me ha vinto Cristina Plevani grazie a Dino Giarrusso, che non inviterei mai».
Ha iniziato male – gli espedienti, il carcere – ma è arrivato bene: fa l’attore. Com’è stato il percorso?
«Ho fatto il capogruppo, poi lo stuntman. Tanti ruoli fino a Il più grande sogno di Michele Vannucci, che è la storia della mia vita, con Alessandro Borghi. Un fratello, una persona stupenda che non ha dimenticato da dove viene. Ha creduto in me, mi ha aiutato anche dal punto di vista economico. Ho rinunciato ai ruoli del cattivo, le parti “spara spara”. Golia, in cui facevo un malato di Alzheimer, mi ha fatto crescere. Poi ho girato Amici per caso, finalmente una commedia. Ho pianto troppo».
Quante vite ha vissuto?
«Con L’isola, tre. Quando vieni da una periferia le opportunità sono poche. Le mancanze mi hanno portato a sbagliare, ho commesso reati. Mia moglie mi ha trascinato via. Mi piace come donna e ha la dolcezza della sora Lella, che si può volere di più dalla vita?».
In effetti. Anche l’associazione di volontariato l’ha aiutata?
«Mi sono messo a fare Robin Hood, facendo del bene agli altri fai del bene a te stesso. Un ultimo che diventa penultimo. Quello che abbiamo passato noi, la gente se lo sogna. I pezzi di carta firmati me servono per pulire il tavolino, la stretta di mano è un patto di sangue. Con me ci sono i nomadi, gli zingari come si dice a Roma, caricano e scaricano. Qualcuno chiama: “Ma chi mi hai mandato?”. “Lavorano per me. Mai guardato l’etnia, il colore della pelle e i gusti sessuali”. L’ unica cosa per cui litigavo con Adinolfi: ma le pensa davvero le cose che dice?».
I suoi genitori?
«Papà è anaffettivo. Sono andato a trovarlo in ospedale e mi ha detto: “Ora sei diventato famoso”. Mia madre voleva darmi un’istruzione e mi mandò al Convitto nazionale dai 6 anni ai 13 anni. Per me era un collegio, vita militare. Giocavo a pallanuoto, sognavo di entrare nelle Fiamme Oro, in polizia. Nonna lavorava come badante da un politico gentile, che scrisse una lettera: il ragazzo non ha vissuto in famiglia, non è contaminato. Ero figlio di pregiudicati, per le istituzioni ero già un deviato. Mi è scattato qualcosa, mi sono messo nei guai».
Non è entrato in polizia ma in Un professore con Alessandro Gassmann fa un poliziotto, l’amatissimo er pantera.
«È stato bello. Prima poche pose, su Instagram scrivevano che volevano er pantera nel quartiere. Ero felice. Dovendo partire per l’Honduras, per girare la terza stagione hanno raggruppato le scene».
Cosa le ha dato il ruolo di Furio in Rocco Schiavone?
«L’amicizia con Marco Giallini, Tullio Sorrentino e Francesco Acquaroli. Furio mi rispecchia; è leale, ama gli amici più di se stesso. È una delle serie più belle, venduta in tutto il mondo. In Honduras Teresanna mi chiama agitatissima. Eccolo là, penso, c’è una bestia nella stanza. In tv c’era Rocco Schiavone».
A proposito, cosa le fa più paura?
«In un foglio dell’Isola chiedevano la nostra fobia. Ho scritto: “La dico e la usi contro di me?”. Mi fanno paura i topi. Una volta ne entrò uno a casa, spinsi mia moglie incinta e cadde a terra. Io salii sul tavolo».
Benvenuto nel club.
«Mi ha urlato: “Ti rendi conto che sono incinta?”. Aveva ragione, ma il topo mi fa tanta impressione».