La Stampa, 8 luglio 2025
Le memorie dei bambini
«Là dove c’era l’erba, ora c’è una città», cantava quasi sessant’anni fa Celentano raccontando l’avanzata del «catrame e cemento» a Milano. Sei anni prima del ragazzo di via Gluck c’era già, però, chi aveva scritto lo stesso. Non ne conosciamo il nome, ma sappiamo che a undici anni, in un tema di prima media, annotava amaro: «Dove un giorno v’era un campo da gioco, è stato messo un recinto e, dentro di questo, una scavatrice».
Era il 10 ottobre 1960. Della voce di quel ragazzino, che descriveva una città piena di «gru» e «sacchi colmi di calcina», si sarebbero perse le tracce se qualcuno non l’avesse custodita. A prendersene cura, ci ha pensato Thomas Pololi, 43 anni, con un passato nella comunicazione. È lui che, nel 2024, ha allestito il «Museo dei quaderni di scuola»: una grande stanza al primo piano in un palazzo di ringhiera nel centro di Milano (in via Broletto, al 18) dove hanno trovato riparo 2500 voci. Sono tutte di bambini, e arrivano da più di trenta Paesi: dal Ghana alla Cina, dalla Tunisia al Giappone. Il più antico risale al 1773 ed è in inglese, ma una parte non trascurabile del museo è dedicata a Milano ed è un preciso sismografo emotivo della città.
Ci sono l’entusiasmo della ricostruzione (col «suono continuo, ostinato e petulante dei tram»), le botteghe piene di «piccoli armadi tarlati» e «scarpe brutte da aggiustare». E poi il calcio, il traffico, l’emigrazione interna del secondo dopoguerra: «Quest’anno sono arrivati dei compagni nuovi – scrive un bambino nel 1958, in quinta elementare – il più simpatico è Tarallo (sic!), giunto dalla assetata Puglia». Sono in «sette», racconta: «Il babbo non guadagna molto, quindi è una famiglia un po’ povera. In casa sua si consuma mezzo litro di latte, in tutto, e un panino per desinare».
E poi la vita di quartiere: un altro bambino, poco più grande, scrive che ogni giorno, «alle sedici in punto», «scende dal tram un individuo attempato vestito molto elegantemente che fa e rifà cinque volte la via sottostante al mio balcone». «Questo sarebbe niente – aggiunge – se questi giri non li facesse con un piede solo». Poi, appena finisce, il tale «riprende il tram per ritornare il giorno dopo, al solito orario», e non è un caso che tutti nel quartiere lo chiamino «il Pazzo».
È una città, questa Milano, piena di piccoli riti quotidiani, nascosti nei cortili e tra gli androni popolari. Fuori, intanto, il cemento avanza, erodendo il verde e l’acqua dei Navigli. «È un’ingiustizia!» – si arrabbia un bambino nel 1970, in quarta elementare – «è pressoché impossibile trovare spazio per giocare». Non si può stare neppure «nel prato sotto casa», perché lì «c’è sempre un intransigente condomino che telefona» e «non ci resta che ascoltare le prediche del portiere». Così, si va in gita: al lago, in «Isvizzera», o, per i più fortunati, al mare: in Sardegna magari, «una bella isola, dove si conoscono tutte le persone» e – siamo nell’estate del 1977 – «non si ammazzano come a Milano».
Più che una bella città, Milano è da «stimare» – dice un’altra bambina – e con qualche «aggiustatina sarebbe davvero perfetta». Certo, oltre «alle cose belle ci sono l’inquinamento e le cartacce». Lo smog, ad esempio – scrive una sua coetanea in quinta elementare – ha reso il Duomo tutto nero. Servirebbe inventarsi uno «strumento moderno che continuasse dal mattino alla sera a pulirlo», oppure seguire ciò che le ha suggerito il suo compagno di classe Ricciardo: «Se si grattano le pareti – gli ha giurato – si vede sotto il rosa, quindi manderei un’armata di gratton a pulirlo ben bene».
L’idea di mettersi sulle tracce di queste pagine, al fondatore del Museo, Thomas Pololi, è arrivata vent’anni fa e, come spesso capita in questi casi, è nata da un espediente: «Dovevo partecipare a una serata tra amici in cui si deve leggere qualcosa – spiega -. Ero il più giovane del gruppo, non sapevo cosa portare: pensai a certi miei vecchi temi delle elementari. Li lessi, e l’iniziativa piacque». Pololi ha deciso così prima di aprire un blog in cui raccogliere altri temi, poi un’associazione e, infine, un museo nutrito dal passaparola e da una ricerca costante, anche online. Presto la raccolta si è estesa «grazie a una piattaforma online che permette di trascrivere e tradurre i contenuti di tutti i Paesi. Oggi sono iscritti 300 volontari da diverse parti del mondo». Ma il museo – visitabile solo su prenotazione – non si limita a conservare. Pololi ha contribuito a creare una rete di associazioni chiamata «Milano città dei bambini» e ispirata al progetto del pedagogista Francesco Tonucci.
L’obiettivo? «Immaginare azioni concrete per migliorare la fruibilità della città da parte dei più piccoli, e dunque spostarsi da soli, incontrarsi, giocare senza la supervisione dei genitori. Tutte cose – dice sempre Pololi – che oggi sembrano fantascienza ma che un tempo invece erano la normalità».