Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 08 Martedì calendario

Milano, la cassaforte delle mafie unite: 7 milioni al giorno cash e bitcoin

C’è un gran via vai nel piccolo bar di viale Monte Ceneri. Cinesi che stazionano sul marciapiede, italiani seduti ai tavolini interni. È un settembre umido a Milano e il traffico ingrossa sul cemento sbeccato proprio sotto al ponte della Ghisolfa. La città corre veloce e non si accorge che poco più in là, davanti al Bazar di Luisa, di proprietà dei coniugi Hu, qualcuno ha fracassato il vetro di una berlina scura portando via Pc, cellulari e 2.500 euro in contanti. In quel momento, il dottore commercialista Alessandro Monti, proprietario della macchina derubata, si trova dentro al bazar in compagnia della signora Shuijuan, moglie del titolare con una bella lista di precedenti di polizia per impiego di denaro illecito. Quel furto è un grosso guaio per il giovane professionista. Non tanto per il denaro della cui presenza Monti eviterà accuratamente di riferire in denuncia, quanto per i cellulari e soprattutto per il Pc dove ha salvato tutte le password per le operazioni di home banking. Roba non proprio pulita. Ma gli affari sono affari e pazienza se qui si tratta di triangolare fatture false con decine di società cinesi, come quella dei vari Hu, per incassare denaro contante da trasferire nelle mani dei boss del nuovo Consorzio mafioso lombardo. In questo settore, Monti è un’autorità. Grazie ai suoi contatti riesce a recuperare fino a mezzo milione di euro al giorno “cash”. Cinesi ne conosce molti. Tutti piccoli imprenditori della nuova China Town allargata. Tutti con precedenti e spesso irreperibili. Ma tutti disponibili a fornire contante a fronte di bonifici a società in Cina. “C’erano dentro 2.500 euro – spiega Monti a Shuijuan – non mi frega niente che se li tengano, mi interessano il Pc e i telefoni”. Demetrio Tripodi è uno dei capi del Consorzio mafioso. Non giovanissimo di Melito Porto Salvo, è legato alla ’ndrangheta degli Iamonte e alla famiglia Crea, padre Santo e figlio Filippo, tra i maggiorenti del Consorzio. “Per quel discorso che abbiamo parlato? – esordisce Tripodi al telefono con Monti – Mi dicevano che sei bloccato fino a fine mese”. La notizia del furto è già arrivata al Consorzio. Ma il dottore commercialista Alessandro Monti rassicura il boss: “Se tu hai bisogno la soluzione c’è, tranquillo”.
Ecco perché il grosso guaio di viale Monte Ceneri diventa centrale in questa storia, che salta fuori cristallina dagli atti dell’inchiesta Hydra dell’antimafia di Milano, condotta con competenza forse unica in Italia dal Nucleo investigativo dei carabinieri e dal pm Alessandra Cerreti e che oggi a processo iniziato svela le carte. Perché dal ponte della Ghisolfa, che traguarda in lontananza le torri di City Life, si arriva a Lainate, primo lembo di hinterland dopo i padiglioni della Nuova Fiera e i terreni dell’Expo. E più precisamente al civico 2 di via Varese, davanti a una palazzina dal tetto esagonale che tanto assomiglia a un bunker di cemento con giardinetto di pertinenza. Nell’anonimato di questo deserto urbano lontano dalle luci della metropoli, il Consorzio mafioso di cui Monti è commercialista servente qui ha la sua cassaforte. In questi uffici divisi tra piano terra e seminterrato, dove ha la sede la società cooperativa Yexcel, ogni giorno girano contanti per 7 milioni di euro. Uno tsunami di denaro a favore anche di Tripodi e Crea, alimentato dai buoni uffici del dottore commercialista con gli amici cinesi e da un bel risiko di prestanome.
Il signor M. lo sa bene. Quegli uffici li ha frequentati. Ha osservato con timore le guardie armate stazionare all’esterno. Soprattutto un albanese tatuato che tutti chiamano “Ninja”, criminale di livello, esperto nell’uso del kalashnikov e incaricato di recuperare i crediti dovuti al Consorzio dei boss sequestrando i debitori.
M. arriva all’Yexcel allettato dalla prospettiva di incassare contante attraverso l’ormai rodata strada cinese: bonifici a fronte di fatture false. È denaro che va e che poi torna indietro sottratto dalla percentuale dell’imprenditore cinese. Così una mattina M. entra negli uffici frequentati dai boss del Consorzio, calabresi ma anche siciliani amici degli amici dell’ex primula rossa Matteo Messina Denaro, e qui strabuzza gli occhi. Su un lungo tavolo da riunioni osserva parte del tesoro della nuova mafia milanese: sette file composte da dieci mazzette l’una per un totale di oltre 700 mila euro. Tutte accuratamente ordinate e siglate con i nomi dei destinatari. Non c’è tempo per M. di sorprendersi. Come in una scena che tanto ricorda i film americani sulla mafia italiana, accatastati in un angolo vede decine di sacchi della Decathlon, tutti pieni di banconote. In sottofondo il rumore continuo delle macchinette conta soldi che frusciano via migliaia di euro al minuto. Di sotto, nel piano interrato, invece M, ascolta un altro suono: è il bzzzz di computer e server che a ogni ora del giorno e della notte macinano bitcoin. Perché, ça va sans dire, la mafia non vive di solo contante. E come tutte le storie di mafia a Milano, anche questa non poteva non condurci nel salotto buono della città.
Così, dal Bazar di Luisa affogato nel traffico di viale Monte Ceneri, passando per la cassaforte di Lainate, “i bravi ragazzi” del Consorzio a pacchi di soldi nei sacchetti di plastica, alla fine si sono accomodati in via Montenapoleone, la street del glamour internazionale, della moda e dei danè. Al civico (…) per la precisione dove dietro all’immancabile prestanome, Demetrio Tripodi e Filippo Crea, membri del cda mafioso lombardo, hanno tirato i fili di una società specializzata in eventi e in pubbliche relazione anche con figure della politica nonché destinataria di denaro pubblico. Insomma il cortocircuito mafioso perfetto sotto al Duomo.