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 2025  luglio 08 Martedì calendario

Giudici insaziabili: "Sforiamo il tetto dei 240mila euro"

"Amministrazione sobria": si chiamava proprio così l’articolo di legge col quale undici anni fa il governo Renzi aveva messo un freno ai superstipendi dei dirigenti pubblici. Tutti i boiardi di Stato, probabilmente a malincuore, hanno ingoiato il boccone. Ma ora c’è una categoria che si ribella, e chiede di sfondare il tetto: i magistrati. Non i magistrati qualunque, che guadagnano bene ma da quel tetto sono lontani. A ribellarsi chiedendo l’intervento della Corte costituzionale sono magistrati tra i più pagati d’Italia: i giudici amministrativi che fanno parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, equivalente al Csm della giustizia ordinaria, i cui componenti verrebbero anch’essi sommersi di euro se venisse accolto il ricorso dei loro “cugini” amministrativi.
Il ricorso verrà esaminato dalla Corte Costituzionale il prossimo 9 luglio, e non dovrebbe avere grandi possibilità di essere accolto. Ma già il fatto che sia stato presentato, e gli argomenti con cui il Consiglio di Stato lo ha fatto proprio, sono significativi. Perché bisogna partire da un dato di fatto: il tetto che i giudici del Cpga vogliono superare è un tetto di importo già impressionante. Si tratta di 240mila euro all’anno. Ma ai giudici non basta. Chiedono di poter aggiungere altri 47mila euro all’anno, l’indennità di funzione come membri del Cpga che finora non viene invece loro versata proprio per rispetto del tetto fissato dalla legge del 2014. Ma quei denari in più, scrive il Consiglio di Stato, “sono funzionali alla preservazione dell’indipendenza della giurisdizione”. Testuale.

A lanciare la crociata contro la legge renziana è stato Carmine Volpe, già vicepresidente del Consiglio di Stato, che quando era membro del Cpga allo stipendio da giudice di 240mila euro aveva sommato i 47mila euro dell’indennità, che gli erano stati poi trattenuti in base alla legge sulla “amministrazione sobria”. Si è ribellato, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato (lo stesso Consiglio di cui lui stesso faceva parte fino a poco prima) accusando la legge di incostituzionalità, e il Consiglio gli ha dato ragione, passando la questione alla Consulta. E nell’ordine del giorno della seduta della Corte del 9 luglio si dice espressamente che la questione riguarda anche la giustizia ordinaria. Ovvero i diciotto membri togati del Consiglio superiore della magistratura.

Anche qui, si parla di toghe che già oggi non se la passano malissimo. Qualunque sia il loro grado di provenienza, quando approdano al Csm i magistrati si ritrovano catapultati al livello massimo della retribuzione: i famosi 240mila euro. Per i membri di diritto, come il presidente della Cassazione e il procuratore generale, già al top della carriera, non è un salto significativo. Tutti gli altri arrivano al tetto grazie ai gettoni di presenza. Che però smettono di venire erogati, in nome della “amministrazione sobria”, allo scoccare dei 240mila. Un bel danno, visto che prima dell’entrata in vigore della norma pare che si arrivasse senza sforzo ai trecentomila euro, gettone dopo gettone.
E lì si tornerebbe, se la Corte Costituzionale decidesse che davvero guadagnare solo 240mila euro all’anno è un affronto all’indipendenza della giustizia.
(E comunque ci sono sempre i quattromila euro al mese di rimborso spese, a forfait, senza bisogno di presentare scontrini).