Il Messaggero, 8 luglio 2025
Separazione delle carriere «Referendum nel 2026»
Si scrive aprile 2026, si legge gennaio 2027. A ridosso di questa data arriverà a scadenza naturale l’attuale Consiglio superiore della magistratura. La vera sfida per il governo, però, è arrivarci potendo mettere in pratica i dettami introdotti della riforma della giustizia. Una road map precisa ancora manca, ma è stato il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, dal Forum in masseria di Bruno Vespa, a piantare un paletto fondamentale: «Il referendum sulla riforma della separazione delle carriere dei magistrati è pensabile nella primavera del 2026». Il principio su cui verrà impostata la campagna elettorale, ha detto Sisto, consisterà nel chiedere «al cittadino se vuole che chi lo giudica sia o meno contaminato da chi lo accusa». Ma dalle parti di via Arenula c’è chi imposta la domanda in termini più semplici: «La giustizia, così com’è, va bene?».
I TEMPI
Più che alla campagna referendaria che sarà – il cui esito non preoccupa più di troppo trattandosi di un referendum confermativo senza quorum – il cruccio vero sono proprio i tempi. Innanzitutto, quelli per il referendum. Il secondo via libera del Senato – con cui si chiuderà la prima lettura – difficilmente arriverà prima della seconda metà di luglio. Facendo slittare la ripresa dell’esame in Aula alla Camera, per la seconda lettura, tra settembre e ottobre. Poi, il ddl dovrà passare di nuovo al Senato, e lì non è detto che si riesca a chiudere tutto entro l’anno: ci sarà da tenere in conto i decreti legge da convertire – e che hanno la priorità – e poi la manovra, che quest’anno partirà proprio da Palazzo Madama. La realizzabilità di un referendum già a primavera, dipenderà anche da quando verrà avanzata la richiesta di referendum: il tempo per farlo da parte di 1/5 dei membri di una Camera, 500mila elettori o 5 consigli regionali è fissato a un massimo di tre mesi.
I PROVVEDIMENTI ATTUATIVI
La vera corsa contro il tempo, però, scatterà dopo lo scoglio del referendum, quando ci sarà
da mettere in piedi i decreti – o i ddl – attuativi per calare nella realtà le nuove regole introdotte dalla riforma costituzionale. Che non saranno poca cosa. Per i due Csm che nasceranno – quello della magistratura giudicante e quello per la requirente – bisognerà stabilire le modalità di funzionamento del sorteggio dei componenti, incluso il criterio delle quote rosa. E di conseguenza capire se per l’elezione dei membri laici che compete al Parlamento partirà da liste di nominativi già definite o occorrerà una nuova votazione in seduta comune delle Camere per la definizione del nuovo elenco. Tutti i ritocchi andranno messi a punto in pochi mesi per riuscire a convocare le elezioni con i nuovi criteri e arrivare a gennaio 2027 – quando il Csm in carica scadrà – con il nuovo assetto previsto dalla riforma. Un percorso non impossibile, ma complicato, come dimostrano i precedenti. L’ultima volta, le votazioni si sono tenute a fine settembre del 2022, ma l’insediamento ufficiale è avvenuto solo quattro mesi dopo, il 25 gennaio 2023.
IL NODO ELEZIONI
Una proroga per conquistare tempo sull’attuazione potrebbe cozzare, invece, con l’intenzione della premier di chiudere anticipatamente la legislatura – in primavera e non in autunno – per non sovrapporre le urne alla sessione di bilancio. Ostacoli e variabili che fanno dire a molti che sarà il nuovo Parlamento – e non l’attuale – a nominare i nuovi membri dei due Csm. Quel che è certo è che la riforma della giustizia rappresenta il vero cavallo di battaglia del guardasigilli, Cardio Nordio, intenzionato a portarla a casa il prima possibile. Ma sarà anche l’unica riforma, che – con il referendum alle spalle – Giorgia Meloni potrà rivendicare compiutamente quando si ripresenterà di nuovo di nuovo agli elettori per il bis. Ora, però, gli occhi sono fissi sul Senato: «Gli ostruzionismi finiscono con questo giro perché i prossimi passaggi sono senza emendamenti», ha detto Sisto, preannunciando che questa settimana «il presidente del Senato La Russa potrebbe provare a contingentare i tempi». Per averne la conferma bisogna attendere la capigruppo di Palazzo Madama, che dovrebbe svolgersi in giornata. Nel frattempo, ieri sera, il ministro della Giustizia, da Quarta Repubblica, è tornato sul punto: «La seconda lettura è molto più rapida, poi ci sarà il referendum nei primi mesi del 2026». Per l’operatività della riforma bisognerà pazientare. Forse, fino alla prossima legislatura.